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NBA Preview: Northwest Division

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Penultima tappa del nostro viaggio nell’analisi delle varie division della NBA. Dopo la Southwest, ecco la Northwest Division con alcune delle squadre più difficili e arcigne da affrontare: lo scorso anno infatti, quattro delle cinque franchigie hanno disputato i playoff, di cui una, i Denver Nuggets, ha raggiunto le finali di conference.

La stagione ai nastri di partenza vede dunque la squadra del Colorado guidata da Murray e Jokic come favorita, gli Utah Jazz dell’appena rinnovato Mitchell in cerca di riscatto dopo essere stati eliminati al primo round (proprio da Denver), e i Portland Trail Blazers della coppia Lillard-McCollum desiderosi di step ulteriori in postseason.
Gli Oklahoma City Thunder dovranno molto probabilmente dare un “arrivederci” ai playoff, dopo che negli ultimi dodici anni sono stati assenti nella postseason solo in un paio di occasioni, dichiarando aperta la fase di rebuilding. Obiettivo playoff ancora lontano da raggiungere anche per i Minnesota Timberwolves, i quali, nonostante un roster con pedine fondamentali come Russell, Towns e la prima scelta assoluta Anthony Edwards, hanno ancora evidenti problemi strutturali.

Tanta curiosità attorno a queste franchigie che verranno presentate come al solito in rigoroso ordine alfabetico (tra parentesi il record dello scorso anno).


DENVER NUGGETS (46-27)

I Denver Nuggets la scora stagione sono stati protagonisti di una cavalcata sorprendente, specie nei playoff, arrivando a raggiungere le finali di conference e chinandosi con onore solo al cospetto dei futuri campioni. Un percorso, quello nella postseason, che li ha visti ribaltare al primo turno gli Utah Jazz e alle semifinali i più accreditati Los Angeles Clippers, dopo che la franchigia del Colorado è stata sotto 3-1 in entrambe le serie (prima volta nella storia in cui una squadra compie queste due imprese consecutive).

Gran parte del merito è dovuto soprattutto all’ascesa al rango di superstar di Jamal Murray: vero mattatore nella “bolla” di Orlando, è stato fondamentale con le sue clamorose prestazioni, in particolare nella serie contro i Jazz dove ha totalizzato 142 punti in appena tre gare. Le medie del canadese ai playoff sono state di 26.5 punti, 4.8 assist e 6.6 assist, e se offensivamente non ha lasciato dubbi sulle sue qualità, qualcosa dovrà migliorare nella propria metà campo, dove a detta di coach Mike Malone ha già dimostrato dei passi in avanti.
Sparring partner di Murray è il serbo Nikola Jokic, che viene dalla sua seconda convocazione all’All-Star Game ed è il vero playmaker occulto della squadra: per lui non parlano solo le statistiche (7 assist di media la passata stagione, sicuri sia un centro?), ma anche un’eleganza nei movimenti e nel ball handling abbinata alla visione di gioco. “The Joker” è un’arma tattica dal post basso, dove può attirare raddoppi e servire i compagni taglianti in area o liberi oltre l’arco dei tre punti, ma può dimostrarsi una valida pedina anche dalla medio-lunga distanza, dimostrandosi quindi un giocatore versatile difficile da prevedere.

NBA: la costanza dei Denver Nuggets

Il quintetto dovrebbe completarsi con la presenza di Gary Harris, che negli ultimi anni è stato soggetto di diversi infortuni e deve ritrovare fiducia nel suo tiro e nell’attaccare il ferro, Michael Porter Jr., dichiaratosi pronto a diventare la terza stella della squadra ma con ancora ampi margini di miglioramento, e il veterano Paul Millsap, rinnovato per un’altra stagione (la prossima sarà UFA).

Dalla panchina saranno fondamentali gli apporti di Will Barton, in fase di rientro dopo un persistente problema al ginocchio, e di Bol Bol. Il figlio del grande Manute, che è stato firmato con un contratto standard biennale, con i suoi 218 cm potrà ricoprire i ruoli dal 3 al 5 avendo sia dimensione interna che perimetrale, e per Malone dovrà essere più di un semplice rim protector in difesa. I Nuggets hanno infatti perso Mason Plumlee, Jerami Grant e Torrey Craig, che ricoprivano ruoli chiave e soprattutto in difesa: al loro posto oltre aver firmato Bol, Denver ha aggiunto JaMychal Green e confermato Monte Morris, premiando la sua affidabilità con un’estensione contrattuale di tre anni a 27 milioni.

Un buon contributo potrebbe arrivare anche dai rookie: la guardia R.J. Hampton, 24esima scelta al draft reduce da una prima stagione da professionista ai New Zealand Breakers in Australia, dopo essere uscito dalla high school come prospetto a cinque stelle; Zeke Nnaji, ala di 211cm in uscita da Arizona con etica del lavoro; e il play dotato di estro Facundo Campazzo, che tenta l’avventura oltreoceano a 29 anni dopo le stagioni in Eurolega al Real Madrid e ha già ben impressionato in preseason.

Coach Malone è fiducioso nonostante le perdite durante la free agency: se Harris ritroverà la strada e Barton non avrà problemi fisici, Denver ha le carte in regola per essere una outsider per il titolo e il pericolo numero uno alle spalle dei Lakers nella Western Conference.



MINNESOTA TIMBERWOLVES (19-45)

I Minnesota Timberwolves sono stati tra gli otto team a non essere invitati nella “bolla” di Orlando a causa di un distacco di sei gare dalla zona playoff, sfumata per l’ennesima volta. L’ultima comparsa in postseason risale a due anni fa (1-4 vs Rockets) – ma è stata l’unica da sedici anni ad oggi – e quasi certamente i tifosi dovranno ancora attendere almeno per un altro paio d’anni, quando le scelte al draft avranno maturato un minimo di esperienza e chissà, potrebbe essersi aggiunto qualche free agent d’impatto.

Partiamo proprio dal draft, dove i T-Wolves alla prima scelta assoluta hanno selezionato Anthony Edwards, guardia massiccia in uscita dal college di Georgia, dove nel suo unico anno di militanza ha realizzato medie di 19.2 punti, 5.2 rimbalzi e 2.8 assist. Il suo obiettivo sarà quello di costruirsi una reputazione, come gli hanno consigliato star affermate del calibro di Oladipo, Wade e Iverson: “Dopo il mio primo anno mi conosceranno tutti“, ha dichiarato in offseason Edwards. Parole che i “lupi” sperano si materializzino in fatti.

Al di là di Edwards, la squadra ha un punto fisso, giunto ormai alla sua sesta stagione a Minneapolis: Karl-Anthony Towns. Il centro dalla stagione da rookie ha collezionato ottime cifre (sempre in doppia doppia di media), ma ciò che gli manca è la cattiveria agonistica necessaria ad affermarsi tra i giocatori più forti nella lega. Visto il suo alto tasso tecnico, fatto di buoni movimenti vicino a canestro e una mano delicata dalla distanza, sembra essere infatti la componente caratteriale l’unico ostacolo ad un definitivo salto di qualità. Il Covid-19 gli ha portato via diversi parenti stretti – tra i quali soprattutto la madre – e questo potrebbe spingerlo ad onorare sui parquet coloro che lo hanno supportato maggiormente nel corso degli anni.

Della stessa annata del #32 è D’Angelo Russell, trasferitosi nel freddo Minnesota a febbraio dalla calda San Francisco, dove ai Warriors non ha convinto abbastanza ed è stato scambiato per Andrew Wiggins. Russell dovrà dimostrare continuità di rendimento da quando, nel 2018-2019, si è guadagnato la chiamata per la partita delle stelle e fondamentale sarà la chimica che si instaurerà fra lui e Towns. Così come sarà ovviamente importante la sua capacità nel creare gioco per tutti i compagni, unendo le doti di scorer a quelle di creator.

Il presidente Gersson Rosas durante la free agency ha cercato di rafforzare la squadra assicurandosi il ritorno di Ricky Rubio, che sarà back up di Russell e all’occorrenza potrebbe pure giocarci fianco a fianco (con D’Angelo che andrebbe quindi nello spot di shooting guard). All’approdo del play spagnolo vanno aggiunti quelli di Ed Davis, veterano dalle mille battaglie sotto le plance, e il rinnovo di Juancho Hernangomez, arrivato tramite trade ed in grado di ben figurare nel ruolo di sostituto di Covington in quintetto.

La situazione potrebbe però evolversi: nel roster allenato da coach Ryan Saunders c’è un’evidente carenza nel ruolo di 4, mentre vi è un sovraffollamento nel reparto esterni. Oltre ad Edwards bisogna considerare infatti le presenze di Malik Beasley (rifirmato a 60 milioni per quattro anni), la sesta scelta del 2019 Jarrett Culver ed il nigeriano Josh Okogie. L’altra scelta al draft Jaden McDaniels potrebbe tappare il buco, ma la mancanza di esperienza e di una tecnica affidabile non lo rendono un candidato valido. Al momento Jake Layman sembra essere l’unica strada percorribile, ma è ovvio che non potrà esserlo alla lunga, quantomeno se Minnesota punta a rialzarsi. Vedremo come la franchigia deciderà di muoversi a stagione in corso.

In quel di Minneapolis sarà dunque interessante osservare l’impatto di Edwards nella NBA, e quali potrebbero essere i movimenti futuri della franchigia, in attesa di tornare a respirare un’aria dai playoff che per quest’anno non dovrebbe circolare.



OKLAHOMA CITY THUNDER (44-28)

Durante questa offseason al GM Sam Presti è balenata in mente un’unica parola: rebuilding. Nessuna franchigia ha fatto tanti movimenti quanti gli Oklahoma City Thunder, dopo una stagione che si è conclusa soltanto a gara-7 del primo round contro gli Houston Rockets. Presti, invece che scommettere su un’altra annata da “underrated” (considerando che comunque sia Paul che Gallinari avevano già le valigie pronte), ha deciso di cominciare subito il processo di ricostruzione scambiando praticamente tutto lo starting five edizione 2019-2020. La volontà del GM di puntare su un progetto a lungo termine è anche nella scelta del nuovo allenatore Mark Daigneault, già nell’ambiente della franchigia da cinque anni, di cui l’ultimo a fianco dell’ex head coach Billy Donovan.

I giocatori confermati dalla scorsa stagione sono sei, di cui solo quattro rientrano nei piani futuri della franchigia. Su tutti sicuramente Shai Gilgeous-Alexander, al solo terzo anno ma che ha dimostrato doti di prim’attore e potenziale bandiera Thunder dei prossimi anni: 19 punti, 5.9 rimbalzi e 3.3 assist di media la scorsa stagione. Al suo fianco troviamo l’undrafted Luguentz Dort, diamante grezzo da affinare offensivamente – mentre risulta un affidabile stopper difensivo (citofonare a James Harden) -, il sophomore Darius Bazley, giocatore che è stato oscurato dalla crescita di Dort ma che ha fatto intravedere il suo talento (primo rookie dopo Harden ad aver segnato 20+ punti in tre partite consecutive), Hamidou Diallo, al terzo anno in Oklahoma, e l’ala specialista da tre punti Mike Muscala.

OKC Thunder preseason schedule released for 2020-21 NBA season

Oltre a ben diciotto scelte al primo giro e una sfilza al secondo giro fino al 2027, i Thunder nelle numerose trade hanno ricevuto i veterani George Hill, Al Horford e Trevor Ariza. E’ probabile però che questi, più che fare da chioccia ai giovani, facciano le valigie entro pochi mesi ed essere scambiati per ulteriori scelte future.

Analizzando i neo-talenti aggiunti al roster spiccano Aleksej Pokusevski (pick n°17) e Theo Maledon (n°34), primi frutti delle trade ed entrambi arrivano dal vecchio continente: Pokusevski, serbo con passaporto greco, è un’ala di 213 cm, cresciuto nell’Olympiacos giocando soprattutto nel team B nell’A2 greca; Theo Maledon, point guard di 196 cm, è invece una promessa del basket francese che ha già fatto il suo debutto con l’ASVEL sia in Pro A che in Eurolega, dimostrando di essere degno erede del grande Tony Parker.

Completano il roster 2020-2021 Franck Jackson e Darius Miller da New Orleans, e Justin Jackson da Dallas.

I Thunder sono una squadra totalmente rinnovata, i cui frutti del lavoro del GM Presti e di coach Daigneault (assunto per il suo ottimo rapporto coi giovani) si vedranno tra qualche anno: si può essere certi che ben presto si rivedranno a battagliare per un posto nella griglia dei playoff, ma al momento l’obiettivo è la crescita dei verdi talenti.



PORTLAND TRAIL BLAZERS (35-39)

I Portland Trail Blazers sono passati alla storia per aver vinto il primo play-In game di sempre. All’arrivo a Disney World, Lillard e soci hanno messo in chiaro che avrebbero giocato per raggiungere i playoff, obiettivo che all’interruzione causa pandemia sembrava piuttosto lontan. Detto fatto, i Blazers hanno raggiunto l’ottavo posto con un record di 6 vittorie e 2 sconfitte, domando poi i Grizzlies nella fatidica partita per certificare l’accesso alla postseason. Dopo aver stupito (o forse no) con la vittoria in gara-1, Portland si è dovuta in seguito arrendere ai Lakers di James e Davis.

Inutile dire che la franchigia poggia su Damian Lillard, nominato all’unanimità “bubble MVP” con medie stratosferiche di 37.6 punti e 9.6 assist a partita (51, 61 e 42 punti nelle tre partite cruciali per agguantare e conquistare l’ottavo posto). La “Dame Time” è svanita solo quando il numero #0 ha sofferto un infortunio al ginocchio che lo ha costretto a lasciare la bolla, ma nella stagione prossima alla partenza è pronto a fare un ulteriore step: la meta è quella di portare la franchigia dell’Oregon ai piani alti della Western Conference, approfittando magari di qualche passo falso delle altre contender.
A far compagnia a Lillard c’è, come di consueto, il buon C.J. McCollum, giocatore che viaggia da tre anni stabilmente sopra i 20 di media per allacciata di scarpe. I due, se da un lato rappresentano una delle coppie offensive più produttive della lega, dall’altro dovranno fare un passo avanti in difesa, visto che Portland è risultata 27esima nel ranking difensivo con 114.3 punti concessi (su 100 possessi).

Atteso protagonista sarà anche il centro bosniaco Jusuf Nurkić, rientrato solo alla ripartenza ad Orlando dopo un grave infortunio alla gamba. La carriera di Nurkić ai Blazers è decollata, dopo le prime stagioni ai Nuggets abbastanza mediocri, dimostrandosi spesso un “all around player” macinando punti, rimbalzi e anche assist.

The Trail Blazers Are the Same … and Better Than Ever - The Ringer

Durante la free agency il GM Neil Olshey si è concentrato sull’aggiungere profondità al roster. Spicca ovviamente la conferma di Carmelo Anthony, che ha ritrovato fiducia e accettato un ruolo di secondo piano dopo due annate abbastanza buie a OKC e Houston, risultando anche decisivo in un paio di partite dei “seeding games”. Da Houston è arrivato Robert Covington, valido giocatore a livello difensivo (e con qualche punto nelle mani), mentre da Miami è giunto Derrick Jones Jr., che ricoprirà un ruolo più attivo rispetto alla scorsa stagione in maglia Heat. Nel reparto lunghi, in attesa del rientro di Zach Collins, sono stati firmati Enes Kanter (da Boston) ed Harry Giles III (da Sacramento), elementi discreti che di sicuro non vanno a sminuire il valore del roster.

Ulteriori fit in uscita dalla panchina saranno Gary Trent Jr., una delle rivelazioni all’interno della bolla con ottima mira dall’arco (41%), e Rodney Hood, che prima dell’infortunio al tendine d’Achille stava tirando con quasi il 50% dalla lunga distanza.

Il 2019-20 dei Blazers è stato per gran parte influenzato dagli infortuni: se la franchigia dell’Oregon riuscirà ad evitarli, allora si potrebbe prospettare una stagione ai piani alti della Western Conference, alla ricerca del fattore campo in vista dei playoff.



UTAH JAZZ (44-28)

Viene da chiedersi cosa sarebbe successo se il tiro di Mike Conley in gara-7 del primo turno playoff contro i Nuggets fosse entrato, invece che stamparsi sul ferro… Quel che è certo è che gli Utah Jazz hanno perso la serie dopo esser stati in vantaggio sul 3-1, gap che solitamente è difficile da dilapidare. Comunque, invece di stravolgere il roster come spesso capita in queste occasioni, il management ha deciso di confermare quasi in toto il gruppo della scorsa stagione.

In vetrina troviamo l’estensione contrattuale di Donovan Mitchell (cinque anni a 195 milioni). Dennis Lindsey, vice presidente delle basketball operations, è infatti rimasto colpito dall’etica, dalla passione e dall’impegno del giocatore, qualità vincenti associate ai valori identificativi della franchigia. Spida ha avuto una sorprendente prima stagione da rookie, un calo al secondo anno e una definitiva esplosione al terzo, venendo inoltre consacrato All-Star. Il prodotto di Louisville, che l’anno scorso ha contribuito alla causa con 24 punti, 4.4 rimbalzi, 4.3 rimbalzi e 1 rubata di media, continuerà quindi ad essere il perno centrale dei Jazz.

A fare da spalla a Mitchell c’è Rudy Gobert, considerato la seconda stella della squadra. Il centrone francese è soprattutto un rim protector e un rimbalzista (13.1 rimbalzi e 2.1 stoppate di media nelle ultime due stagioni), ma negli ultimi anni ha dimostrato progressi anche in fase offensiva. Questa sarà una stagione fondamentale, visto che è in scadenza di contratto e deve non solo guadagnarsi la conferma del front office, che altrimenti potrebbe considerare una trade, ma anche puntare a intascarsi qualche spicciolo in più.

Can Donovan Mitchell Salvage the Utah Jazz's Lost Season? - InsideHook

I Jazz hanno puntato poi sulla conferma di Jordan Clarkson, pedina che può spaccare le partite in uscita dalla panchina con la sua produzione offensiva (15.6 punti di media lo scorso anno), e Derrick Favors – ritornato nello stato mormone dopo la stagione ai Pelicans -, che potrà fare da primo cambio di Gobert oppure giocare al suo fianco nel suo ruolo naturale di power forward.

Completano il quintetto Royce O’Neale, specialista difensivo, Mike Conley, atteso da un miglioramento dopo una stagione abbastanza deludente, e Bojan Bogdanovic, che ha saltato la parte finale di stagione per rimediare ai problemi al polso che ne hanno condizionato le percentuali al tiro. A questo trio si deve infine considerare il ruolo del solito Joe Ingles, giocatore in grado di contribuire in modo significativo su ambo le metà campo, e la crescita di Immanuel Mudiay, alla ricerca di una discreta continuità per incrementare il valore e la solidità delle seconde linee.

Infine, dal draft sono arrivati il centro Udoka Azubuike e la guardia Elijah Hughes, che potrebbero essere buoni uomini di rotazione. Sempre che riescano a conquistarsi fiducia e minuti.

Coach Quin Snyder è pronto a guidare nuovamente i Jazz verso le migliori squadre della Western Conference. Grazie al talento di MItchell, la stazza sotto canestro di Gobert e un roster competitivo, l’obiettivo non può essere una semplice partceipazione ai playoff, ma quanto meno l’approdo al secondo round.

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