L’arrivo di CP3 potrebbe portare a compimento l’interminabile ricostruzione dei Suns
L’insolita finestra novembrina del mercato NBA si è aperta con un gran botto: Chris Paul passa dagli Oklahoma City Thunder ai Phoenix Suns, insieme ad Abdel Nader, in cambio di Ricky Rubio, Kelly Oubre, Ty Jerome, Jalen Lecque e una scelta al primo giro nel 2022. Per OKC, la ricostruzione procede spedita. Per i Suns invece l’arrivo di CP3 ne rappresenta l’ideale conclusione. Il sole che brucia lo spettacolare deserto dell’Arizona è ormai tramontato da tempo sulla franchigia. Da un intero decennio, per la precisione.
La stagione 2009/10 fa calare di fatto il sipario sull’era del ‘7 seconds or less’. I Suns di Steve Nash e Amar’e Stoudemire, guidati in panchina da Alvin Gentry, fido ‘scudiero’ di Mike D’Antoni negli anni d’oro, si arrendono in gara-6 delle Western Conference Finals ai Los Angeles Lakers targati Kobe Bryant – Pau Gasol – Phil Jackson. Per ‘STAT’ e per il general manager, Steve Kerr, è il momento dei saluti. Il primo esce dal contratto e si ricongiunge all’amato ‘Baffo’ in quel di New York; il futuro coach dei grandi Warriors torna a indossare cuffie e microfono per l’emittente TNT.

Cadono le prime tessere di un malinconico domino. L’anno dopo fanno le valigie Leandro Barbosa, Jason Richardson, Goran Dragic e Robin Lopez, i cui sostituti (tra cui spicca un Vince Carter sul viale del tramonto) non si rivelano all’altezza. La classe e la leadership di Nash, che nel 2011 è il miglior assistman per la quinta volta in carriera e la stagione seguente gioca il suo ultimo All-Star Game a 38 anni, non bastano. Dopo due decimi posti consecutivi, il grande capitano abbandona la nave. Anche lui, come Stoudemire in precedenza, raggiunge il maestro D’Antoni, scelto nel frattempo dai Lakers per guidare una corazzata destinata ad affondare.
Per costruire la nuova era i Suns si affidano a un gruppo giovane e volenteroso, ma dal modesto talento. Tra il 2011 e il 2014, in Arizona arrivano Markieff e Marcus Morris, Marcin Gortat, PJ Tucker, Alex Len e Goran Dragic, tornato all’ovile da free agent dopo l’addio di Nash. La squadra spumeggiante di un tempo, però, non esiste più. Nel corso della stagione 2012/13, chiusa dai Suns sul fondo della Western Conference, coach Gentry si dimette. Lindsey Hunter prende l’incarico ad interim fino ad aprile, poi la panchina viene affidata a Jeff Hornacek.
Gli arrivi via trade di Eric Bledsoe, Gerald Green e Miles Plumlee sono un antipasto per la miglior stagione dei Suns post-Nash. Trascinata da un Dragic eletto Most Improved Player Of The Year e incluso nel terzo quintetto All-NBA, Phoenix chiude con 48 vittorie e rimane fuori dai playoff per un soffio. Per tornare alla postseason, l’accoppiata Robert Sarver (proprietario) – Ryan McDonough (general manager) ha un’idea rivoluzionaria: impostare la squadra su tre playmaker!

A Dragic e Bledsoe si aggiunge dunque Isaiah Thomas, apparso in grande ascesa con la maglia dei Sacramento Kings. L’esperimento dura quattro mesi scarsi: la trade deadline di febbraio vede i Suns tra i protagonisti di una maxi-operazione che coinvolge sette franchigie. Alla fine della giornata, Goran Dragic è un giocatore dei Miami Heat, Isaiah Thomas approda ai Boston Celtics e in Arizona atterrano Brandon Knight e Danny Granger. Sarver e McDonough non ne escono benissimo: mentre Dragic diventa un pilastro dei nuovi Heat e Thomas conquista il TD Garden, Knight e Granger vengono risucchiati in una tetra spirale di infortuni. Per completare l’opera, in estate vengono offerti sontuosi contratti allo stesso Knight e al super-veterano Tyson Chandler.
L’unica nota lieta arriva dal draft. Con la tredicesima chiamata viene scelto Devin Booker, guardia da University of Kentucky. Il ragazzino si mette subito in mostra chiudendo il 2015/16 a 13.8 punti di media e guadagnandosi un posto nel primo quintetto All-Rookie. Per il resto, la stagione dei Suns è disastrosa. Anche a causa di un infortunio al ginocchio che tiene ai box Bledsoe, Phoenix sprofonda. A febbraio coach Hornacek viene licenziato e sostituito dall’assistente Earl Watson.
Il triennio successivo si può riassumere così: la stella di Devin Booker brilla sempre più, i Suns sono ultimissimi a Ovest. Il 24 febbraio 2017, la giovane star entra nella storia segnando 70 punti al TD Garden di Boston, ma Phoenix perde. Il giorno prima, coach Watson aveva schierato il quintetto più giovane di sempre in NBA, con Booker (20 anni) affiancato da Tyler Ulis (21), Derrick Jones Jr. (19), Marquese Chriss (19) e Alex Len (23). Un altro record fine a se stesso. I prospetti per cui vengono spese le ripetute scelte in lotteria si rivelano bidoni colossali (Alex Len, Dragan Bender) o giocatori che iniziano bene, per poi perdersi misteriosamente (Chriss, Ulis, Josh Jackson).

Il 2017/18 si apre in pieno stile-Suns. Dopo tre partite, coach Watson viene silurato (gli subentra ad interim Jay Triano), mentre Eric Bledsoe fa sapere pubblicamente di volersene andare. Detto, fatto: il 7 novembre finisce a Milwaukee in cambio di Greg Monroe e scelte future. L’ennesimo ultimo posto viene ‘premiato’ con un biglietto vincente. Come mai era successo nella loro storia, i Suns chiameranno per primi al Draft. La scelta ricade su Deandre Ayton, centro della vicina University of Arizona, preferito (tra gli altri) a Luka Doncic e Trae Young. Tramite uno scambio con Philadelphia arriva anche Mikal Bridges, due volte campione NCAA con Villanova. La panchina viene affidata a Igor Kokoskov, reduce dal trionfo europeo con la nazionale slovena.
Gli ingaggi degli esperti Trevor Ariza e Ryan Anderson e l’estensione contrattuale siglata da Booker fanno pensare a una bella inversione di tendenza, ma la stagione che segue raffredda subito gli entusiasmi. Prima del via, Sarver dà il benservito a McDonough, reo di non aver portato a Phoenix una point guard titolare (che belli i tempi in cui ce n’erano addirittura tre…). Al suo posto subentra James Jones, fido ‘vassallo’ di LeBron James a Miami e Cleveland. Booker salta diverse partite per un infortunio al piede, ma al suo rientro esplode. A fine marzo mette a referto tre gare consecutive da 59, 50 e 48 punti, che coincidono con tre sconfitte dei Suns (la prima è un insindacabile -33 contro gli Utah Jazz). La vera perla del 2018/19 è però la trade mancata con i Memphis Grizzlies: Phoenix è convinta di aver chiesto Dillon Brooks, Memphis ha invece offerto MarShon Brooks, decisamente meno valido del suo omonimo. Va meglio con lo scambio che porta a Phoenix Kelly Oubre, il quale avrà un buon impatto in Arizona. Nel frattempo, Sarver intraprende una faida con le istituzioni locali in merito al restauro della Talkin’ Stick Resort Arena, minacciando di trasferire la franchigia in mancanza di adeguate sovvenzioni. A gennaio viene trovato finalmente l’accordo che dovrebbe mantenere i Suns a Phoenix almeno fino al 2037 e l’ennesima stagione da dimenticare si chiude con il licenziamento di Kokoskov. Monty Williams diventa il sesto allenatore negli ultimi sei anni di storia della franchigia.
La tanto attesa (e forse ormai insperata) svolta arriva nel 2019/20. I veterani Ricky Rubio, Dario Saric, Frank Kaminsky e Aron Baynes si rivelano preziosi rinforzi per una squadra che vuole e deve crescere. Nonostante la squalifica di 25 partite comminata ad Ayton per la positività a un diuretico e gli infortuni che bloccano prematuramente Baynes e Oubre, i Suns lottano fino all’ultima partita per un posto ai playoff. A trascinarli è il solito Devin Booker, che debutta all’All-Star Game e gioca a livelli da MVP nel campus di Orlando. Phoenix chiude gli otto seeding games con otto vittorie, comunque insufficienti a tenere il passo di Portland e Memphis.
Malgrado la delusione, la strada sembra finalmente quella giusta. Per uscire finalmente dall’interminabile tunnel (e non indurre Booker in pericolose tentazioni) manca il passo decisivo, quello che porta tra le migliori otto della Western Conference. Un traguardo che, con l’arrivo di Chris Paul, si fa sempre più vicino.
Oltre un decennio dopo Steve Nash, potrebbe essere CP3 a illuminare di nuovo la Valley of the Sun.