Siamo a fine anni 80 e la generazione dei ventenni slavi domina il panorama del basket europeo e non solo. La Jugoplastika Spalato domina la Coppa dei Campioni e la nazionale Jugoslava vince i mondiali facendo tornare gli americani senza il tanto bramato oro. Ma chi sono gli artefici di tale impresa?
I protagonisti non sono giocatori “normali”, che passano una volta ogni due tre anni, ma sono ragazzi che verranno ricordati tra gli europei più forti di sempre nel panorama mondiale: Toni Kukoc, Vlade Divac, Dino Radja e ovviamente Drazen Petrovic, fanno parte di questo gruppo di talenti che riuscì a sfondare per primo le barriere del pregiudizio sugli europei nella lega più famosa al mondo.
I primi jugoslavi a calcare i parquet della NBA – nella stagione 1989/1990 – furono Petrovic, Divac e Zarko Paspalj (quest’ultimo poco conosciuto in quanto apparso in appena 28 partite oltreoceano), ai quali si unì qualche anno più tardi Kukoc. Ad esclusione di Paspalj, questi furono anche i primi ad avere successo nella massima lega americana (Petrovic, scomparso prematuramente a 28 anni, era comunque già riconosciuto come un ottimo giocatore), tracciando così il percorso per i futuri giocatori provenienti dall’area orientale del vecchio continente. Rappresentanza che con gli anni, nonostante alcuni pregiudizi (“Non sanno difendere”, “Sanno solo tirare” o “Troppo poco fisici per il gioco americano”), non ha fatto altro che lievitare.

Stagione dopo stagione, sempre più europei hanno iniziato a fare la differenza in questa lega, ottenendo anche risultati di calibro. In particolare, come tutti sappiamo, la NBA è diventata la seconda casa della popolazione che di più mastica e respira questo gioco, mettendolo in atto meglio di tutti in Europa: la popolazione slava. Quasi 2/5 (15 su 40, senza contare la Turchia) degli attuali giocatori dal vecchio continente provengono infatti da Paesi dell’ex Jugoslavia e ad oggi la classifica dei candidati per il premio di MVP della regular season vede nella top10 un serbo e uno sloveno. Nikola Jokic e Luka Doncic non sono solamente due giocatori straordinari, ma anche due simboli che confermano la rinascita di nazioni, di popoli che non troppo tempo fa hanno attraversato un momento storico molto buio fatto di grandi sofferenze.
Nikola Jokic
Il lungo serbo è un playmaker imprigionato dentro al corpo di un centro. 213 cm di classe pura che fanno di lui un grande all-around player, e in particolare un assistman di altissimo livello, tra i primi nella lega. Non a caso, dopo un paio di stagioni su ottimi livelli, in questo avvio di regular season il 25enne di Sombor sta realizzando un ulteriore salto di qualità sfornando prestazioni da MVP.
Il gigante serbo sta infatti collezionando numeri da capogiro, realizzando quelli che ad oggi sono quasi tutti massimi in carriera: 26.1 punti (career-high), 11.7 rimbalzi (career-high), 8.4 assist (career-high) e 1.7 rubate (career-high) di media, tirando con il 56.6% dal campo e il 38.4% dall’arco (entrambe le percentuali rappresentano il secondo miglior valore in carriera). A tutto ciò vanno pure aggiunte le 20 doppie-doppie ottenute nelle prime 20 uscite stagionali, seconda prestazione migliore della storia della NBA.

Ma analizziamo da più vicino qual è lo stile di gioco attuato da Jokic. Il numero 15 come sappiamo tutti è dotato di una grande potenza fisica, dovuta soprattutto a quella che era la sua mole prima della pausa per il covid-19; il suo gioco però non ha risentito della sua enorme perdita di peso, ma si è anzi evoluto sfruttando l’aumento di agilità. Il serbo infatti, oltre a portare avanti il prolifico gioco in post visto nelle scorse stagioni (migliorando la velocità di piedi), si è attrezzato anche di attacchi in penetrazione fronte canestro – flash rari in passato – e, soprattutto, di un mid-range shot più efficace: soluzione offensiva che Nikola aveva nelle corde, ma che non praticava assiduamente, al contrario di quanto ha fatto dalla bolla ad oggi, dove ha mantenuto lo standard di frequenza e percentuale dai tre punti e aumentato le capacità di realizzare dalla media distanza (nelle ultime due stagioni non era andato oltre il 31.5% dall’arco e il 43.5% dalla media distanza, mentre oggi viaggia rispettivamente con il 38.4% e il 52.2%). L’esigenza di dover attuare tiri del genere deriva dal fatto che le difese tendono a preferire un close out su un tiro dall’arco oppure una copertura interna per evitare una facile penetrazione, lasciando così uno spazio d’azione a metà strada (visto anche il fatto che negli anni il mid-range è caduto sempre più in disuso).
Oltre all’aspetto realizzativo, come affermato in precedenza, Jokic sta continuando a migliorare anche come assistman, toccando il career-high anche nella Assist Percentage (39.9%). Così come alcuni miglioramenti arrivano anche nella metà campo difensiva, dove tuttavia i limiti sono ancora piuttosto evidenti.
Luka Doncic
Come illustrato, oltre a Jokic nella top-10 dei candidati al premio di MVP troviamo anche Luka Doncic. L’ex Real Madrid già dal suo primo anno nella lega ha fatto innamorare tutti con il suo gioco spettacolare e completo, tra step back da ogni parte del campo e assist spettacolari. L’annata 2020-21 è partita non proprio bene per il play dei Mavericks, che si è presentato un po’ fuori forma al training camp e ha fatto decisamente fatica ad ingranare nelle prime apparizioni stagionali (in particolare nel tiro dall’arco). Con il passare delle settimane il talento sloveno classe ’99 ha piano piano ritrovato un buon ritmo, assestandosi più o meno su quanto visto nelle prime due stagioni: le cifre parlano di 27.2 punti, 8.8 rimbalzi e 9.4 assist di media, tirando con il 45.9% dal campo e un pessimo 29.6% dalla lunga distanza (peggior dato in carriera). Ottenere quasi una tripla-doppia di media alla soglia dei 22 anni non è di certo impresa da tutti, ma le statistiche non raccontano tutto ciò che accade in campo. Doncic infatti soffre non poco in difesa e dimostra sempre più un atteggiamento polemico nei confronti della classe arbitrale, perdendo così il focus su ciò che conta veramente: il basket giocato. Un certo nervosismo che in un paio di situazioni è sfociato anche in palesi manifestazioni di disaccordo con scelte dei compagni o della panchina.

Il nativo di Lubiana rimane comunque un talento generazionale e di certo non rappresenta il problema di Dallas in questo avvio di stagione. Tra un atteggiamento alquanto mollo e superficiale, un Porzingis che sembra tutto meno che un secondo violino e un Tim Hardaway Jr che fatica a trovare solidità, i texani stanno soffrendo non poco, ritrovandosi attualmente fuori dalla zona playoff. Alle considerazioni precedenti va anche unita la cessione via trade di Seth Curry, giocatore utile per creare spacing e per creare una concreta minaccia dall’arco.
Doncic quindi, per confermarsi su livelli da MVP, nonostante sembri essere solo sull’isola, dovrà cercare di far cambiare ritmo ai compagni e di trascinarli nuovamente nella postseason, con quest’ultima che risulterà essere il banco di prova per lo sloveno e i Mavericks. Visto che la franchigia punta in alto con un roster abbastanza inadeguato agli obiettivi fissati, la dirigenza dovrà calcolare con una certa precisione i prossimi passi per evitare che il buon Luka non si stanchi di dover inseguire per troppo tempo i successi sperati.
Jokic e Doncic non sono ovviamente i soli due giocatori di spessore provenienti dall’area dell’ex Jugoslavia, ma rappresentano solo la punta di un iceberg che vede molti altri protagonisti, su tutti Nikola Vucevic e Goran Dragic. Senza dimenticare Bojan e Bogdan Bogdanovic, Jusuf Nurkic e Dario Saric. Chissà poi in futuro chi si presenterà alle porte della massima lega mondiale.
Articolo a cura di Matteo Cappelli