Proseguiamo il nostro viaggio alla scoperta della nuova stagione NBA caratterizzato dalla presentazione delle varie division. Dopo aver trattato, in apertura di danze, la Southeast, è ora il turno di una Atlantic che racchiude quattro pezzi grossi della Eastern Conference.
Le franchigie verranno presentate in rigoroso ordine alfabetico (tra parentesi il record dello scorso anno).
Nonostante l’assenza di Kevin Durant e l’infortunio a Kyrie Irving abbiano indebolito i Nets, la Atlantic si è comunque dimostrata la più solida delle tre division ad est del Mississippi. In un testa a testa per il primato, Toronto ha “scollinato” al comando della stagione regolare salvo poi venir eliminata da Boston nei playoff. Con il rientro dei due All-Star a Brooklyn ed il riscatto invocato a Philadelphia dopo una stagione a luci ed ombre, è facile prevedere che sarà proprio la Atlantic ad occupare il maggior numero di sedie nei playoffs della Eastern Conference.
BOSTON CELTICS (48-24)
E’ possibile rinforzarsi perdendo un All-Star? Sì, se l’All-Star è Gordon Hayward e negli ultimi tre anni ha giocato solo un terzo delle partite. Ma a parte le battute, Danny Ainge, il GM dei Celtics, avrebbe fatto carte false per trattenere il numero 20 che invece ha preferito un nuovo inizio dopo le disgraziate stagioni nel gelo della Baia e dei ripetuti infortuni. Uno schiaffo ai tifosi che credevano in lui e si aspettavano almeno un campionato “intero”, a fronte dell’investimento triennale da 90 milioni di dollari… praticamente 650.000 dollari a partita. Resosi conto che questa partita era persa, Ainge ha rifiutato di scambiare l’atleta con Myles Turner e Greg McDermott degli Indiana Pacers: Indianapolis sarebbe stata la meta preferita di Hayward ma il front office dei Celtics non si è dimostrato particolarmente entusiasta né delle doti di Turner, né del suo contratto, e così l’atleta ha preferito l’offerta – giudicata esagerata dagli addetti ai lavori – avanzata dagli Hornets. A quel punto ai Celtics non è rimasto che bussare a casa-Jordan e proporre di favorire il passaggio del giocatore in cambio di una “traded player exception” da oltre 28 milioni (la più alta nella storia dell’NBA) che potrebbe risultare utile in futuro.
Dopo aver ceduto i due centri europei Vincent Poirier e Enes Kanter, e “perso” anche Brad Wanamaker, Ainge è corso ai ripari firmando due veterani: Tristan Thompson e Jeff Teague. Thompson, pedina importante nel titolo 2016 dei Cavaliers di LeBron, dalla partenza del “Re” ha perso un po’ dello smalto e spera di ritrovarlo in una “contender” decisamente più strutturata degli ultimi Cavs in ricostruzione. Porta solidità sotto canestro e una potenziale “doppia-doppia”, anche se non è il “verticalista” che tutti cercano. Il suo ruolo sarà comunque quello di limitare i Bam Adebayo dell’NBA, i centri piccoli ma potenti che hanno spadroneggiato nei playoff. Teague invece, nonostante i 32 anni suonati, è uno dei soli sette giocatori ad aver fatto registrare almeno 10 punti e almeno 5 assist dal 2013 ad oggi. All-Star nel 2015, ha perso parte dell’atletismo ma Stevens confida nella sua capacità di fornire punti e leadership dalla panchina, tasto dolente per i Celtics nella scorsa postseason.

Al draft sono arrivati Aaron Nesmith, forse il miglior tiratore dell’intero lotto tra le scelte, e Payton Pritchard, “guerriero” da Oregon University. Il loro impatto in termini di punti segnati condizionerà la stagione dei biancoverdi, anche se le loro fortune passano per le mani del quartetto composto da Jayson Tatum, Jaylen Brown, Kemba Walker e Marcus Smart. Il primo ha firmato un’estensione contrattuale massima da 195 milioni di dollari per cinque anni, il secondo invece si gode l’accordo da 168 milioni che a distanza di 12 mesi sembra sempre di più un affare coi fiocchi: sono i perni sui quali saranno costruite le fortune future di Boston. Kemba Walker doveva essere il trascinatore del gruppo ma diversi problemi al ginocchio lo hanno rallentato nei playoff. Si è sottoposto ad una cura con iniezione di cellule staminali e sarà fuori fino a gennaio. Marcus Smart rimane il barometro della squadra, con la sua capacità di cambiare il livello di energia delle partite su entrambi i lati del campo. Il tedesco Daniel Theis ha giocato una splendida stagione, anche se ha finito per essere utilizzato troppo. L’acquisto di Thompson e la crescita del giovane Robert Williams lo aiuteranno a tirare il fiato.
Completano il gruppo il secondo anno Grant Williams, ala dal grande QI cestistico ma che fatica in attacco, e Carsen Williams e Tremont Waters, guardie che, a meno di inattese esplosioni, difficilmente riusciranno a spostare gli equilibri.
Dove possono arrivare i Celtics? Un gruppo giovane ma già esperto può puntare in alto, anche se hanno perso il terzo All-Star in tre anni e le avversarie si sono rinforzate. Tra l’altro ora le giunture di Kemba cominciano a scricchiolare…
Difficile che questa squadra possa puntare al titolo, a meno che Ainge con la “TPE” da 28 milioni o con qualche altra magia riesca a fare un colpaccio.
BROOKLYN NETS (35-37)
Solo dodici mesi fa a Brooklyn si sentiva il profumo della vittoria. Avevano una squadra in ripresa, un nuovo proprietario (Joseph Tsai), e soprattutto si erano portati a casa due delle stelle più brillanti nell’intero panorama NBA: Kyrie Irving e Kevin Durant. Ok, Durant era infortunato e non avrebbe messo piede sul parquet del Barclay Center prima di un anno, ma l’arrivo di Irving in un momento di rinascita era già sufficiente a rigenerare l’interesse tra i sofferenti tifosi newyorchesi.
Purtroppo qualcosa non ha funzionato. La chimica tra il volubile campione ed i compagni è andata a farsi benedire fin dal viaggio pre-stagionale in Cina e, quasi paradossalmente, la squadra ha giocato meglio quando Kyrie si è infortunato. La stagione però non è mai decollata e le difficoltà sono costate il posto in panchina a Kenny Atkinson. Il sostituto, Jacque Vaughn, ha messo assieme un interessante record di 7-3 nella “bolla” di Orlando, prima di esser rispedito a casa senza troppe cerimonie dai Toronto Raptors con un eloquente 4-0 al primo turno di playoff. Il GM Sean Marks però non si è fatto prendere dal panico. Ha riportato a casa il free agent Joe Harris con un rinnovo da 72 milioni in quattro anni e reso ancor più solido il backcourt in uno scambio a tre che ha fruttato la guardia Landry Shamet. Ora il reparto può contare su Irving, Harris, Shamet, Caris LeVert, Spencer Dinwiddie e Tyler Johnson… non male.

Ovviamente il punto focale del gruppo sarà – come e più di Irving – Kevin Durant. Il prodotto di Texas sarà chiamato a tornare ai livelli visti prima ai Thunder, e poi ai Warriors, ritagliandosi il ruolo di principale terminale offensivo e di discreto lavoratore nella propria metà campo. Solo in questo modo Brooklyn potrà finalmente fare la voce grossa e recuperare un anno di semi-transizione.
Considerando comunque che Durant dovrebbe riprendere con qualche limitazione nell’utilizzo, Marks come polizza assicurativa si è portato a casa il veterano Jeff Green. Negli spot di ala piccola sarà comunque probabile vedere anche Harris e, per qualche scampolo di partita, il punto interrogativo Timothe Luwawu-Cabarrot. Sotto canestro la coppia composta da DeAndre Jordan e Jarrett Allen lascerà a Nic Claxton le briciole, anche perché il prodotto di Georgia è alle prese con la rieducazione dopo il fastidioso intervento chirurgico alla spalla.
Cosa aspettarsi dai Nets? Non ci saranno mezze misure: o la squadra procederà compatta e sicura, sospinta dalle sue stelle, verso una postseason ricca di soddisfazioni, o i piccoli veleni da spogliatoio disperderanno le energie mentali, rallentando la corsa. Irving è un po’ una mina vagante, ma Durant è atleta di carattere e ormai ha l’esperienza per gestire uno spogliatoio “tutto suo”.
NEW YORK KNICKS (21-45)
Coach Tom Thibodeau, neo detentore delle redini della panchina, lo ha detto a chiare lettere: “non faremo tanking”. E conoscendo il personaggio, non c’erano dubbi.
Thibodeau, genio difensivo dei Celtics campioni nell’ormai lontano 2008, negli ultimi dieci anni ha fatto benino: lavoro pregevole sulla panchina dei Bulls e poi qualche problema ai T’Wolves, dove è stato travolto dalla fragilità di un ambiente tossico in cui la proprietà fa il lavoro del GM e le stelle non sono dotate di “garra”. Ma sia che le cose andassero bene che andassero male, Thibs ha mantenuto la fama di allenatore che non regala nulla e che i minuti ai suoi giocatori li fa guadagnare. Sembra l’uomo giusto al posto giusto per una squadra che come costante ha avuto la porosità difensiva, ma il segreto del successo per i Knicks sarà come il nuovo timoniere riuscirà a lavorare di concerto con Leon Rose, l’ex procuratore di giocatori che da febbraio riveste la carica di “presidente delle operazioni cestistiche” della franchigia newyorchese. Rose si è distinto per il suo approccio misurato ed ha evitato l’errore più comune tra i colleghi del passato: quello di tentare di stravolgere immediatamente il roster. Ha lasciato spirare più contratti possibili per poi muoversi aggressivamente al draft, nel quale ha portato a casa Obi Toppin e Immanuel Quickley, e quindi completare la rosa con le firme dei free agent Alec Burks e Nerlens Noel.
Toppin sembrava destinato alle prime cinque chiamate ma è scivolato alla 8. E’ sicuramente l’atleta più “pronto” dell’intero draft, ed a riprova di ciò ha già fatto registrare i risultati migliori nei test atletici di squadra. Enormi mezzi atletici, buona mano dalla distanza: come mai è stato chiamato solo alla 8? Semplice, perché gli esperti vedono l’età di 22 anni e dicono “ha già raggiunto il suo limite, non sarà mai una stella”… adesso spetta a Obi smentirli. Quickley invece è una guardia dall’ottimo tiro e dall’interessante IQ cestistico, ideale per completare un parco guardie al momento affidato ai non affidabilissimi Elfrid Payton e Frank Ntilikina. Dice di essersi allenato alla playstation per imparare le caratteristiche dei compagni di squadra…
RJ Barrett sarà la punta di diamante: sebbene le sue percentuali di tiro necessitino un miglioramento, la giovane età e quella combo di 14 punti/5 rimbalzi a gara rappresentano numeri sufficienti a metterlo al centro del progetto. Al suo fianco Mitchell Robinson, centro al terzo anno nella lega che dovrebbe ottenere i gradi di titolare una volta per tutte. Ottimo nella protezione del ferro, ha tirato con un fantascientifico 74% dal campo frutto delle innumerevoli schiacciate. Quasi 10 punti, 7 rimbalzi e 2 stoppate in 23 minuti di utilizzo medio lasciano prevedere un sostanziale aumento del suo utilizzo.
L’arrivo di Alec Burks (15 punti a partita la scorsa stagione col 38% da tre) dovrebbe garantire maggior profondità al reparto guardie e permettere a Barrett di giostrare qualche minuto nello spot di ala che gli è congeniale. Burks, che ha cambiato sei casacche negli ultimi due anni e viene dalla sua miglior stagione in carriera, non è un difensore arcigno, ma l’esperienza non si insegna ed i suoi 29 anni di età e 9 di esperienza in NBA saranno sicuramente utili. Anche Noel ormai è un veterano e dopo quattro anni nella Western Conference torna ad Est per coprire le spalle di Mitchell Robinson.

Firmato anche Austin Rivers e riportato a casa Payton a cifre più modeste, è chiaro che l’intento dei Knicks sia quello di far crescere la base di giovani a roster oltre a recuperare qualche altro giocatore che si è perso per strada. In primis Dennis Smith Jr., guardia di grande atletismo che ha tuttavia faticato molto a Dallas e poi, appena arrivato a New York, ha patito una serie di infortuni che lo hanno limitato a 55 partite in due stagioni. Probabilmente godrà della fiducia di Thibodeau, anche se per lui la stagione 2020-2021, nonostante abbia solo 23 anni, assume già il sapore di “momento della verità”. Julius Randle, il miglior attaccante dei Knicks, è forse l’atleta meno… desiderato dal front office. Non tanto per il talento, quanto per un contratto che dice 19 milioni a stagione e che scadrà “solo” nel 2022, quindi dopo la free agency di Antetokounmpo. Oltre alle conferme da Mitchell Robinson e RJ Barrett, Rose e Thibodeau si aspettano qualcosa in più da Kevin Knox, nona scelta assoluta al draft 2018 che, dopo un anno da matricola incoraggiante, è “svaporato” perdendo il quintetto base. Il posto gliel’ha rubato lo sfortunato Reggie Bullock, tiratore perimetrale e difensore arcigno nel classico “3 and D” tanto in voga. La scalogna però ha colpito il bravo Reggie: prima l’assassinio di una sorella a Baltimore, poi un grave infortunio alla schiena che ha richiesto un intervento di fusione spinale. I Knicks, parafrasando Spike Lee, hanno fatto la cosa giusta rinnovando l’opzione sul suo contratto e regalandogli un’opportunità.
Dall’analisi del roster appare evidente che la mancanza di esperienza e le scommesse su giocatori reduci da infortuni o annate negative sono variabili importanti soprattutto in una division agguerrita come la Atlantic, che può contare su tre contender e sui Nets dei redivivi Kevin Durant e Kyrie Irving. Tutto lascia presagire l’ennesima stagione ad annaspare sul fondo e sarebbe l’ottava di fila senza playoff. Però, a differenza del recente passato, i Knicks sembrano aver imboccato una via sobria come non si vedeva dai tempi di Donnie Walsh nel lontano 2011. Per la prima volta in dieci anni gli addetti ai lavori parlano del front office newyorchese con rispetto, segno che forse questa è davvero la strada giusta.
PHILADELPHIA 76ERS (43-30)
A Philadelphia l’esito dei playoff non è piaciuto proprio per niente. Ok, Ben Simmons era infortunato, ma il modo in cui i Sixers si sono chinati al cospetto dei Celtics aveva aperto una brutta ferita, dimostrando che “The Process” era ad un punto morto. E perciò sono volate le teste.
La prima è stata quella di coach Brett Brown, seguita poco dopo da quella di Alex Rucker, il vice del GM Elton Brand. Lo stesso Brand si è salvato perché pare che il suo ruolo sia soprattutto “istituzionale” e che le sue doti nella gestione dei rapporti coi giocatori siano riconosciute, anche se la proprietà si aspettava che prendesse in mano la situazione pure dal punto di vista del management. Cosa che non è accaduta, e quindi i due partenti sono stati sostituiti da personaggi di alto profilo in cerca di riscatto: sulla panchina siederà “Doc” Rivers, dietro alla scrivania ci sarà Daryl Morey. Il primo ha dichiarato subito di voler essere chiamato “Glenn”, perché “a Philadelphia c’è solo un Doc e di cognome fa Erving”, il secondo invece ha dato fuoco alle polveri ed in breve tempo ha rivoltato il roster come un calzino. A Oklahoma City è stato spedito Al Horford, che forse ora rimpiange di non essere rimasto ai Celtics, in cambio di un Danny Green fresco campione coi Lakers. Morey ha poi ceduto Josh Richardson in cambio di Seth Curry, fratello “povero” di Steph che sarà allenato dal suocero (ha sposato Callie, la figlia di Rivers). I due nuovi innesti evidenziano il nuovo piano: ricostruire intorno al duo Joel Embiid/Ben Simmons la batteria di tiratori sul modello di quella che solo 18 mesi fa aveva portato i Sixers ad un tiro (e che tiro… quello dei “quattro rimbalzi”) di distanza dalle finali di Conference. La coppia Curry-Green, mortifera dall’arco, dovrebbe incanalare il gioco in quella direzione.
Ovviamente ci si aspetta comunque una continua crescita da parte dei due volti della franchigia, con il #21 che dovrà dimostrare maggiore maturità e il #25 un arsenale offensivo più ampio (nella breve offseason ha affermato di aver curato molto il tiro dall’arco, vedremo…). Senza contare che Embiid e Simmons dovranno continuare a rappresentare due solidi perni del meccanismo difensivo.

Al draft Phila si è assicurata il texano Tyrese Maxey, combo guard ultra-compatta che a qualcuno ricorda vagamente Jrue Holiday, e, al secondo giro, il tiratore Isaiah Joe e l’agile Paul Reed. Nomi interessanti per riempire il roster di gioventù, anche se solo Maxey al momento sembra in grado di potersi guadagnare qualche minuto nella rotazione. Via anche Zhaire Smith scambiato per Tony Bradley, lungo di belle speranze reduce da un’annata incoraggiante nello Utah. Ma non sarà lui il primo cambio di Embiid: al posto di Horford è stato infatti reclutato Dwight Howard, che – per non smentire la sua fama – prima ha comunicato di essere felice di tornare ai Lakers e poi, resosi conto che L.A. non lo voleva più, ha accolto il ritorno ad Est con una disinvoltura chiaramente poco spontanea. L’impresa per Morey sarà quella di liberarsi dell’oneroso contratto di Tobias Harris, che, poverino, sta anche contribuendo con quasi 20 punti a partita, ma ha un contratto da 34 milioni annui che il front office dei Sixers preferirebbe regalare a un atleta di maggior spessore.
Il roster è completato dall’arrivo dell’ala Ryan Broekhoff e dai confermati Mike Scott e Furkan Korkmaz. Rivers regalerà particolare attenzione alla coppia Shake Milton/Mathisse Thybulle, due ragazzini che hanno portato un po’ di luce in una stagione ricca di ombre.
La delusione patita nei playoff ha causato un terremoto in casa 76ers, ma a differenza del passato il front office sembra abbia reagito prontamente affidandosi a uomini di provata esperienza. Predire dei Sixers da titolo è decisamente troppo, ma la doccia fredda della postseason, l’entusiasmo dei nuovi arrivati e la voglia di rivalsa del duo Embiid/Simmons dovrebbero essere carburante sufficiente per un volo nei piani alti della Conference.
TORONTO RAPTORS (53-19)
Nei playoff hanno combattuto fino allo stremo, mettendoci anche qualcosa in più del previsto, ma alla fine i Raptors hanno dovuto inchinarsi e cedere lo scettro. Tutti avrebbero pensato che il GM Masai Ujiri avrebbe architettato una delle sue mosse per portare in Canada un pezzo da novanta, ma nell’estate indiana di questa NBA anomala lui si è mosso con circospezione.
Alla partenza di Serge Ibaka, pezzo importante nella scacchiera di coach Nick Nurse, ha risposto con l’acquisizione di Aaron Baynes, mentre quella di Marc Gasol con l’arrivo di Alex Len. Baynes è un ottimo acquisto, ma in valore assoluto Toronto ha perso qualcosa sotto canestro: Ujiri non è uno sciocco e sa bene che nell’estate 2021 Giannis Antetokounmpo potrebbe lasciare il Wisconsin. E lo spazio salariale creato mette Toronto in posizione – seppur non preminente – per puntare a The Greek Freak. Nel frattempo il GM e Nurse sono convinti di poter non solo attutire il colpo delle due partenze, ma addirittura fare meglio approfittando della crescita di Chris Boucher, il carneade che solo qualche anno fa lavorava come cuoco a Montreal e che ora ha messo il suo nome in calce a un contratto biennale da oltre 13 milioni di dollari. E poi in uno dei due spot di ala i Raptors hanno sempre Pascal Siakam, atleta in rampa di lancio che ha comunque faticato a vestire i panni della “punta di diamante” nella serie contro Boston. Niente di male, quando arriverà il momento dell’assalto ai free agent Ujiri sul piatto potrà mettere, se non spiagge soleggiate e serate a teatro, almeno una squadra ben allenata e con alcuni pezzi – Siakam, OG Anunoby e Fred VanVleet – pronti a puntare immediatamente al bersaglio grosso (leggi “Larry O’Brien Trophy”).

Le chiavi della fuoriserie sono sempre nella mani di Kyle Lowry, leader della banda che ha guidato con perizia “in absentia Kawhi”. L’età non è verdissima, con l’avvicinando alle 35 primavere che potrebbe rappresentare il suo ultimo valzer da point man titolare. Meglio ballarlo bene. Alle sue spalle – ma più probabilmente anche anche al suo fianco in quintetto, visto che sa contribuire da “off-guard” con profitto – Fred VanVleet, la cui dedizione e grinta sono servite per arrivare ad un contratto importante (85 milioni per 4 anni) rimanendo tra le fila dei canadesi. In terza battuta, ma con le pinze, il ruolo di point man può essere coperto dalla matricola Malachi Flynn. Detto di Siakam, la “frontline” nelle situazioni small ball preferite da Nurse nei playoff sarà composta anche da OG Anunoby, atteso alla conferma dopo un stagione da 10 punti e 5 rimbalzi a soli 22 anni, e dal discontinuo Norman Powell, tiratore di caratura finissima che ha mostrato lampi spettacolari nei playoff, ma troppo spesso viaggia a corrente alternata indispettendo un coach pragmatico come Nick Nurse. Anunoby, probabilmente il miglior difensore dei Raptors, ha anche dimostrato di avere la freddezza necessaria per fare “qualcosa di più”, come testimoniato dal tiro che ha regalato la vittoria in gara-3 coi Celtics. Se continua a crescere l’accoppiata con Siakam potrebbe diventare “l’incubo africano” dell’intera NBA.
La rotazione è completata da DeAndre Bembry, Patrick McCaw (altro giocatore discontinuo), Stanley Johnson e dal tiratore Matt Thomas: quest’ultimo potrebbe trovare spazio inatteso viste le vicissitudini giudiziarie di Terence Davis, che a novembre è stato arrestato con l’accusa di violenza domestica. Cose che non vorremmo mai leggere… Per assurdo il migliore acquisto dei canadesi potrebbe essere Chris Finch. “Chi?”, si chiederà la maggior parte di voi, ed è una domanda legittima. Finch è il “guru” offensivo che ha in parte ispirato il lavoro di Nurse e che è stato uno degli architetti del gioco dei Rockets, dei Nuggets (con Jokić a fare da playmaker) e dei Pelicans formato “Davis-Cousins-Mirotić”. Il suo compito sarà quello di oliare degli ingranaggi piuttosto arrugginiti nell’attacco a metà campo, vero tallone d’Achille del gruppo. Il limite dei Raptors formato 2020-2021 (che, a causa della pandemia, saranno eccezionalmente di casa a Tampa, Florida) potrebbe essere il cielo, nel caso Siakam tornasse ai livelli pre-bolla e Anunoby si rivelasse un’opzione offensiva affidabile.
L’età di Lowry e le prestazioni ondivaghe di Powell però sono grossi punti interrogativi che la solidità di VanVleet, Baynes e Boucher può solo in parte risolvere. I Raptors appaiono leggermente indeboliti in termini di talento assoluto, ma la verve di Nurse – a volte eccessiva – e l’arrivo di Finch sono fattori che non andrebbero sottovalutati.