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Paul George è su una brutta strada

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La star dei Los Angeles Clippers ha stabilito un trend che non promette bene per il prosieguo della sua carriera.

Non si fa che parlare dell’inaspettata eliminazione dei Los Angeles Clippers, pesanti favoriti a inizio stagione, ad opera dei Denver Nuggets. Il tutto con i losangelini che avevano condotto la serie 3-1. Ma siamo davvero così stupiti?

Col senno di poi possiamo puntare a un sacco di ragioni per cui i Clippers hanno mancato, per l’ennesima volta nella loro storia recente, l’approdo alle finali di conference. Motivi concorrenti e tutti equamente validi: da un lato la mancanza di chimica a causa di infortuni, il load management e la sottovalutazione dell’importanza della regular season per costruire gli equilibri della squadra; dall’altro il difficile matchup coi Nuggets gestito nella maniera sbagliata da Doc Rivers. Senza tralasciare l’imprevedibile ambiente della bolla, che annulla ogni vantaggio dato dalla posizione in classifica eliminando il fattore campo e sfida psicologicamente i giocatori (giocare in un ambiente isolato per un periodo esteso di tempo non è cosa da tutti i giorni).

Bisogna considerare, infine, il fatto che raramente una squadra appena messa insieme è in grado di vincere il titolo alla sua prima stagione.

Quello che appare più evidente, però, è la manchevolezza dei leader della squadra nei momenti cruciali. Paul George inaffidabile lungo tutti i playoff. Kawhi Leonard 8/18 dal campo in gara-6 e solamente 14 punti in gara-7. Lou Williams 4/27 da tre nel corso della serie contro i Nuggets.

George in particolare si è ritrovato nell’occhio del ciclone al termine della deludente sconfitta. Si è parlato di numerosi confronti che la star avrebbe avuto in questa postseason con i propri compagni per la sua scarsa affidabilità in campo. Secondo quanto riportato da Chris Boussard, durante il discorso dell’ex-Thunder post gara-7, in cui chiedeva pazienza e fiducia per rincorrere uniti l’anello nella prossima stagione, più di qualche compagno avrebbe sollevato gli occhi e lo avrebbe guardato sconcertato. I giocatori erano evidentemente stanchi delle sue parole, dato che lui in prima persona ha dimostrato di non essere all’altezza della sfida. Tanto meno sarebbero d’accordo con il trattamento da superstar che ha ricevuto da Doc Rivers, considerando la sua effettiva produttività. Per di più, alcuni si considererebbero validi almeno quanto lui.

L’ala da Fresno State si trova al momento in una posizione scomoda, non avendo dimostrato sul campo di poter essere il leader di una squadra con aspirazioni da titolo. Non è quindi scontato che i compagni siano disposti a seguirlo fedelmente. A questo si unisce la controversa dichiarazione in cui ha affermato che non si aspettava di vincere necessariamente l’anello quest’anno.

Potremmo parlare di una sfortunata postseason per George, per di più in condizioni tutt’altro che regolari. Ma non si tratta della prima volta che carenza di prestazioni e malcontento nello spogliatoio addensano nubi intorno alla sua figura. Anzi, si ha l’impressione che si sia creata un’immagine del giocatore, e che lui stesso abbia una considerazione di sé, basata più su un’infondata percezione che su reali fatti. A 30 anni, il californiano ha concluso nel corso della sua carriera una sola stagione in cui si possa definirlo a pieno titolo una superstar: lo scorso anno a Oklahoma City. Per la prima e unica volta i suoi numeri sono stati quelli di un top-player della lega, rientrando nella conversazione per l’MVP e affermandosi tra i migliori difensori. Ma a parte quella fortunata annata, non ha mai dimostrato molto per il resto dei suoi 10 anni in NBA. L’ultima stagione a Indiana, nel ruolo di leader assoluto della squadra, dopo l’eliminazione 4-0 al primo turno di playoff, ha saputo solo puntare il dito verso i compagni piuttosto che assumersi la responsabilità per i propri errori nei momenti clutch. A fine stagione ha anche richiesto di essere scambiato, quando per mesi aveva lasciato intendere che sarebbe rimasto.

Certo, i primi anni a Indianapolis erano stati di grande successo per i Pacers: tra le migliori squadre dell’NBA, costantemente eliminati dalla postseason solo dopo durissime serie contro i Miami Heat dei Big Three. E George aveva senza dubbio performato in maniera eccellente nel ruolo di giovane star in ascesa. Ma in quel frangente non ricopriva il ruolo di generale. Intorno a lui c’era un solido nucleo di leader veterani, come David West e George Hill, capaci di guidare una squadra dal grande talento. Quando si è trattato di stare al timone di una franchigia, o al massimo condividere il ruolo con una co-star, solo quella fatidica stagione a Oklahoma City ha funzionato. Stagione che, in ogni caso, si è conclusa con una netta eliminazione per 4-1 al primo turno nonostante si trovasse in compagnia dell’MVP Russell Westbrook.

Se Paul annuncia che ai playoff arriverà in versione ‘Playoff P’, come ha fatto all’inizio di questa postseason, allora c’è davvero preoccuparsi, considerando che le sue ultime postseason sono costituite da diverse prestazioni con meno del 20-30% dal campo e sotto i 15 punti, con agghiaccianti plus/minus negativi. Non c’è niente di rassicurante nel proprio miglior giocatore che promette questo tipo di prestazioni. Una minaccia per la sua squadra più che per gli avversari.

A questo punto, sembra proprio che la sua carriera stia seguendo una traiettoria già nota. Una storia già vista.

Dwight Howard iniziò il suo percorso nella NBA da giovane promessa, affermandosi in breve tempo come perenne All-Star e raggiungendo rapidamente le finali NBA. Presto, però, l’incapacità di guidare una squadra e di accettare i necessari sacrifici per conquistare il titolo, pur di mantenere la propria stella brillante, hanno provocato mancanza di risultati e malcontento negli spogliatoi. E’ diventato così una figura malvoluta che è finita con il rimbalzare da una città all’altra, perdendo rapidamente il suo status. La sua carriera si è improvvisamente trasformata in una storia di inadempienza, costellata da continue uscite dai playoff provviste di puntuali scuse per le sue mancanze, senza mantenere quella promessa mostrata nei primi anni.

L’epitome della star perennemente scontenta che viaggia da una franchigia all’altra senza essere mai soddisfatta e scarsamente apprezzata dai compagni, si è ritrovato disoccupato senza aver mai dimostrato qualcosa di significativo nei playoff. Tantomeno aver vinto un titolo.

Solo ora, al tramonto della sua carriera, si ritrova per la prima volta nella sua vita (non in piccola misura grazie ad una serie di fortunate coincidenze) ad avere una vera possibilità di vincere l’anello come role player nei Los Angeles Lakers, partendo dalla panchina con minuti e ruolo limitati. Indubbiamente un tassello importante per questa squadra, ma non certo col valore ci si aspettava dovesse avere un giocatore del genere in vista di una finale NBA.

Paul George si trova inequivocabilmente all’imbocco di questo percorso solcato da Howard tempo addietro, e rischia seriamente di seguire le sue orme se non cambierà repentinamente rotta nei prossimi uno o due anni. Forse la prossima stagione sarà quella che veramente deciderà il suo futuro e il suo status nella lega. La svolta o il baratro. A 30 anni non ha ancora dimostrato niente al livello che più conta, e non diventerà più giovane col passare del tempo. La finestra per lui sta cominciando a chiudersi.

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