Oggi inizia il nostro viaggio che vi accompagnerà alla scoperta della nuova stagione NBA, presentando le squadre e i protagonisti del Campionato 2020/2021. Ad aprire le danze, la Southeast Division.
Se la Atlantic sembra la più equilibrata, la Southeast vede la presenza di una favorita d’obbligo: i Miami Heat di Erik Spoelstra e Jimmy Butler, finalisti solo pochi mesi fa e quindi in prima fila per conquistare nuovamente il “banner” assegnato ai campioni della Division. La principale contendente è Atlanta, la squadra più attiva nell’atipica e cortissima offseason 2020. Mentre Orlando e Charlotte lotteranno per un post ai playoff, è molto più difficile predire il futuro di Washington, anche, se non soprattutto, alla luce dell’arrivo di Russell Westbrook.
Partiamo alla scoperta delle protagoniste in rigoroso ordine alfabetico (tra parentesi il record dello scorso anno).
ATLANTA HAWKS (20-47)
Se c’è una franchigia che s’è data da fare sul mercato questa è Atlanta. Il General Manager Travis Schlenk ha investito oltre cento milioni di dollari per apportare le giuste modifiche e migliorare la squadra. L’obiettivo, abbastanza palese, è conquistare un posto ai prossimi playoff, qualificazione che manca dal 2017. Un progetto ambizioso e che mette ulteriore pressione a coach Lloyd Pierce, sul quale in estate circolavano voci non proprio rassicuranti.
La stella della squadra sarà sempre Trae Young, fantasiosa guardia che in soli due anni si è meritata la convocazione per l’All-Star Game di Chicago e, soprattutto, ha fatto dimenticare lo scambio con Luka Doncic. Un aspetto, quest’ultimo, da non sottovalutare considerando il successo dello sloveno. Sulle qualità realizzative e balistiche (quasi 30 punti di media e il 36% da tre punti) non ci sono assolutamente dubbi, quindi possiamo immaginare che a Trae verrà chiesto di delegare maggiormente ai compagni, così da non monopolizzare la gestione dell’attacco (altissimo l’Usage Rate: 35%), e di dedicarsi con più attenzione anche all’aspetto difensivo del gioco.
Per supportarlo, la dirigenza ha chiamato un trio di giocatori esperti e di talento: Rajon Rondo, Bogdan Bogdonovic e Danilo Gallinari.
Di Rondo ormai conosciamo tutti i pregi e i difetti: l’intelligenza cestistica fuori dal comune, la competitività ancora più prorompente e l’esperienza ad altissimo livello si accompagnano al carattere mercuriale e lunatico che spesso lo ha penalizzato nel corso della carriera. L’anno trascorso accanto a LeBron James, però, ha dimostrato come possa convivere con un altro “creatore di gioco”, e per questo può essere il perfetto “Virgilio” di Young verso l’élite della NBA.

Particolarmente interessante l’arrivo di Bogdan Bogdanovic, perché il serbo ha preferito l’ambizioso progetto degli Hawks all’opportunità di giocare al fianco di Giannis Antetokounmpo nei più attrezzati Bucks. L’aver giocato per anni a Sacramento forse lo ha celato al grande pubblico, ma con la completezza tecnica che lo ha sempre contraddistinto Bogdan potrà alternativamente fungere sia da “facilitatore” che da finalizzatore nell’attacco disegnato da Pierce.
La firma più ricca è stata quella del nostro Danilo Gallinari, che torna sulla costa Est dopo il debutto NBA in maglia Knicks. Dopo le sorprendenti qualificazioni ai playoff con Clippers e Thunder, il talento di Sant’Angelo Lodigiano ci riprova con i giovani “Falchi”. La versatilità di Danilo ben si sposa con un roster così vario e talentuoso. Secondo le dichiarazioni del GM Schlenk, Danilo potrebbe partire dalla panchina, in modo da rappresentare il punto di riferimento offensivo e carismatico di una “second unit” che si annuncia come uno dei punti di forza della squadra.
I nuovi arrivi (ci sono anche Kris Dunn e Solomon Hill) regaleranno una profondità irreale al roster, permettendo a coach Pierce di allargare la rotazione a dismisura e gestire al meglio le energie dei veterani nel corso di una stagione intensa. Tornano infatti tutti i protagonisti del non esaltante campionato 2020, su tutti John Collins e Clint Capela, la coppia titolare sotto canestro. Collins è ormai uno dei lunghi più prolifici e completi della NBA (21 punti e 10 rimbalzi di media, con il 40% da tre), ma le cifre richieste per rinnovare il contratto hanno spaventato la dirigenza, a maggior ragione se si considera la minore centralità dei lunghi nell’odierna NBA, nonché la presenza di Capela e Onyeka Okongwu, il rookie selezionato al Draft.
Se Capela rappresenta una certezza come centro difensivo (sempre che riesca a scendere in campo dopo la sfortunata stagione passata), Okongwu è la scommessa di Atlanta per sostituire Collins: non perché ne possa equiparare l’impatto offensivo, ma perché è in possesso di quelle potenzialità difensive che sembrano più funzionali al successo degli Hawks (costantemente tra le peggiori della lega nelle statistiche di efficienza difensiva).
C’è infine molta curiosità nel verificare i passi avanti di Kevin Huerter, Cameron Reddish e De’Andre Hunter. Se il primo è un tiratore naturale (38% da tre punti), e Reddish un talento cristallino irritante per l’incostanza, il prospetto più sicuro, quello che potrebbe configurarsi come il collante della squadra su ambedue i lati del campo, è Hunter (12 punti con 36% da tre punti nella promettente stagione da rookie).
In Georgia fanno davvero sul serio e le mosse autunnali rendono gli Hawks una delle franchigie più interessanti da seguire nel campionato alle porte. Sulla carta dovremmo vedere la truppa di coach Pierce strappare un biglietto per la postseason.
CHARLOTTE HORNETS (23-42)
Anche a Charlotte non sono stati quieti nelle poche settimane di mercato. Prima si sono accaparrati quello che potrebbe essere il giocatore del Draft 2020, quel LaMelo Ball che sprizza talento grezzo da tutti i pori. Poi hanno piazzato un colpo di coda degno di Godzilla, inchiostrando Gordon Hayward con un contratto monstre da 120 milioni di dollari. Un’enormità che ha provocato più di una risatina tra gli altri 29 GM della NBA.
Con queste due addizioni, gli Hornets sperano di colmare il gap che la separa dalle “magnifiche otto” che si qualificano ai playoff. Forse un po’ troppo ottimistico, ma c’è da dire che lo scorso hanno i “Calabroni” hanno chiuso al nono posto a Est, e il loro livello di talento si è alzato notevolmente.

Il nuovo back court avrà quindi LaMelo in regia. Un giocatore, come accennato in precedenza, in possesso di un talento invidiabile e difficilmente replicabile anche in un vivaio cestistico giovanile infinito come quello statunitense. Visione di gioco, rapidità, ball handling perfetto, tanta personalità: queste le qualità che saltano subito all’occhio osservando il “piccolo” Ball. Ci sono anche alcuni punti di domanda – l’approccio difensivo, il tiro da perfezionare e l’entourage su tutti -, ma dopo un normale periodo di adattamento, Ball sembra l’ideale per una squadra che coach James Borrego vorrà far correre, così da superare quelle difficoltà offensive che hanno contrassegnato la stagione scorsa (ultimi della lega per “pace”, ovvero ritmo offensivo, e nelle retrovie in ogni statistica riguardante l’attacco).
Una prima importante decisione che aspetta Borrego è la scelta del partner di Ball: chi sarà a fargli da spalla, Terry Rozier o Devonte’ Graham? Tralasciando le indiscrezioni che vorrebbero Rozier in partenza, il coaching staff sembra propenso a schierare in quintetto Graham, per caratteristiche (più abituato a giocare senza palla, più tiratore dalla distanza) più adatto a giocare da guardia e lasciare l’iniziativa a LaMelo. Rozier potrebbe tornare nel ruolo che lo aveva visto protagonista ai Celtics, ovvero il “guastatore” che cambia le partite con le sue scosse d’adrenalina in uscita dalla panchina.
Per migliorare la qualità dell’attacco degli Hornets, il GM Mitch Kupchak non ha esitato ad acquisire sul mercato Hayward. Dopo tre anni sfortunati nel Massachussets, Gordon è stato al centro di un’interminabile trattativa con Indiana prima di accettare l’offerta di Charlotte. Certo, i 120 milioni sono stati un discreto incentivo, ma dietro questa scelta c’è anche il desiderio di tornare a ricoprire quel ruolo di prim’attore che aveva ricoperto con successo ai Jazz e che a Boston non ha mai potuto interpretare. Dai tempi di Salt Lake City sono passati quattro anni e, soprattutto, si sono susseguiti tanti problemi fisici, ma Gordon è sempre un ottimo giocatore, capace di chiudere a oltre 17 punti di media come quarta opzione ai Celtics. In più, con i suoi trent’anni sarà il veterano di riferimento per i giovani Hornets.
Dopo aver rincorso inutilmente James Wiseman al Draft, James Borrego sembra aver deciso di schierare come centro titolare Tyler Zeller. Una via tradizionale che potrebbe anche essere accantonata per abbracciare completamente lo “small ball” e schierare sotto le plance la coppia composta da P.J. Washington e Miles Bridges. Il primo è l’esempio del lungo moderno ricercato dalla lega: nato come uomo d’area, ha costantemente ampliato il raggio di tiro fino a diventare un ottimo specialista dalla distanza (37% da tre). Deve accrescere la sua incisività a rimbalzo (solo 7 di media a partita, con un insufficiente 9,8% di Total Rebound Percentage), anche se le statistiche sono influenzate dalla frequentazione del perimetro. L’ex Michigan State è invece un’elettrizzante ala piccola dai prodigiosi mezzi atletici, a cui sarà chiesta una maggiore disciplina nelle scelte di tiro. Considerando la propensione realizzativa e la versatilità, Bridges potrebbe anche partire dalla panchina assieme a Rozier, così da fornire punti rapidi in una second unit ad alto numero d’ottani.
Dalla panchina, oltre al solito Bismack Biyombo, non un fine dicitore ma un solido rimbalzista e intimidatore, ci sono Malik Monk, persosi dopo la scintillante carriera a Kentucky, i gemelli Cody e Caleb Martin, le matricole Grant Riller (realizzatore esplosivo), Nick Richards e, soprattutto, Vernon Carey. Quest’ultimo è un centro “old school” (ma con mano educata anche da sei metri) uscito quest’anno da Duke che potrebbe rivelarsi molto interessante.
Ball e Hayward riusciranno davvero a riportare gli Hornets alla postseason? Sicuramente hanno riportato l’interesse verso una franchigia da troppo tempo ai margini della NBA, ma un posto tra le migliori otto sembrerebbe al momento un obiettivo non realizzabile.
MIAMI HEAT (44-29)
A Miami la stagione scorsa ha lasciato un sapore agrodolce in bocca. E’ vero, la franchigia della Florida ha disputato una seconda parte di stagione encomiabile, superando ogni avversario le si sia posto di fronte e arrivando fino alle Finals. Tuttavia, il non aver potuto affrontare i Lakers al completo provoca ancora un leggero malumore nell’ambiente. Sarà questo il fuoco su cui soffierà quella “vecchia volpe” di Pat Riley per stimolare una squadra che, comunque, ha acquisito una consapevolezza invidiabile dopo l’avvincente cavalcata ai playoff.
La sessione di mercato non ha visto particolari sconvolgimenti, ma non poteva essere altrimenti visto che l’obiettivo, più o meno dichiarato, è farsi trovare pronti per dare l’assalto a Giannis Antetokounmpo l’estate prossima. Torna quindi la quasi totalità del gruppo che ha conquistato le Finals, con l’unico ad aver abbandonato la truppa che è stato Jae Crowder (finito ai Suns), poi adeguatamente rimpiazzato da Riley con Avery Bradley e Maurice Harkless.
Il leader della squadra è naturalmente Jimmy Butler, ruolo che si è conquistato sul campo grazie alle eroiche prove disputate durante l’atto finale della scorsa postseason (ma non solo), nelle quali si è letteralmente sobbarcato le sorti della squadra ridotta ai minimi termini dagli infortuni. Oltre alla leadership tecnica, Jimmy è emerso anche come punto di riferimento nello spogliatoio, aspetto che sa di enorme rivincita dopo le polemiche che ne hanno accompagnato l’addio da Minneapolis e Philadelphia.
Accanto a lui sono esplosi Bam Adebayo e Tyler Herro. Bam fa ormai parte della ristretta cerchia delle superstar NBA, come dimostra la convocazione per la “Partita delle Stelle” dello scorso anno, nonché il ricco rinnovo contrattuale. Il mix tra fisicità e versatilità lo definiscono come il lungo perfetto per la nuova NBA, e se comparisse anche un tiro in sospensione più incisivo, Bam si proporrebbe come il lungo più dominante della lega assieme a Anthony Davis. Herro è risultato invece un’autentica sorpresa ad alto livello; la scelta numero 13 del Draft 2019 si è meritato la fiducia dei veterani e del coaching staff già durante il training camp, ma quanto mostrato ai playoffs ha dell’incredibile: 16 punti di media, 37 punti nella fondamentale gara-4 contro i Celtics e il maggior numero di triple segnate per un rookie nei playoffs, sono soltanto la copertina di un giocatore che non ha mai tremato nel calcare il palcoscenico più nobile della NBA. Il campionato alle porte gli regalerà un ruolo più ampio, magari con la partenza in quel quintetto base assaggiato contro i Lakers.

Il giocatore chiave però è Goran Dragic, decisivo alla ripresa delle ostilità in quel di Orlando. Se gli infortuni lo lasceranno in pace, proprio come era successo nella “bolla”, ecco che lo sloveno potrà nuovamente guidare l’attacco degli Heat negli infuocati playoffs 2021. Per risparmiarlo da inutili fatiche e preservarlo in vista delle battaglie della postseason, coach Spoelstra dovrà contare su Kendrick Nunn, apparso sottotono durante la scorsa postseason, e Avery Bradley: il nuovo arrivo non è certamente un regista, ma risulta essere un valido difensore sui play avversari e un discreto tiratore dall’arco sugli scarichi.
Sul lato debole, oltre a Bradley, troveremo spesso Harkless (il 32% da tre in carriera non lo indica come un tiratore naturale, ma è atteso a netti miglioramenti come ha dichiarato Spoelstra) e Duncan Robinson, considerato da molti come il miglior specialista del tiro dalla distanza dell’intera lega (quasi il 45% su otto tentativi a partita).
Le chance di ripetere, e migliorare, quanto fatto nell’ottobre scorso poggiano anche sulla consapevolezza di poter contare su una rotazione ampia e di qualità. Se Andre Iguodala sarà centellinato per le grandi occasioni, Udonis Haslem è l’entità spirituale della “Heat Culture”, mentre Kelly Olynyk e Meyers Leonard aiuteranno Adebayo sotto canestro, almeno finché la promettente matricola Precious Achiuwa non avrà assorbito i principi difensivi di “Coach Spo”.
Per noi italiani c’è poi molta curiosità nel verificare il futuro di Paul Eboua, volato da Pesaro a Miami e ora sotto contratto con la franchigia con un Exhibit 10.
Miami riparte dalle “sfortunate” Finals con la consapevolezza di appartenere al ristretto novero delle contender che puntano al titolo NBA 2021. Non possiamo quindi che aspettarci un posizionamento all’interno dei primissimi posti ad Est.
ORLANDO MAGIC (33-40)
Se i tifosi di Atlanta si sono entusiasmati con i fuochi d’artificio, Orlando ha servito una bella dose di camomilla ai propri fan. La campagna acquisti autunnale non ha riservato grandi scossoni: la squadra sarà, a grandi linee, la stessa che lo scorso anno ha vinto 33 partite e si è qualificata a degli insperati playoff. Quest’anno il traguardo sembra più difficile a causa di una maggiore concorrenza, ma spesso viene sminuita l’importanza di poter lavorare su un gruppo affiatato.
Coach Steve Clifford avrà sempre in Nikola Vucevic il punto di riferimento offensivo. Il montenegrino ha chiuso la scorsa stagione a cifre ragguardevoli (19 punti e 10 rimbalzi di media, con il 34% da tre punti), migliorandole nella serie con i Bucks (28 punti e 11 rimbalzi). Nessuno può dubitare delle qualità tecniche di Vucevic – difficile trovare un centro in possesso di mani così morbide dalla distanza e fondamentali così raffinati in post -, più facile avanzare qualche critica sulla carica agonistica e sulla leadership.
Lo stesso si può affermare per gli altri veterani del roster, da Evan Fournier a Terrence Ross, per finire con Aaron Gordon, tutti in possesso di statistiche interessanti ma ognuno sprovvisto di quelle doti necessarie per ricoprire il ruolo di guida per una squadra giovane e inesperta come i Magic. Fournier è uno dei giocatori più sottovalutati della NBA, dato che negli ultimi anni viaggia a circa 17 punti di media, garantendo a Orlando una solida presenza perimetrale. Meno costante, ma realizzatore molto più esplosivo – e per questo perfetto dalla panchina – Terrence Ross.
Ma è Gordon la vera incognita. Dopo un campionato 2017/18 molto convincente (non stranamente il “Contract Year”), nel quale era emerso come uno dei principali “two way players” delle NBA, Aaron ha subito una netta flessione (solo 14 punti di media con il 43% dal campo e il 31% da tre punti), alimentando il malcontento dei tifosi e le tante indiscrezioni che lo vorrebbero in partenza. L’ex Arizona è il miglior difensore della squadra, ma certamente i Magic, quando hanno investito quasi ottanta milioni di dollari, si aspettavano che continuasse a rifinire un repertorio offensivo un po’ limitato.

E’ facile, quindi, immaginare perché i Magic non riescano a compiere quel deciso passo in avanti: se i giocatori di riferimento sono più inclini a ricoprire il ruolo di gregario, è arduo pensare che contribuiscano alla crescita dei tanti giovani che arricchiscono il roster agli ordini di coach Clifford. In questi anni a Orlando hanno accumulato un bel gruppo di talenti da svezzare. Se Jonathan Isaac è alle prese con un infortunio che lo escluderà dalle competizioni per molti mesi, Markelle Fultz, Mohamed Bamba e Chuma Okeke sono molto attesi.
Fultz non può suscitare empatia per le vicissitudine fisiche che lo hanno condizionato. In tempi recenti, solo Greg Oden (altra prima scelta assoluta evaporata per colpa del fisico fragile) ha dovuto sopportare tanti infortuni, ma rispetto all’ex Blazer Markelle sembra aver trovato finalmente pace in Florida. Le confortanti prove dell’anno passato (12 punti, 3 rimbalzi e 5 assistenze di media) non sono ancora vicine alle promesse che lo accompagnavano ai tempi del Draft, ma si tratta pur sempre della prima vera stagione disputata dal talento di Washington. Quest’anno a coadiuvarlo ci sarà Cole Anthony, quindicesimo uomo scelto nell’ultimo Draft e, per questo, spinto da un grandissima voglia di rivincita. Per caratteristiche tecniche potrebbero rappresentare una coppia molto ben assortita, dato che a entrambi piace gestire la palla ma non disdegnano anche evoluire “off ball”.
Ad aiutare Vucevic sottocanestro saranno chiamati sia Bamba che Okeke. Grazie alle braccia interminabili, il tempismo e le qualità atletiche, il prodotto di Texas è uno dei principali intimidatori della lega (1,4 stoppate in soli 14 minuti d’impiego), ma i Magic si aspettano che il filiforme centro newyorkese possa giocare con maggiore continuità quest’anno, andando a costituire una solida alternativa – se non il compagno ideale – di Vucevic. Per Okeke, invece, si tratta della stagione d’esordio in NBA, visto che lo scorso anno è stato tenuto a riposo per permettergli il pieno recupero dalla rottura del temuto legamento crociato del ginocchio. Per quanto visto ad Auburn, Chuma è il prototipo del lungo moderno, capace di lottare a rimbalzo ma anche di aprire l’area con un preciso tiro dalla distanza (39% dall’arco nei due anni in maglia Tigers).
Completano la squadra i panchinari Michael Carter-Williams, James Ennis, Al-Farouq Aminu e il nuovo arrivato Dwayne Bacon, swingman che torna in Florida dopo essere stato una stella dei Seminoles di Florida State.
Orlando si trova in quella “terra di mezzo” tanto indesiderata quanto difficile da gestire. Sfruttare, finché possibile, Vucevic e Fournier, oppure cedere i veterani per lanciare i giovani e ricostruire definitivamente? Mentre la dirigenza s’interroga, coach Clifford riprorrà il consueto basket attento e fondato sulla solidità difensiva (quinti per punti concessi agli avversari) in modo da centrare la qualificazione alla postseason per il terzo anno di fila.
WASHINGTON WIZARDS (25-47)
Nella Capitale è iniziata una nuova era. Dopo dieci anni, il roster dei Wizards non vedrà più la presenza di John Wall, uomo franchigia dal 24 giugno 2010, il giorno in cui fu selezionato con la prima scelta assoluta del Draft. Purtroppo, gli infortuni che gli hanno fatto perdere gli ultimi due anni, hanno anche logorato il rapporto con la dirigenza, quest’ultima non proprio felicissima di dover pagare oltre 40 milioni di dollari all’anno per vederlo seduto a bordo campo.
L’erede, ormai designato da qualche anno, è un Bradley Beal che lo scorso anno ha pescato un’incredibile produzione offensiva (30 punti e oltre 6 assist di media), dimostrandosi desideroso di diventare il giocatore-faro della squadra.
Oppure no?
Un dubbio legittimo se guardiamo all’ultima mossa di mercato che ha visto approdare a Washington nientemeno che Russell Westbrook, giocatore dal pedigree addirittura più impressionante di Wall.

Westbrook riparte dai Wizards dopo il fallimento di Houston, dove la convivenza con Harden non si è rivelata facile e grandi risultati non sono di certo arrivati. Beal sembra avere caratteristiche tecniche più compatibili rispetto al #13 dei Rockets, ma più che l’aspetto tecnico (sia Westbrook che Beal lo scorso anno hanno registrato uno Usage rate tra i più alti della NBA) è quello caratteriale a rappresentare la maggiore sfida. Abituato a essere il punto di riferimento assoluto (MVP nel 2017, tre stagioni consecutive chiuse in tripla doppia di media), Russ sarà in grado di giocare per i compagni e delegare maggiormente le responsabilità? E il buon Bradley, una volta liberatosi dell’ingombrante ombra di Wall, sarà felice di condividere le copertine con il nuovo arrivo?
A Scott Brooks spetterà l’arduo compito di trovare le risposte a una convivenza che si preannuncia complicata, ma se c’è un allenatore che conosce il prodotto di UCL, questo è proprio Brooks, dato che proprio ai suoi ordini l’ex n°0 (quest’anno giocherà con il 4, ndr) ha raggiunto lo status di stella e disputato le Finals del 2012 con i Thunder.
Tornando al lato tecnico, la presenza di due profili come Beal e Davis Bertans sembrano l’ideale per completare Russell e colmare le sue lacune principali, ovvero la scarsa precisione nel tiro in sospensione (sotto il 30% nelle ultime tre stagioni) e, legata a doppio filo, una certa approssimazione come “closer” nei finali di partita.
Oltre a Westbrook, il colpo principale sul mercato è stata la conferma proprio di Bertans. Dato da tutti come in partenza, con più di una pretendete altolocata, alla fine Washington ha ottenuto l’agognata firma su un contratto davvero importante. È vero che 80 milioni in cinque anni possono sembrare troppi per uno specialista, ma il lettone è stabilmente tra i migliori tiratori dall’arco della NBA (42% su quasi nove tentativi a partita) e, soprattutto, la conferma rappresenta un segnale: i capitolini infatti è come se avessero voluto rassicurare Beal e fargli capire che la rotta è quella del ritorno ai livelli del 2017, quando i Wizards vinsero 49 partite. Per riuscirci sarà necessaria anche la crescita dei giovani arrivati negli ultimi anni, da Rui Hachimura (molto promettente l’esordio da 13 punti e 6 rimbalzi) a Troy Brown, passando per Thomas Bryant (centro da 13 punti e il 40% dall’arco) e Moritz Wagner, e chiudendo con la matricola Devi Avdija, il talentuoso israeliano selezionato alla nona scelta dell’ultimo Draft.
L’arrivo di Westbrook ha modificato l’immagine dei Wizards, attirando su di loro attenzioni e aspettative insperate fino a qualche settimana fa. Le incognite sono molte, ma i primi indizi provenienti dal training camp parlano di un Russell motivatissimo e desideroso di far funzionare il tandem con Beal. Se così fosse, il talento ai “Maghi” non manca per tentare una difficile, ma non impossibile, qualificazione ai playoff.