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L’amore per il gioco – di Daniele Leuzzi

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Il 25 settembre 2001 Michael Jordan annuncia il suo ritorno in NBA.

Potreste anche vedermi in campo a 50 anni […] oh non ridete, non ridete…”. Michael Jordan scherza con il pubblico sulla possibilità di un terzo ritorno sul parquet, la cerimonia che lo introduce nella Hall of Fame è il palcoscenico perfetto per un protagonista come lui. Si è visto come in “The Last Dance”, l’ex Chicago Bulls teneva in mano le redini della franchigia, con carisma, forza, dedizione, ossessione e anche un pizzico di cinismo.

L’audience quella sera ha riso di gusto, ma Jordan non è nuovo ai cambi di idea, si è ritirato nel ’93 e nel ’98 ed è tornato in campo dopo qualche anno, l’ultima con i Washington Wizards nel 2001.

L’AMORE PER IL GIOCO

Ai tempi dei Bulls, nel contratto del numero 23 c’era una piccola clausola dal nome “love of the game”, che gli permetteva di giocare e rimanere in campo se lui lo avesse voluto. Nel 2001, dopo essere entrato a far parte del “front office” e aver acquisito una quota della franchigia dei Washington Wizards, decide che la voglia di giocare, l’amore per quella palla a spicchi, la possibilità di aiutare dei giovani ragazzi a crescere è più forte della sua carta d’identità, che recita 38 anni: “Torno come interprete del gioco che amo perché durante l’ultimo anno e mezzo, come membro del management dei Washington Wizards, mi è piaciuto lavorare con i nostri giocatori e condividere le mie esperienze con loro. Sento che non c’è modo migliore per insegnare ai giovani, che essere in campo con loro come compagni, non solo in allenamento, ma nelle vere partite NBA. Sebbene nulla possa cancellare il passato, sono fermamente concentrato sul futuro e sulla sfida competitiva che mi attende”. L’anno precedente Michael aveva detto no alla corte di Mark Cuban, neoproprietario dei Dallas Mavericks, perché non sentiva suo quel progetto. Jordan voleva dirigere in prima persona.

DUE ANNI INTENSI

Il 30 ottobre scende nuovamente in campo nella sconfitta contro i New York Knicks, siglando 19 punti. Durante la prima stagione i Wizards non arrivano a giocare i playoff, MJ gioca solo 60 partite, per via di un infortunio al ginocchio, chiudendo con 22.9 punti, 5.2 assist e 5.7 rimbalzi di media. Dopo qualche mese di riscaldamento, il numero 23 porta indietro le lancette dell’orologio. Il 29 dicembre, Jordan mette a referto 51 punti proprio contro gli Charlotte Hornets – di cui sarebbe diventato presidente qualche anno dopo – diventando così il giocatore più vecchio a segnare più di 50 punti.

La seconda e ultima stagione è un palcoscenico creato ad hoc per Jordan. Ovunque andasse per lui erano pronti tributi, regali, standing ovation, durante la sua ultima partita a Chicago il pubblico è rimase in piedi a battere le mani per quattro minuti. L’All Star Game del 2003 è dedicato interamente al numero 23, con Mariah Carey, che durante la pausa tra secondo e terzo quarto – con addosso le maglie di MJ – canta “Boys (I need you)”, “My Saving Grace” e “Hero”. Se non fosse stato per un ragazzo con la maglia numero 8, che con dei liberi ha rovinato la festa, avrebbe anche vinto la partita con un fadeway allo scadere, come al solito. La stagione 2002/2003 termina con 20 punti, 3.8 assist e 6.1 rimbalzi di media, ma Michael ci tiene a portare a casa un record soprattutto durante questo ultimo anno. Con 43 punti segnati, il 21 febbraio contro i New Jersey Nets, diventa l’unico giocatore NBA ad aver scollinato i quaranta, all’età di 40 anni – quattro giorni dopo il suo compleanno.

Quando nel 1993 annuncia il ritiro, dopo il primo three peat con i Bulls, la gente è scettica, Sports Illustrated gli dedica una copertina, dove sarcasticamente gli suggerisce di lasciar perdere con il baseball e tornare al basket. Michael torna nel ’95, dopo tre anni sembra essere tornati indietro nel tempo, tre titoli con Pippen e Jackson, 6 titoli per Chicago e un altro ritiro per Jordan, che ai giornali dice: “al 99.9% non tornerò in NBA”.

MJ ha vissuto una vita ponendo l’asticella sempre più in alto, ha imposto dei limiti a sé stesso cercando di superarli. Il 25 settembre 2001, lo 0.01% ha vinto su tutto il resto, “… perché i limiti, come le paure, spesso, sono soltanto un’illusione”.

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