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“I have a dream” – Dopo 60 anni le parole di Martin Luther King animano l’NBA

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La settimana di Martin Luther King è iniziata l’11 gennaio e terminerà la notte tra il 18 e il 19: negli USA questo weekend gli uffici, le scuole e le persone si sono fermate per rendergli omaggio. In realtà le gare del MLK Day inizieranno alle 18 di questo pomeriggio, con il match tra i New York Knicks e gli Orlando Magic, e termineranno alle 4 della notte italiana con i Golden State Warriors che andranno a far visita ai campioni in carica dei Los Angeles Lakers. È un giorno importante, che celebra il compleanno di uno degli uomini più importanti e significativi della lotta al razzismo negli anni ’60 (la festività nazionale statunitense si celebra il terzo lunedì di gennaio, giorno vicino a quel 15 gennaio che ha visto la nascita del Premio Nobel).

Nel frattempo la lega, in accordo con l’associazione dei giocatori (NBPA), ha rilasciato uno spot dal titolo “We Must Learn” (“Dobbiamo imparare”). All’interno del video le parole del Dr. King riecheggiano tra le immagini delle pacifiche proteste dell’epoca, insieme a quelle attuali di giocatori, allenatori e addetti ai lavori che ogni giorno si impegnano per far sì che il messaggio di libertà, inclusività e amore non vada perduto. Anche per questo motivo questo giorno sarà pieno di discussioni e tavole rotonde online per approfondire e trovare soluzioni per un problema che attanaglia gli Stati Uniti da decenni.

https://www.youtube.com/watch?v=S8Rx5pxWs-c&feature=emb_logo
We Must Learn

Quest’anno più di altri “è il tempo di rendere la giustizia, una realtà per tutti” (questa la scritta che campeggerà sulle maglie pre-partita dei giocatori). Le proteste per gli omicidi degli afroamericani, da Floyd a Blake, hanno infiammato le strade delle città e sono arrivate fino ai parquet americani. L’ultimo episodio che ha spinto i giocatori a prendere posizione sono stati i fatti accaduti lo scorso 6 gennaio a Washington, quando un gruppo di sostenitori del Presidente uscente Donald Trump ha “occupato” il Campidoglio.

La reazione dei giocatori è arrivata ancora una volta veloce e puntuale. Raptors e Suns hanno deciso di giocare e durante gli inni nazionali si sono uniti in cerchio dimostrando unità e fratellanza.
Ancora una volta, per i nostri giocatori le cose stanno accadendo molto velocemente e non sempre abbiamo la possibilità di parlarci. Questo è ciò che dobbiamo provare a fare in queste situazioni: comunicare e capire a cosa stiamo andando in contro e cosa proviamo rispetto a quello che sta accadendo”, queste le parole di Chris Paul.
Dall’altro lato Kyle Lowry è stato più diretto, usando parole più forti dopo la gara contro Phoenix: “Il punto è che a quelle persone è stato permesso fondamentalmente di impossessarsi di un edificio senza alcun tipo di opposizione, e semplicemente fare quello che vogliono. Se fossero state persone di colore, penso che sarebbe stata una situazione completamente diversa. Onestamente, nonostante l’avvento del nuovo anno, abbiamo ancora di fronte agli occhi le medesime situazioni. E poi quello che è successo a Kenosha, con l’agente che non è stato accusato di omicidio, è uno schiaffo in faccia alle persone di colore di tutto il mondo“.

Anche Celtics e Heat hanno alzato la voce, uscendo dal campo durante il riscaldamento per decidere sul da farsi. Le due squadre hanno rilasciato un comunicato congiunto sottolineando la disparità di trattamento tra le marce pacifiche del movimento Black Lives Matter e la rivolta di Washington, accusando i leader politici “di trattare i manifestanti in maniera differente, a seconda di quale lato di determinate questioni si trovano.”

L’empowerment derivante dall’accordo tra lega e NBPA ha portato i giocatori a essere più consapevoli degli strumenti a loro disposizione e della forza da essi derivante. Già quest’estate all’interno della bolla abbiamo assistito a prese di posizione, proclami e anche partite posticipate. A novembre diverse franchigie hanno poi messo le loro strutture a disposizione come sedi di seggio per le votazioni presidenziali e i ballottaggi, come quello in Georgia.

Sulla questione si è espresso anche LeBron James, con parole forti e ben indirizzate: “Gli eventi che si sono verificati sono una conseguenza diretta del presidente attuale, delle sue azioni, delle sue convinzioni, dei suoi desideri. Non si preoccupa di nessuno oltre che di se stesso. Nessuno. Assolutamente nessuno. Non gli importa di questo Paese. Non gli importa della sua famiglia. Non gli importa di nessuno al di fuori di se stesso. E abbiamo visto i tweet che sono stati scritti durante questo percorso, fino a ciò che è successo ieri, la distruzione. Quegli eventi sono stati a causa sua.
Il quattro volte campione NBA è da sempre attivo nel sociale. I più grandi esempi sono le fondazioni di una scuola ad Akron (I Promise School) e dell’associazione “More Than a Vote”, avvenuta la scorsa estate.

“More than anything else, we’ve got to learn to love
because we are all tied together
we must act now
we are in America and we got to learn how to live together
we ain’t going nowhere
we need to learn how to love”

Il monito di Martin Luther King è ancora forte e, purtroppo, attuale. L’NBA e i suoi interpreti lo hanno raccolto e fatto loro per far fronte alle difficoltà sociali che in questi anni hanno sempre più diviso un’intera nazione.

La storia ci ha insegnato che lo sport è un ottimo canale per veicolare i propri messaggi: negli anni di King e Malcolm X, Cassius Clay diventava Muhammad Ali schierandosi contro il razzismo. Nel 2020 i giocatori NBA hanno scelto la stessa strada, una strada che porterà al cambiamento “[…] alla libertà e al coraggio […]”, così come LeBron ha definito la sua America.

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