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76ers pronti all’attacco definitivo: vera contender o mera illusione?

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Come tutti sappiamo i 76ers vengono da un cambio di allenatore abbastanza rivoluzionario. In estate infatti, la squadra della città dell’amore fraterno ha deciso di cambiare il capitano della nave: i biancoblu sono passati da Brett Brown a Doc Rivers, probabilmente l’head coach più discusso della scorsa stagione. Il palmares di quest’ultimo lo conosciamo tutti, dalla vittoria di un titolo NBA all’entrata nella classifica dei primi dieci allenatori per vittorie nella lega, un traguardo niente male. A Phila però non è cambiata solo la panchina, ma anche i piani alti: nel ruolo di presidente è infatti arrivato, direttamente da Houston, Daryl Morey.

Ma veniamo ora alla parte tecnico-tattica della franchigia. Riguardo al mercato non si può che dare un bel voto ai movimenti in entrata e in uscita messi in piedi dalla franchigia della Pennsylvania: Danny Green e Dwight Howard, freschi di titolo con i Lakers, sono un bel colpo per rinforzare due ruoli cruciali del roster, ovvero un 3&D e un lungo di riserva capace di contribuire su ambo le metà campo; Bradley e Ferguson permettono invece di allungare le rotazioni portando, quando richiesto, energia, qualche punto e solida presenza in campo. Il colpo più interessante piazzato da Elton Brand, attuale GM, è stato tuttavia Seth Curry, lasciato andare via da Dallas non si sa bene per quale motivo. Il fratello di Steph infatti propone ottime soluzioni di tiro sia dal palleggio che sugli scarichi, dimostrandosi pericoloso soprattutto in transizione. Le percentuali del nativo di Akron dalla lunga distanza sono elevate (44.9% in carriera dall’arco; 59.5% in questa stagione su 5.3 tentativi a partita), e con Ben Simmons che dall’arco è ancora molto indietro, l’acquisto di uno specialista è stato decisamente un ottimo colpo di mercato, considerando soprattutto che è arrivato al posto di Josh Richardson: giocatore con punti nella mani e ottimo in difesa (aspetto che Curry deve migliorare invece), ma incapace di allargare il campo a causa di un tiro da tre punti non particolarmente affidabile.

In sede di Draft invece, i 76ers si sono mossi alla grande nonostante la scelta abbastanza alta (ma nemmeno così tanto) e da Kentucky è stato scelto l’ennesimo buon prodotto: Tyrese Maxey. Giocatore dotato di grande energia e rapidità, l’ex Wildcats è una point guard in grado di saper fare più o meno tutto in un campo di basket. In una NBA come quella di oggi, che vede sempre più elementi eccelsi in una cosa e carenti in tante altre, trovare un Maxey, buon giocatore – non eccelso – in tutte le fasi di gioco, è sbalorditivo. Ed è proprio per questo che Doc Rivers non se lo è fatto sfuggire, dandogli anche fin da subito tanti minuti. Un esempio delle sue doti ce lo fornisce la partita contro Denver, con la squadra dimezzata dai protocolli anti-covid: il rookie, partito titolare con in mano le redini dell’attacco, ha spiazzato tutti infilando 39 punti contro una delle squadre rivelazione dell’ultima stagione (ad oggi un po’ in difficoltà). Non solo tanti punti però, ma anche buona gestione dei possessi, ottime scelte di tiro ed anche una discreta difesa.

Dopo mercato e Draft, è il turno delle colonne portanti della franchigia, i cosiddetti “Big 3” di Phila: Ben Simmons, Joel Embiid e Tobias Harris. Riguardo all’australiano, Morey ha detto fin da subito che rientra nel progetto ed è incedibile, anche se in NBA sappiamo bene che nessuno le è mai realmente (e lo dimostra il pacchetto imbastito per provare a prendere Harden). Ma questa è un’altra storia. Quello che ci interessa è ciò che accade sul parquet. Se è vero che Simmons ancora non ha trovato grande ritmo per quanto riguarda la finalizzazione (12.6 punti di media con il 51.6% dal campo), dall’altro è evidente che l’approdo di giocatori come Seth Curry e Danny Green gli consentono di concentrarsi molto di più su altri aspetti del gioco: difesa, rimbalzi (8.5) e assist (7.5), con quest’ultimi che possono solo che crescere grazie all’aggiunta dei due tiratori nominati in precedenza. Rimane comunque il fatto che i grossi limiti al tiro lo rendono un giocatore prevedibile, su cui la difesa non fa particolari sforzi: se vuole aumentare le sue possibilità di incidere in questa lega deve cercare di completare il proprio gioco migliorando il range di tiro, senza il quale una point guard oggi in NBA va poco lontano.

Un giocatore che sembra invece aver trovato nuovo smalto sotto coach Rivers è sicuramente Tobias Harris. Non sono tanto i suoi numeri a stupire (19.0 punti, 7.9 rimbalzi e 3.1 assist, medie in linea con le ultime stagioni), quanto l’efficienza al tiro. Un campione di 9 partite è piccolo, ma il 50.7% dal campo e il 44.7% dall’arco sono sinonimi di grande fiducia e stato di forma. Ad impressionare è soprattutto il tiro dalla lunga distanza, migliorato notevolmente rispetto alle ultime due stagioni (dove aveva chiuso sotto il 37%). Fattori a cui va aggiunto un discreto approccio difensivo: la presenza di nuovi giocatori a roster in grado di togliere un po’ di peso offensivo (Harris prende quasi 2 tiri in meno a partita rispetto all’anno scorso) consente infatti all’ex Pistons di contribuire in maniera più incisiva nell’altra metà campo. Situazione che con coach Brown avevamo visto poco o niente. Inutile dire che se dovesse continuare su questi livelli il prodotto di Tennessee si rivelerebbe un giocatore fondamentale per la corsa al trono della Eastern Conference e per l’avventura ai playoff.

Dulcis in fundo, Joel Embiid, di gran lunga la star della squadra. Il problema? Ovviamente i continui problemi fisici che spesso lo tengono ai box e un approccio alle partite non sempre dei migliori. Anche qui però si vede la mano di un allenatore esperto come Rivers e di un sistema di gioco ben delineato che da un alto gli permette di giocare da protagonista offensivo ritagliandosi cifre importanti (26.6 punti, 12.1 rimbalzi, 3.1 assist e 1.6 stoppate, tirando con il 54.4% dal campo e il 38.7% dal campo), e dall’altro di rappresentare un pilone difensivo difendendo sui lunghi avversari. Come affermato in precedenza, spesso l’atteggiamento frega il camerunense, che come si sa non ha proprio un caratterino facile, ma questo punto può essere migliorato grazie ai veterani del gruppo e, soprattutto, ad un allenatore molto esperto (e vincente) che ha vissuto diverse situazioni nell’arco della propria carriera.


Detto questo, non ci resta che goderci lo spettacolo che questi Sixers stanno offrendo e vedere se finalmente il “Process” darà i suoi frutti. Sarà finalmente l’anno del trono ad Est e delle Finals?




Articolo a cura di Matteo Cappelli


(statistiche aggiornate al 14/01/2021)

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