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Clippers, niente panico – di Stefano Belli

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La caduta contro Denver ha fatto molto rumore, ma il nuovo progetto dei Clippers è appena cominciato.

A una settimana di distanza, la precoce eliminazione dei Los Angeles Clippers per mano dei Denver Nuggets fa ancora discutere. Per una squadra considerata da molti come la principale favorita al titolo NBA, uscire al secondo turno playoff non può che essere considerato un fallimento. Un tonfo ulteriormente amplificato dalla rimonta subita da quel 3-1 che ormai aveva proiettato appassionati e addetti ai lavori all’attesissimo derby contro i Lakers. Uno showdown che sembrava l’unica possibile conclusione per questo interminabile 2019/20, una serie che in troppi davano per scontata già lo scorso ottobre.

Probabilmente ne erano convinti anche gli stessi Clippers, che hanno vissuto la regular season e l’inizio dei playoff come un continuo rodaggio, un riscaldamento in vista dell’inevitabile epilogo. Ritmi blandi, minutaggi e sforzi centellinati, load management e rientri tardivi dagli infortuni, continui cambiamenti di quintetti e rotazioni. L’importante era farsi trovare pronti per le finali di Conference. Peccato che non tutti gli avversari fossero d’accordo. I lanciatissimi Nuggets, con poco da perdere e costretti dagli Utah Jazz a mettersi subito in ritmo, hanno dimostrato che ai playoff non c’è tempo per fare calcoli. Mentre i Clippers pensavano già a come contrastare LeBron James e Anthony Davis, gli uomini di coach Mike Malone continuavano a giocare, recuperando sempre più terreno fino alla volata finale, quando il motore della squadra di Doc Rivers batteva ormai in testa. Contro i gialloviola ci gioca Denver e per Kawhi Leonard e compagni è tempo di fare le valigie e tornare a Los Angeles.

Lo scivolone dei Clippers, che prolungano la loro cronica astinenza da Conference Finals (mai raggiunte nei cinquant’anni di vita della franchigia), ha ineluttabilmente scoperchiato un calderone di critiche. All’improvviso Doc Rivers è un perdente, Kawhi Leonard è sopravvalutato, Paul George non sarebbe una superstar nemmeno in Eurolega, Steve Ballmer dovrebbe vendere la franchigia e Jerry West limitarsi a giudicare l’avanzamento dei lavori stradali. Nell’arco di pochi giorni, una potenziale dinastia si è trasformata in un progetto fallimentare.

Doc Rivers e Kawhi Leonard, volti dei nuovi Los Angeles Clippers

Mentre veniva sommerso dagli ortaggi, Paul George si è lasciato scappare una valutazione più misurata: “Non l’abbiamo mai considerata una stagione da ‘titolo o fallimento’”. Forse PG13 ha peccato in tempismo, ma le sue considerazioni non meritano certo la gogna mediatica. Il 2019/20 era l’anno-uno per i nuovi Clippers. Gli unici ad aver vestito per più di una stagione intera la maglia bianco-blu si chiamavano Patrick Beverley, Lou Williams e Montrezl Harrell. Gli altri elementi chiave della rotazione non avevano mai giocato assieme, cominciando da Leonard (il due volte Difensore dell’Anno e Finals MVP, che nei pochi mesi passati a Toronto ha trascinato i Raptors al titolo) e George (lo stesso che da giovane guidava gli Indiana Pacers a due finali di Conference, e che nel 2019 è arrivato terzo nella corsa all’MVP), passando da Reggie Jackson e Marcus Morris, che a febbraio collezionavano sconfitte fra Detroit e New York. Pensare che un gruppo così eterogeneo, senza alcun tipo di vissuto comune, potesse (anzi, dovesse) arrivare al titolo senza intoppi era quantomeno imprudente. Salvo rarissime eccezioni (i Boston Celtics del 2007/08, ad esempio), non ci è riuscito nessuno. Gli evidenti cali di concentrazione e intensità mostrati contro Dallas Mavericks e Denver Nuggets non sono giustificabili, per un gruppo che vuole arrivare fino in fondo, ma fanno parte di un normale processo di crescita individuale e di squadra. Per costruire una squadra da titolo, persino una dinastia, si deve imparare a cadere e a rialzarsi.

Reagire alla prima battuta d’arresto con un attacco di panico, stravolgendo roster, coaching staff e dirigenza, sarebbe una mossa degna dei Knicks, oppure dei vecchi Clippers. Quelli nuovi, targati Ballmer-West-Rivers, hanno fin qui operato puntando alla gallina domani, non all’uovo oggi. Nell’imminente offseason bisognerà decidere se (e a quanto) rinnovare i contratti di Harrell, Morris e Jackson, e quali pedine aggiungere al supporting cast delle due star, le quali, con ogni probabilità, arriveranno al training camp più affamate che mai. Affamate come i Clippers, che ormai da tempo non sono più la barzelletta della lega.

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