Focus NBA

Gli snobbati

Lettura 7 Minuti

E anche quest’anno l’All-Star Game riceve la sua buona dose di critiche.

Tralasciando infatti i soliti malumori di chi vorrebbe veder spazzata via per sempre una manifestazione che è risultata spesso e volentieri imbarazzante, questa stagione vede due particolari fronti di lamentele: uno dei giocatori, che in una situazione come quella attuale avevano di meglio di fare che saltare l’unica pausa di metà calendario per un evento che a inizio anno era stato cancellato, e uno dei tifosi e degli addetti ai lavori, a dir poco perplessi riguardo le selezioni attuate per la composizione delle due squadre.

Se del primo fronte si è già discusso (con le dichiarazioni di LeBron James e di altre superstar), sul secondo si apre un mondo piuttosto fresco, visto che le perplessità nascono soprattutto in seguito all’annuncio ufficiale – arrivato nella tarda serata di ieri – dei giocatori selezionati per costituire le panchine del Team LeBron e del Team Kevin.

Questi i 7 elementi selezionati per ogni conference:
West Pool – Chris Paul, Damian Lillard, Donovan Mitchell, Paul George, Zion Williamson, Anthony Davis, Rudy Gobert.
East Pool – James Harden, Ben Simmons, Jaylen Brown, Zach LaVine, Jayson Tatum, Julius Randle, Nikola Vucevic.

Premesso che tutti i nomi citati hanno un loro perché e non sfigurano affatto, va detto che sia ad Ovest che, soprattutto, ad Est sono stati diversi i nomi snobbati. Andiamo a vedere i principali (escludendo, per ovvie ragioni, gli infortunati).


Western Conference

  • Devin Booker – E’ sicuramente il giocatore più chiacchierato delle ultime ore, visto che sono in molti a pensare che la sua mancata convocazione sia stata uno scandalo. Nonostante infatti le validissime statistiche (24.7 punti, 3.8 rimbalzi e 4.3 assist di media con il 50.1% dal campo e il 38.1% dall’arco) e il quinto posto tra le guardie ad Ovest, al prodotto di Kentucky è stato preferito il compagno di squadra Chris Paul (staccato di 224.000 voti). Non che l’ex Rockets e Thunder non meriti il posto, visto che si sta rivelando la pedina essenziale dei Suns, ma a parti invertite probabilmente non ci sarebbe stato tutto questo brusio di sottofondo. Booker potrebbe consolarsi, per il secondo anno di fila (lo scorso fu richiamato a rimpiazzare Damian Lillard), con un ruolo da sostituto, visto che Anthony Davis non potrà prendere parte all’evento a causa di un infortunio.
  • DeMar DeRozan – Sicuramente non siamo al livello di Booker, ma anche il classe ’89 di Compton è stato lasciato completamente nell’ombra, in quella che ormai a San Antonio possiamo considerare una maledizione: DeRozan infatti da quando è arrivato in Texas non è mai stato convocato per la Partita delle Stelle (“Che culo!”, potrebbero dire alcuni). Le sue statistiche non sono affatto poco appariscenti (19.8 punti, 5.0 rimbalzi e 6.9 assist, career-high, di media con il 48.8% dal campo) e l’attuale posizionamento degli Spurs è per gran parte merito delle sue prestazioni.
  • Mike Conley – I Jazz si trovano in cima alla Western Conference e i tifosi della franchigia di Salt Lake City speravano in una tripla convocazione: quella (scontata) di Mitchell, quella (meno scontata) di Gobert e infine il sogno chiamato Conley. L’ex Memphis sta facendo registrare cifre sostanziose a quasi 34 anni (per esempio i career-high nelle percentuali dal campo e dall’arco), ma è razionalmente alquanto difficile pensare che Money Mike potesse essere selezionato al posto di uno solo dei 7 panchinari ufficiali – e preferito ai due colleghi appena citati.
  • Brandon Ingram – La stagione dei Pelicans al momento non è proprio memorabile, tuttavia Ingram sta disputando un ottimo campionato, attestandosi su quelle considerevoli cifre che gli erano valse la (prima) chiamata lo scorso anno: 23.9 punti, 5.3 rimbalzi e 4.7 assist di media con il 46.9% dal campo e il 39.4% dall’arco. Anche in questo caso però, come per Conley, risulta piuttosto forzato andare ad inserirlo al posto di qualcuno. Si potrebbe pensare ad un ballottaggio con il compagna di squadra Zion Williamson, ma quest’ultimo – oltre a ricevere il doppio dei voti – ha un impatto (mediatico e non) superiore rispetto ad Ingram.
  • Christian Wood – Probabilmente l’assenza occidentale più altisonante dopo quella di Booker. Il record di squadra è tutto meno che un valore aggiunto (Rockets penultimi ad Ovest), ma ciò che ha dimostrato Wood in campo poteva essere decisamente premiato: il grande salto di qualità dimostrato dal suo approdo in Texas gli sta infatti valendo una nomination per il titolo di Most Improved Player of the Year e l’affermazione come uno dei migliori lunghi della conference (oltre che della lega). La domanda però è sempre la stessa: al posto di chi dovrebbe stare? Probabilmente Anthony Davis.
  • Ja Morant (menzione speciale) – Ogni tanto, tra qualche tweet o commento e l’altro, sbuca fuori il nome del giovane talento dei Grizzlies, che non a caso citiamo “solo” come menzione speciale. Morant ha chiuso al 6° posto nella classifica delle guardie della Western Conference (dietro Booker e prima di Paul) e le cifre messe in piedi dal Rookie of the Year della scorsa stagione sono sicuramente di un certo livello, considerando anche il contesto in cui si trova. Tuttavia, parliamo di un giocatore che ad oggi si trova ben dietro i colleghi selezionati e, se gli slot per l’All-Star Game fossero di più, potrebbe al massimo giocarsela con qualche pari ruolo citato in questo elenco.

Eastern Conference

  • Trae Young – Il classe ’98 prodotto di Oklahoma continua ad essere il motore degli Hawks e il livello dimostrato finora in questa stagione non è assolutamente mediocre. Alcune voci statistiche presentano dei leggeri cali rispetto ai numeri che l’anno scorso gli erano valsi la prima convocazione, ma si continua a parlare di cifre di assoluto rispetto e in altri contesti gli sarebbero sicuramente valsi la seconda chiamata consecutiva. Nonostante abbia concluso al 6° posto per voti totali, gli è stato preferito un Ben Simmons che non compariva addirittura nella (molto discutibile) top-10 delle guardie orientali. Il giocatore dei 76ers è candidato al premio di Defensive Player of the Year, ma non è il primo violino della sua squadra e il peso che deve sostenere non è paragonabile a quello di un Young che si ritrova ad essere il primo giocatore degli ultimi 30 anni ad essere escluso dall’evento nonostante i 25+ punti e i 9+ assist di media.
  • Khris Middleton – Possiamo addirittura affermare che avrebbe meritato una convocazione anche più di Young. Middleton sta giocando una grandissima stagione su ambo le metà campo, dimostrando una costanza e una solidità tutt’altro che indifferenti, e attualmente è uno dei due giocatori in tutta la NBA (insieme a Paul George) capace di totalizzare 25+ punti, 5+ rimbalzi e 5+ assist di media tirando con almeno il 50% dal campo, il 40% dall’arco e il 90% ai liberi. Probabilmente l’essere all’ombra di Giannis gli costa più di qualcosa in termini di visibilità, ma in casa Bucks sanno bene che senza le sue prestazioni Milwuakee non va lontano.
  • Domantas Sabonis – Secondo dietro Jokic per doppie-doppie stagionali e uno dei tre giocatori (insieme a Jokic e Giannis) a mettere insieme almeno 20/10/5 con il 50% dal campo, il lungo dei Pacers è il primo giocatore nella storia della NBA a non prendere parte all’All-Star Game nonostante i 20+ punti, 10+ rimbalzi e 5+ assist di media. Se a queste cifre aggiungiamo il fatto che Indiana è addirittura quarta ad Est, la frittata è stata fatta. La domanda arriva puntuale: al posto di chi sarebbe dovuto andare? Togliere uno tra Vucevic e Randle è – nonostante i record di squadra inferiori – molto difficile, considerando che Sabonis gode anche di un supporting cast migliore di entrambi.
  • Jimmy Butler e Bam Adebayo – Accoppiata di grandi esclusi in casa Heat. Sia Butler che Adebayo si trovavano infatti davanti a Randle e Vucevic nelle votazioni per il frontcourt orientale, e tra numeri e impatto fa un certo effetto non vederli inseriti nella lista dei convocati. Se uno scambio Butler-Tatum sarebbe improponibile, già più discutibile è la posizione di Adebayo nei confronti di Randle e Vucevic. Al di là dei record delle rispettive franchigie (Miami è sopra Orlando e sotto New York), la considerazione principale da fare è quella relativa al singolo contesto: è evidente infatti che il classe ’97 prodotto di Kentucky, sebbene sia uno degli elementi essenziali di Miami, goda di un supporto nettamente maggiore rispetto ai due diretti interessati e che quindi ci sia un gioco di impatto/responsabilità abbastanza differente.
  • Jerami Grant – L’ex Nuggets ha rinunciato ad un ruolo secondario in una squadra di alto livello per cercare fortuna altrove come primo violino, e la sua esperienza a Detroit finora gli sta dando ragione. Grant è uno dei favoriti per il premio di Most Improved Player of the Year, nonché l’uomo franchigia dei Pistons. I miglioramenti rispetto agli scorsi anni, relazionati comunque al nuovo ruolo, sono davvero impressionanti e le sue cifre fanno concorrenza a quelle di altre star all’interno della lega. Certo che essere all’ultimo posto ad Est con il secondo peggior record della lega non aiuta, così come ad oggi è difficile immaginarlo al posto di uno dei colleghi selezionati. Potrebbe giocarsela con Simmons, ma ricordiamo che prima di ottenere quel posto Grant dovrebbe passare sopra a Middleton e Young.
  • Gordon Hayward – Chiude nono alle votazioni, dietro Tatum, Butler, Adebayo, Randle e Sabonis. Concretamente è difficile porlo sopra uno qualsiasi degli elementi appena citati, ma ciò non toglie che, per come si sta sviluppando questa stagione, Hayward sia un All-Star. In campo sembra davvero redivivo e i suoi numeri rispecchiano quelli che quattro anni fa, al picco con gli Utah Jazz, gli erano valsi la prima ed unica chiamata alla Partita delle Stelle.
  • Tobias Harris e Fred VanVleet (menzioni speciali) – Anche il #12 dei 76ers e il #23 dei Raptors sono stati inseriti nelle varie discussioni sui giocatori snobbati per questo All-Star Game. I numeri li pongono sicuramente nella “fascia alta” della lega, soprattutto in riferimento ad Harris, ma di fatto pensare che possano anche solo insidiare uno solo dei componenti selezionati ufficialmente o dei colleghi sopracitati appare piuttosto complicato.


Concludiamo con una riflessione, che quest’anno sembra essere più accentuata che mai. Considerando il crescente livello della lega e il fatto che ogni franchigia abbia 17 posti a roster, perché non si alza il numero degli slot disponibili per l’All-Star Game? Basterebbe infatti aggiungere anche solo due nomination in più per conference per fare un bel passo in avanti ed evitare clamorose esclusioni, anche se per eliminare il problema alla radice il discorso è più complicato.
Bisogna considerare infatti che solitamente le squadre NBA fanno entrare in campo circa nove o dieci giocatori a match, quindi i 12 posti presenti per ogni conference risultano essere in qualche modo “abbondanti” per la Partita delle Stelle. Se si andasse ad aumentare il numero degli slot bisognerebbe infatti riconsiderare anche la gestione della squadra e la ridistribuzione dei minuti per ogni singolo giocatore, rischiando di andare a danneggiare un evento già intaccato da diverse critiche.

Articoli collegati
Focus NBA

Il Ballo dei Debuttanti: il verdetto

Lettura 3 Minuti
Se la NBA ha già comunicato da qualche giorno le sue decisioni in merito ai riconoscimenti riservati alle matricole, oggi è il…
Focus NCAA

Un anno sui banchi di scuola

Lettura 6 Minuti
E’ passato quasi un mese dalla sirena che ha chiuso la Final Four di New Orleans, quindi è arrivato il tempo di…
Focus NBA

IL Ballo dei Debuttanti

Lettura 4 Minuti
Penultimo appuntamento con la nostra rubrica dedicata alle matricole. Andiamo a verificare l’andamento delle giovani speranze nell’ultimo mese di Regular Season. IL…