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Klay Thompson sul 2020: “L’anno peggiore della mia vita”

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Infortunio al tendine d’Achille, pandemia da covid-19, morte della nonna e di Kobe e Gianna Bryant: Klay Thompson non poteva che descrivere il 2020 come l’anno peggiore della sua (giovane) vita.

Lo scorso mese il prodotto di Washington State è tornato a parlare di fronte ai media per la prima volta dal suo secondo grave infortunio, ovvero la lesione del tendine d’Achille, discutendo sui fatti dell’ultimo anno e sulla sua situazione.

“il 2020 è stato un anno in cui abbiamo dovuto riconsiderare tutto, non solo per la pandemia ma anche per la giustizia sociale. Abbiamo perso tanti innocenti per via della violenza, è stato orribile. Probabilmente è stato l’anno peggiore della mia vita.
La pandemia non è stata facile per nessuno. Ognuno ha avuto i propri problemi e le proprie sofferenze nel 2020. Le mie sono state perdere mia nonna Mary, la rottura del tendine d’Achille e la morte di Kobe. Penso a lui ogni giorno e al fatto di non esser riuscito a parlare con lui un’ultima volta. E’ stato davvero un anno difficile. Non solo per me, ma sono sicuro anche per tutti voi”

Thompson si è poi concentrato sull’infortunio, parlando dell’accaduto, delle sue sensazioni e dei tempi di recupero. Una discussione non facile da affrontare per l’#11 dei Warriors, che si è visto cancellare un seconda stagione in quello che possiamo considerare il momento più alto della sua carriera.

“Non mi piace ripensare a quanto accaduto, è stato molto doloroso. E’ come se qualcuno ti colpisse fortissimo sul tallone. L’infortunio è arrivato su un tiro dopo due palleggi, un movimento che faccio 100 volte al giorno. Non c’era nulla che potessi fare per impedirlo. Sapevo cos’era successo, ma in cuor mio non riuscivo ad accettarlo e speravo si trattasse solo di uno strappo al polpaccio. Ho perso alcuni degli anni migliori della mia carriera e ho dovuto ricostruire da zero il muscolo. Sentivo di essere pronto a tornare. Per questo è stato così duro questo secondo infortunio.
Quello che ho dovuto affrontare è stato più difficile di qualsiasi altra partita abbia giocato. Il peso mentale non è facile da gestire e ti viene sempre da chiederti se tornerai mai ad essere quello di prima. E’ naturale pensarlo, ma non puoi permettere a questi pensieri di prendere il controllo. Con il mio stile di gioco penso di poter giocare fino a 30 anni inoltrati, quindi non voglio piangermi addosso. Mi rimbocco le maniche e provo a fare ciò che amo.

Da quello che ho letto e sentito si perde un 5-10% di esplosività. Ma giocatori come Kevin Durant, John Wall, il mio amico DeMarcus Cousins, Wes Matthews e Jonas Jerebko, sono tutti tornati ai livelli di prima o molto vicini. Anche Dominique Wilkins è stata una grande ispirazione, e ho parlato molto con Grant Hill, che come me ha subito tanti infortuni nel momento migliore della carriera. Che ci crediate o no sono entrato in contatto con Tony Robbins (noto saggista, life coach e formatore motivazionale, ndr), che mi ha ispirato a non perdere mai la mia anima. Perché il corpo può anche cedere, ma l’anima è per sempre.

Potrei rientrare qualche settimana dopo l’inizio della prossima stagione, forse un mese. Sarò onesto: non mi aspetto di tornare subito a palla, giocare 38 minuti a partita, marcare il miglior giocatore, correre intorno a 100 blocchi. Ma vi assicurò che tornerò a quel livello. Tornerò ad essere il giocatore All-NBA che ero. Non mi accontento, sono troppo competitivo ed orgoglioso per essere rilegato ad un ruolo di supporto. Non vedo l’ora di tornare, ho molte energie da parte.

Fortunatamente ho grandi compagni intorno a me e ogni volta che entro nelle strutture dei Warriors ricevo grande affetto. Le mie radici sono qui e tornare a lavorare in quest’ambiente mi fa sentire bene. La pallacanestro è sempre stata la mia vita ed esser stato fermo per due anni mi ha fatto apprezzare ancora di più quanto fatto finora nella mia carriera”

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