NBA Recap Rockets

James Harden a Houston ha fatto tutto ciò che poteva

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Arrivato in Texas nel 2013 tramite trade da OKC, James Harden ha decisamente riportato in auge una franchigia che sembrava dover accontentarsi della “zona mediocrità”. E’ stato il giocatore che, evolvendosi, oltre a diventare il nuovo volto dei Rockets si è affermato come uno dei giocatori più forti dell’intera NBA, meritandosi anche di diritto un posto tra i più grandi di sempre (le graduatorie sono soggettive).

Dopo tre anni di digiuno, con il prodotto di Arizona State Houston è tornata ad assaporare i playoff, diventandone anche cliente abituale. Harden per tutte le 8 stagioni complete trascorse in biancorosso ha non ha solo trascinato di continuo i Rockets nella postseason, ma ha permesso alla franchigia di agguantare grandi traguardi: tre Conference Semifinals (2017, 2019, 2020) e, soprattutto, due Conference Finals (2015 e 2018). Mete che storicamente sono tutt’altro che usuali per i texani: prima dell’arrivo di The Beard – ovvero in 45 anni – il conteggio recitava 7 Conference Semifinals (l’ultima nel 2009) e 6 Conference Finals (l’ultima nel 1997). Ovviamente rimangono un paio di macchie: il non esser mai riuscito trascinare la squadra alle Finals (ci andò vicinissimo nel 2018, quando Houston era in vantaggio 3-2 su Golden State) e, di conseguenza, il non aver riportato il titolo a Houston.

Non dimentichiamoci inoltre che proprio con il traino del n°13 è arrivato il primo storico posto nella Western Conference (stagione 2017-2018, record 65-17), con Houston che nel periodo di permanenza del nativo di Bellflower (California) ha superato quota 50 vittorie ben 5 volte e si è piazzata nella top-4 occidentale per 6 volte.

Nelle 8 stagioni passate a Space City Harden ha conseguito diversi traguardi personali: tre volte consecutive NBA scoring champion (2018-2020), una volta NBA assists leader (2017), otto volte All-Star (2013-2020), una volta MVP della regular season (2018) e sei volte membro dell’All-NBA First Team (2014, 2015, 2017-2020).
La terza scelta assoluta al Draft del 2009 ha però anche inciso molto sulle classifiche all-time dei Rockets, mettendo la sua firma un po’ ovunque:

  • 6° per partite (621)
  • 4° per minuti (23.006)
  • 2° per punti (18.365)
  • 1° per media punti (29.6)
  • 1° per assist (4.796)
  • 2° per assist di media (7.7)
  • 7° per rimbalzi (3.736)
  • 3° per palle rubate (1.087)
  • 8° per stoppate (390)
  • 4° per tiri segnati (5.391)
  • 3° per tiri tentati (12.169)
  • 1° per triple segnate (2.029)
  • 1° per triple tentate (5.602)
  • 1° per tiri liberi segnati (5.554)
  • 2° per tiri liberi tentati (6.444)
  • 1° per triple-doppie (46)
  • 1° per Player Efficiency Rating (26.8)
  • 1° per partite da 30+ punti
  • 1° per partite da 40+ punti
  • 1° per partite da 50+ punti
  • 1° per partite da 60+ punti

Almeno queste sono le statistiche più tradizionali.

Insomma, al buon James si possono dire diverse cose: che gioca male (de gustibus), che non è un vincente, che non riesce a costruire solide basi con una co-star o che magari non ha un’etica del lavoro così marcata (molto noti i suoi gusti fuori dal campo). Critiche che ci possono anche stare. Però va detto che senza Harden i texani non avrebbero combinato un bel nulla.

E al di là di tutti i risultati conseguiti, non si può che concordare con quello che ha affermato lo stesso The Beard in quella che si è rivelata la sua ultima conferenza stampa in maglia Rockets (post sconfitta con i Lakers di due giorni fa): “Ho letteralmente fatto tutto quello che potevo“.

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