Il mese di marzo non è iniziato nel modo migliore per i Toronto Raptors, squadra alla disperata ricerca di allungare un ciclo cha aveva portato il primo storico titolo in Canada. La striscia aperta di sette sconfitte consecutive potrebbe definitivamente portare a fare delle considerazioni drastiche su un gruppo che sembra aver perso identità e fame.
Le motivazioni possono essere molteplici ed anche molto aleatorie, visto il periodo storico ed una stagione piena di variabili per tutti. L’Air Canada Arena era diventata un fortino inespugnabile ed il trasferimento a Tampa, senza il calore del pubblico, non è stato semplice da gestire, inoltre la crescita di Siakam si è interrotta bruscamente, il passaggio da Ibaka a Baynes è stato traumatico e gli infortuni ed i vari protocolli anti-covid hanno creato problemi negli allenamenti e nella gestione del gruppo.
Nonostante tutto, in questo periodo di difficoltà, sono emersi giocatori come Chris Boucher e, soprattutto, Norman Powell, il quale sta giocando una seconda parte di stagione da vera e propria star. I suoi numeri sono tutti da leggere e ne certificano la crescita esponenziale. Nelle 7 sconfitte di marzo ha viaggiato a 28.4 punti di media con il 55.2% dal campo ed un irreale 49.3 % da 3 punti su quasi 10 tentativi a partita. Nella sconfitta del 18 marzo a Detroit per 116-112 è arrivato il record in carriera con 43 punti, 14/18 dal campo e 8/12 da 3, sfoderando tutto il suo repertorio: tiro da tre con piedi per terra ed in uscita dai blocchi, capacità di attaccare il ferro (procurandosi anche numerosi falli) ed una notevole abilità di chiudere in transizione.
La passione per il basket in Norman è nata grazie allo zio ed alle serate passate con lui guardando i Los Angeles Lakers in tv. Erano le prime volte che sognava di diventare un giocatore NBA, ma erano i tipici desideri irrazionali di un bimbo che sognava un futuro da star. La consapevolezza di potercela fare è arrivata in un giorno come tanti mentre si allenava al tiro nella palestra della Lincoln High School di San Diego. Un quattordicenne Norman Powell stava massacrando il suo compagno – e migliore amico – Kevin Smith, quando all’improvviso si è rivolto a lui dicendo che sarebbe diventato un giocatore NBA. Non un semplice panchinaro, ma un protagonista come Kobe Bryant! “Non dimenticherò mai il modo in cui mi ha guardato, quasi a compatire la mia follia. Era la prima volta che avevo confidato a qualcuno quello che sarei diventato ed in quel preciso momento ci credevo veramente”.
Nel frattempo ne è passata di acqua sotto i ponti dai giorni dell’high school: i 4 anni a quasi 10 punti di media a UCLA, la scelta da parte dei Bucks alla numero 46 nel draft 2015 e la vittoria del titolo da comprimario con i Toronto Raptors.
Ma sono state le ultime due stagioni a dimostrare il fatto che Norman Powell sarebbe potuto diventare davvero protagonista in questa lega. “Penso che stia tirando in modo fantastico e questo gli permette di approfittare dello spazio che le difese lasciano per timore del tiro, per poi attaccare il canestro. Il suo atletismo ed abilità in campo aperto è fondamentale. Noi gli diamo la palla e ci aspettiamo che concluda con un lay up. Lui è un grande giocatore che ha finalmente raggiunto il giusto equilibrio e la giusta fiducia. Ora sa esattamente quello che può dare e semplicemente riesce ad esprimere il suo gioco e tutto il suo repertorio”.
“Sono troppo contento per lui, perché molte cose nella carriera di Norm non sono andate come lui e noi avremmo voluto. A volte è stato anche un facile bersaglio quando le cose non sono andate bene ed è per questo è che davvero bello vederlo raggiungere questi livelli di eccellenza”.
Queste sono le parole dei due leader dei Raptors, Kyle Lowry e Fred Van Vleet, con quest’ultimo che è uno degli amici più stretti di Norman, con il quale ha condiviso più di ogni altro le difficoltà ed i trionfi dei primi anni nell’NBA.

E’ proprio nel momento migliore della sua carriera che il pensiero ritorna alle situazioni difficili della sua vita, grazie alle quali Powell ha sviluppato la sua etica del lavoro. Il suo esempio è stato la mamma Sharon e tutti i sacrifici che ha fatto per crescere lui e le due sorelle, cosa che ha rappresentato uno degli stimoli più grandi per raggiungere i suoi obiettivi e costruire un futuro solido per la sua famiglia. Altra persona fondamentale nel suo sviluppo è stato Jeff Harper-Harris, colui che sarebbe diventato il suo allenatore al liceo e che ha sempre apprezzato la voglia di sacrificarsi e lottare per arrivare a traguardi sempre più prestigiosi. “Coach Jeff, posso sempre fare festa, posso sempre guardare un altro film, però se sono a fare baldoria o seduto a casa significa qualcun altro in America starà migliorando al posto mio”. Queste le parole di Norman che sono rimaste nella mente di coach Harris, il quale ha sempre dichiarato che arrivare ad università di un certo prestigio per poi fare il salto tra i professionisti non è così complicato, mentre è davvero difficile possedere quel fuoco dentro che ti permette di migliorarsi e sviluppare il talento una volta arrivati al piano di sopra. Norman Powell è uno di quelli che l’ha sempre avuto e soprattutto è stato sempre motivato a far meglio dalla scarsa considerazione e dallo scetticismo che ha sempre incontrato nel suo cammino, ad iniziare dal tiepido interesse degli scout universitari per poi finire con la scelta numero 46 del draft del 2015, decisamente troppo bassa per le sue ambizioni ed aspettative.
Una volta arrivato nella NBA è stato preso sotto l’ala protettiva di Jerry Stackhouse, assistente di Casey a Toronto già incontrato 5 anni prima ad un camp estivo della lega. “Il ragazzo è entrato nella NBA convinto che sarebbe dovuto essere scelto più in alto e con la determinazione di dimostrare come troppe persone si siano sbagliate nel valutare le sue potenzialità. E’ uno dei giocatori più competitivi che abbia mai conosciuto ed è quello che ho amato di lui dal primo momento, ma è anche un ragazzo d’oro. Non è uno di quelli che se non entra nelle rotazioni resta infondo alla panchina e tiene il broncio, ma è il primo ad essere contento dei successi dei compagni e della squadra”. Queste le parole di Jerry Stackhouse che, una volta lasciata Toronto, ha continuato a seguire e consigliare Powell, sicuro che sarebbe arrivato a questi livelli.
Ora la crescita di Norman Powell è evidente e, da giocatore che poteva fornire sporadicamente qualche sprazzo dalla panchina, è diventato uno starter affidabile. Il giocatore a fine anno avrà un opzione per uscire dal contratto e diventare free agent e la lista dei pretendenti è diventata molto numerosa. Dipenderà molto da Toronto e da quanto vogliano metterlo al centro di un nuovo progetto, ma anche dall’ambizione di un ragazzo che vuole continuare a sorprendere e a zittire scetticismo e detrattori. La prima certezza è che un obiettivo è stato centrato. Quella famosa mattina, nella soleggiata palestra della Lincoln High School, il quattordicenne Norman Powell aveva ragione ed il sorriso ironico del suo amico Kevin Smith è diventato la prima motivazione per un ragazzo che non ha ancora finito di crescere e di sognare.
Articolo a cura di Fabio Krpan