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Lakers 2019/20: we are the champions

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Al termine della stagione più lunga e tormentata di sempre, i Los Angeles Lakers si sono laureati campioni NBA. Per la franchigia è un traguardo storico: con questa vittoria raggiungono infatti il primato dei Boston Celtics, che avevano sollevato il loro diciassettesimo trofeo nel lontano 2008.
Analizzando il roster di questi Lakers, la Storia con la “S” maiuscola si può accostare a un solo giocatore, quel LeBron James che ha aggiunto un’altra perla a una collezione inimitabile. Tutti gli altri, però, hanno storie (con la “s” minuscola) che meritano di essere approfondite, per comprendere come, a volte, la strada che porta al successo compia tortuose deviazioni. Ecco chi sono i Lakers campioni NBA 2019/20.

Frank Vogel

Partito come assistente sulle panchine di Boston, Philadelphia e Indiana, nel 2011 viene promosso capo-allenatore dei Pacers. Guida la squadra di Paul George e Roy Hibbert a due finali di Conference, dando parecchio filo da torcere ai Miami Heat di LeBron James, Dwyane Wade e Chris Bosh. Il grave infortunio di George e il brusco declino di Hibbert frenano le ambizioni della franchigia, che nel 2016 decide di voltare pagina. Vogel passa un biennio disastroso con gli Orlando Magic, alle prese con un’interminabile ricostruzione, al termine del quale viene licenziato. Dopo un anno sabbatico, viene scelto dai Lakers in seguito ai rifiuti di Tyronn Lue e Monty Williams. Per sua fortuna estraneo al ‘circo’ delle precedenti stagioni gialloviola, si trova al timone di un gruppo coeso e determinato al riscatto. Con l’aiuto di un ambiente finalmente sereno, di navigati veterani e di due fenomeni generazionali, si laurea per la prima volta campione NBA. E non è detto che sia l’ultima.

Talen Horton-Tucker, Kostas Antetokounmpo, Zach Norvell e Devontae Cacok

Quattro giovani che non hanno quasi visto il campo, se non in G-League. L’esperienza da titolo con i Lakers più che definire le rispettive carriere dà a tutti loro l’infarinatura ideale per proseguire un percorso appena cominciato. Un quartetto in cui si distinguono Horton-Tucker, apparso per qualche minuto nella serie contro Houston, e Antetokounmpo, che può vantarsi di aver vinto il titolo prima del fratello maggiore Giannis. Sono soddisfazioni!

Jared Dudley, J.R. Smith, Dion Waiters, Quinn Cook e Troy Daniels

Altri giocatori che mettono il titolo NBA nel curriculum, pur ricoprendo ruoli decisamente marginali. Nel caso di questi veterani tuttavia, l’anello è il reale coronamento di un’avventurosa carriera. Dudley le ha viste proprio tutte nell’arco di tredici stagioni passate come onesto mestierante in otto squadre diverse, perlopiù mediocri. J.R. sembrava ormai fuori dalla NBA: dopo il famigerato errore alle Finals 2018 era stato tagliato dai Cavs, con cui aveva trionfato da protagonista due anni prima. Ripescato dal riconoscente LeBron James, fa giusto qualche sporadica apparizione sul parquet di Orlando, ma può comunque tornare a casa senza maglietta, come nell’anno di grazia 2016. La redenzione di Waiters è stata invece fulminea: ha iniziato il 2019/20 con la vicenda degli orsetti alla cannabis e la conseguente ‘epurazione’ dai Miami Heat, lo ha chiuso sulla panchina dei Lakers con il Larry O’Brien Trophy tra le mani. Per Cook, tragicamente lasciato fuori dall’autobus durante le celebrazioni, si tratta del terzo titolo vinto da comprimario dopo i due con i Golden State Warriors. Daniels, tagliato a marzo e accasatosi ai Denver Nuggets, ha solamente affrontato i Lakers nei playoff, ma riceverà comunque un anello per il suo contributo alla causa.

Avery Bradley

A proposito di chi non c’era. Bradley ha deciso di non partecipare al campus di Orlando per stare vicino al figlio, alle prese con problemi di salute. Da ottobre a marzo, però, il suo apporto è stato fondamentale. Guardia titolare in 44 delle 48 partite disputate, è stato fra gli elementi chiave della rocciosa difesa gialloviola. Si mette l’anello al dito dopo dieci stagioni da affidabile specialista, sette delle quali passate ai Boston Celtics.

Markieff Morris

Il meno solido e talentuoso dei gemelli Morris è il primo a raggiungere il titolo NBA. Dal 2011 al 2016 è al fianco di Marcus ai Phoenix Suns, poi si ritaglia un ruolo importante nel quintetto dei Washington Wizards. Nel 2019 gioca i playoff con gli Oklahoma City Thunder, poi firma con i Detroit Pistons. La squadra di Dwane Casey cola a picco, così Markieff opta per il buyout. I Lakers vogliono Marcus, che tuttavia sceglie i Clippers. In gialloviola approda dunque il gemello, che guadagna spazio nelle rotazioni e partecipa attivamente alla conquista del Larry O’Brien Trophy.

JaVale McGee

La carriera di JaVale si può dividere in tre fasiShaqtin’ MVP, giocatore finito e pluri-campione NBA. Nelle sei stagioni passate tra Washington Wizards e Denver Nuggets alterna genio e sregolatezza, con una maggiore propensione per quest’ultima. Compensa un atletismo incredibile con un approccio discontinuo (per usare un eufemismo). Gli svariati momenti in cui ‘stacca il cervello’ gli valgono le reiterate beffe di Shaquille O’Neal, che lo elegge MVP della sua rubrica satirica Shaqtin’ A Fool. Nel 2013, la frattura di una tibia rischia di costargli la carriera. Dopo un lungo recupero viene ceduto ai Philadelphia 76ers, in pieno Process, per poi fare le valige e approdare tra le fila dei Dallas Mavericks. La stagione incolore trascorsa fra l’infermeria e la panchina dei texani sembra il preludio al ritiro, ma nell’estate del 2016 arriva l’occasione giusta. I Golden State Warriors, che con l’innesto di Kevin Durant hanno pochissimo spazio salariale, cercano veterani ‘low cost’ per completare il roster. JaVale risponde alla chiamata e si ritaglia sempre più spazio nelle rotazioni di coach Steve Kerr. I Warriors diventano un’inaffondabile corazzata che sbaraglia la concorrenza e vince due titoli consecutivi. McGee si guadagna la fama di affidabile elemento da rotazione, utile sia dalla panchina che in quintetto. Un curriculum perfetto per i Lakers di LeBron James, che lo ingaggiano nel 2018. Dopo la disastrosa stagione inaugurale del nuovo corso, JaVale è parte integrante della squadra campione NBA 2020. Titolare per tutta la regular season, viene relegato in panchina con l’avanzare dei playoff per via di accoppiamenti sfavorevoli. Poco importa: il terzo anello è in arrivo!

Danny Green

Terzo titolo anche per il veterano da North Carolina, che si unisce alla ristretta cerchia dei campioni NBA con tre maglie diverse. Negli otto anni trascorsi ai San Antonio Spurs, culminati con il trionfo del 2014, si fa un nome tra i migliori ‘3&D’ della lega. Una fama confermata anche nell’unica stagione con i Toronto Raptors, a cui le triple e la difesa di Green danno una grossa mano nella conquista di uno storico anello. Diventato free-agent sceglie i Lakers, che lo ripagano con un nuovo trofeo. Il famoso errore al tiro costato gara-5 contro Miami non oscura di certo il preziosissimo lavoro sui due lati del campo offerto da Green in maglia gialloviola, anche se nel complesso non è stata una stagione da incorniciare.

Kentavious Caldwell-Pope

I Detroit Pistons lo pescano con l’ottava chiamata nello stranissimo Draft 2013. Dopo una stagione di apprendistato come riserva di Rodney Stuckey, KCP diventa la guardia titolare di una squadra terribile. Costruiti attorno all’anacronistico trio formato da Andre Drummond, Greg Monroe e Josh Smith, quei Pistons navigano in un eterno limbo. Kentavious mette insieme buone cifre ed emerge come un versatile two-way-player, ma non entusiasma la dirigenza, che decide di non estendergli il contratto. Si accorda per un annuale coi Lakers, e il copione non cambia: posto fisso in quintetto e buoni numeri per KCP, stagione mediocre per la squadra. Caldwell-Pope viene confermato per un altro anno, in cui si spartisce con Josh Hart i minuti da titolare. Nonostante l’approdo di LeBron in California, la sinfonia è sempre la stessa: 11.4 punti di media per KCP, Lakers esclusi dalla post-season. La maledizione, per lui e per la squadra, si infrange nel 2019/20. Caldwell-Pope parte in quintetto in tutte le gare dei playoff, dando un preziosissimo contributo nella serie finale contro Miami. Dopo anni passati nella mediocrità più assoluta, è il momento di festeggiare.

Alex Caruso e Kyle Kuzma

Sembrerà strano, ma Caruso, Kuzma e Caldwell-Pope sono i giocatori che vestono da più tempo la maglia dei Lakers. Arrivano nel 2017, quando le speranze gialloviola sono riposte su Lonzo Ball, seconda scelta al draft. In quello stesso draft, Kuzma viene chiamato alla numero 27 da Brooklyn, ma subito spedito a Los Angeles tra le contropartite per D’Angelo Russell. L’anno prima nessuno aveva selezionato Caruso, che aveva quindi ripiegato sulla G-League. Alla Summer League di Las Vegas Ball, Kuzma e Caruso sono i protagonisti assoluti del trionfo losangelino. Per gli ultimi due è il lasciapassare definitivo, entrando a far parte dell’organico di Luke Walton. Kuzma si mette in mostra per le sue doti realizzative, Caruso per la tenace difesa e l’insospettabile atletismo. Quando LeBron James sbarca in California inizia subito una sorta di ‘casting’ per capire chi, fra i più giovani, possa essergli maggiormente utile. Lonzo Ball e Brandon Ingram, i ragazzi più talentuosi, vengono presto inseriti nelle discussioni riguardanti una possibile trade per Anthony Davis. Quando l’ipotesi si avvera, i due partono per New Orleans, mentre Kuzma e Caruso rimangono alla corte del Re contribuendo con canestri pesanti (il primo) e con una serie di piccole, grandi cose (il secondo) alla conquista del titolo. Alcune prestazioni sottotono e la totale inadeguatezza difensiva sono valse a Kyle parecchie critiche, ma, considerato il percorso, la sua giovane carriera NBA può essere fin qui considerata un successo.

Dwight Howard

La più hollywoodiana fra le storie correlate a questo titolo dei Lakers. Nella prima fase della sua carriera, Howard è uno dei volti della NBA. Dominante sotto i tabelloni, in breve tempo rende gli Orlando Magic una superpotenza della Eastern Conference. Nel 2009 li trascina addirittura alle Finals, ma i Lakers di Kobe Bryant si rivelano un ostacolo insormontabile. Le strade di Dwight e dei gialloviola si incrociano nuovamente tre anni più tardi. Dopo aver chiesto la cessione e tenuto ‘sotto scacco’ i Magic per mesi, viene spedito proprio ai Lakers. Con lui e Steve Nash al fianco di Kobe, Pau Gasol e Ron Artest, L.A. sembra destinata a creare una dinastia. Le cose tuttavia vanno diversamente: una lunga serie di infortuni e l’incompatibilità caratteriale fra Kobe e Howard contribuiscono al sonoro fallimento dell’operazione. DH12 passa quindi agli Houston Rockets, ma anche in Texas non finisce bene: ‘Superman’ mette a referto cifre altisonanti, ma tra lui e James Harden non scocca la scintilla e i Rockets non riescono ad andare fino in fondo. Nel 2016 l’arrivo di Mike D’Antoni (suo allenatore anche ai Lakers) spinge Howard a cambiare aria. Passa i tre anni successivi in franchigie mediocri come Atlanta, Charlotte e Washington, consolidando una scomoda reputazione da ‘elemento problematico’. Dopo aver giocato solo nove partite con gli Wizards, finisce via trade a Memphis e viene tagliato. La sua carriera sembra giunta su un binario morto, ma DeMarcus Cousins si infortuna e ai Lakers si libera un posto. Per Howard, la seconda esperienza californiana è l’occasione del grande riscatto. Nella squadra di LeBron James e Anthony Davis non può essere una star, ma The Daily Double si ritaglia un prezioso ruolo da specialista, mostrando inattesi progressi sul piano dell’approccio alle partite. Spettatore, per esigenze tattiche, nella serie contro i Denver Nuggets, viene schierato in quintetto da coach Vogel durante le Finals. Vince il suo primo titolo NBA in quella Orlando che, sedici anni prima, lo aveva portato nella lega.

Rajon Rondo

Altra grande storia di redenzione, quella del playmaker da Louisville. La sua carriera NBA inizia ai Boston Celtics, dove in pochi anni diventa una star e dirige alla perfezione l’orchestra dei ‘Big Three’ (Paul Pierce, Kevin Garnett e Ray Allen). Quei Celtics vincono il titolo nel 2008 e perdono in finale (sempre contro i Lakers) nel 2010. Con l’addio dei grandi campioni, Rondo resta il leader di una squadra in ricostruzione. Nel 2014 viene ceduto ai Dallas Mavericks, a cui mostra il suo lato peggiore: nei pochi mesi trascorsi in Texas si scontra più volte con coach Rick Carlisle, contribuendo a mandare a rotoli la stagione dei Mavs. Trascorre quindi un anno nella franchigia più disfunzionale della lega, i Sacramento Kings, dove si mette comunque in mostra vincendo la classifica degli assist. E’ poi la volta dei Chicago Bulls, altro ambiente piuttosto caldo: una stagione segnata dalle frizioni tra Rondo e gli altri leader, Jimmy Butler e Dwyane Wade, si conclude al primo turno playoff, anche a causa di un infortunio subito dallo stesso Rajon. Va molto meglio l’annata 2017/18, quando Rondo, Anthony Davis e Jrue Holiday guidano i New Orleans Pelicans alle semifinali di Conference. La leadership del numero 9 non sfugge a LeBron James, che lo vuole ai Lakers per dare esperienza a un gruppo molto giovane. Il primo anno va male, e l’incostanza di Rondo è fra gli ingredienti del disastro perfetto. Al secondo giro però Rajon mette bene in chiaro perchè il Re abbia scelto proprio lui. Ai playoff si spartisce con James il controllo della squadra e risulta determinante nella corsa al titolo. Rondo diventa così il secondo giocatore, dopo Clyde Lovellette, a trionfare con le maglie di Celtics e Lakers (Lovellette vinse il titolo quando la franchigia stava ancora a Minneapolis).

Anthony Davis

Atteso in NBA come ‘The Next Big Thing’, Davis diventa subito l’uomo-franchigia dei New Orleans Pelicans. Nel sette anni trascorsi in Louisiana mostra spaventose doti tecniche e atletiche e colleziona cifre roboanti, ma i risultati scarseggiano: una sola serie playoff vinta e svariate delusioni, anche a causa dei tanti, troppi infortuni del numero 23. L’ultima di queste stagioni è segnata dalla sua richiesta di cessione, dallo spietato corteggiamento dei Lakers e dai fischi dello Smoothie King Center. In estate approda finalmente in California, e rende i gialloviola un’invincibile armata. Dominante sui due lati del campo, entra sia nelle discussioni per l’MVP, sia in quelle per il Defensive Player Of The Year Award. Ai playoff mette a ferro e fuoco le difese avversarie e regna incontrastato nella propria metà campo. La tripla vincente contro i Denver Nuggets in gara-2 delle finali di Conference è la giocata simbolo della sua stagione, coronata con il primo titolo in carriera. Considerando che è appena entrato nel suo prime, AD promette di marchiare a fuoco il prossimo decennio NBA.

LeBron James

L’uomo-copertina del diciassettesimo titolo gialloviola, nonché il volto della lega negli ultimi dieci/quindici anni. Con una squadra finalmente costruita a sua immagine e somiglianza, King James scrive un altro glorioso capitolo della sua leggenda. Si mette al dito il quarto anello e diventa il primo giocatore nella storia a essere nominato Finals MVP con tre maglie diverse. A rendere speciale il trionfo del 2020 sono svariati fattori: l’unicità del contesto, il riscatto dopo la brutta stagione passata, il trofeo riconsegnato alla franchigia delle franchigie dopo un decennio terribile, la nuova linfa data alla legacy lasciata da Kobe Bryant. Giunto alla diciassettesima stagione, LeBron è ancora in cima alla catena alimentare NBA. Finalista per l’MVP e miglior assistman della lega, ha trascinato i Lakers dal punto di vista tecnico ed emotivo, infondendo sicurezza e trasmettendo ai compagni, dal primo all’ultimo, la mentalità necessaria per arrivare fino in fondo. Il titolo 2020 non sarà forse il più sofferto o il più emozionante nella carriera di King James, ma è un efficace manifesto dell’impronta indelebile lasciata dal ragazzo di Akron nella storia dello sport.

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