Sai che le cose vanno male quando sei il proprietario di uno storico franchise di una delle più importanti leghe professionistiche al mondo e i tifosi ti augurano di morire per il COVID appena contratto.
Beh, in realtà speriamo che James Dolan, nonostante la tronfia arroganza per cui è noto, si fosse già accorto da tempo che qualcosa non funziona per i New York Knicks. Il problema, purtroppo, pare essere proprio lui, che non mostra alcuna intenzione di voler allentare la stretta sulla franchigia o modificare il suo cocciuto approccio con il mondo dell’NBA.
La recente espulsione di un fan da una partita per aver indossato una maglia che recitava “Ban Dolan” (ritenuta troppo offensiva per poter permettere la permanenza del tifoso al Madison Square Garden) è solo l’ultimo di una lunga serie di incidenti che negli ultimi anni hanno contribuito a rendere i Knicks meta sgradita per giocatori, tifosi e celebrità.

L’imprevedibile e irresponsabile gestione della franchigia da parte di Dolan ha raggiunto il punto di non ritorno quattro anni fa, quando la leggenda del parquet newyorkese Charles Oakley – da anni critico del CEO di MSG Sports – venne espulso dal Garden e successivamente bandito per aver presumibilmente diretto insulti al proprietario durante lo svolgersi di una partita. Lo stesso Oakley veniva poi oltraggiosamente accusato, in una dichiarazione di poco seguente del MSG, di avere problemi di alcool.
Da quel momento in poi si è trattato di un’inaccettabile azione biasimevole dopo l’altra da parte di Dolan.
Non molto tempo dopo, appena fuori dal Garden, aggredisce verbalmente un abbonato stagionale (che meriterebbe piuttosto un plauso per il coraggio di insistere a spendere tutti quei soldi per assistere a uno spettacolo indegno) che gli aveva gridato “Vendi la squadra!” vedendolo passare.
Lo stesso incidente si verificherà nuovamente con un altro tifoso due anni dopo, questa volta conclusosi ricorrendo all’amata arma del bando dall’arena.
Non abbiamo certo bisogno di ricapitolare gli orribili risultati collezionati dai Knicks nelle ultime sette stagioni, ma nonostante questo il multimilionario non può fare a meno di redarguire i fedeli fan che continuano comunque a presentarsi per sostenere la squadra di casa.
Lo scorso anno, il giorno dell’insediamento di Leon Rose come president of basketball operations, speranzosamente visto come punto di partenza di un percorso di rinascita e inizio di una nuova era, Dolan istruì la sicurezza del MSG di impedire a Spike Lee di utilizzare l’ingresso per gli addetti ai lavori che aveva utilizzato per 28 anni, rilasciando subito dopo la partita un comunicato stampa asserente che i due si erano chiariti amichevolmente, cosa categoricamente smentita da Lee.

Il regista da Brooklyn dichiarò più tardi che non si sarebbe più recato ad alcuna partita dei Knicks per il resto della stagione (sebbene poco dopo, in ogni caso, il coronavirus ci avrebbe messo lo zampino).
Beh, congratulazioni Mr. Dolan. Riuscire ad inimicarsi il fan numero dei Knicks, nonché il tifoso più noto della lega, non è cosa da poco.
Stephen A. Smith, nel suo solito esagerato e roboante modo di porsi, dichiarò poco dopo di aver preso in considerazione l’idea di non assistere mai più a una partita dal vivo della squadra.
Ed è poi emerso che anche altre celebrità hanno visto i loro privilegi venire revocati dal permaloso proprietario, il quale al contempo proseguiva la sua opera di espulsione di tifosi che, nel mezzo dell’ennesima disastrosa stagione, invocavano la vendita della franchigia, facendone addirittura tenere uno (illegalmente) in detenzione.
Intanto il Madison Square Garden continua a registrare record di affluenza negativi.
Non c’è dunque da stupirsi se nessun major free agent prende in considerazione la storica squadra newyorkese, mentre la sorella minore, i Brooklyn Nets, ha conquistato lo scettro di franchigia di primo piano, diventando la destinazione cestistica più glamour dei cinque quartieri di New York.
Totalmente incapaci di attirare un qualunque free agent di primo piano dai tempi dell’insensato scambio per Carmelo Anthony (risalente alla stagione 2010-11), la dirigenza dei Knicks ha costruito per anni la sua strategia su assurde illusioni di grandi arrivi di superstar e improbabili successi nella draft lottery che avrebbero consegnato loro la star della prossima generazione. Stolte speranze che non si sono ovviamente mai realizzate.
Ma quest’anno, finalmente, le cose paiono stare andando diversamente: la franchigia sta infatti vivendo la prima stagione di successo dal lontano 2013.
Complice una delle migliori difese della lega, instaurata dall’arrivo del nuovo head coach Tom Thibodeau, gli inesperti Knicks hanno trovato un equilibrio tra giovani talenti e veterani che ha permesso loro, per il momento, di conquistare la quarta posizione nella costantemente fluttuante Eastern Conference.

Eppure, nonostante i risultati incoraggianti, risulta difficile credere che New York si trasformerà a breve in una meta ambita dai migliori giocatori della lega, tornando così ad essere una franchigia di primo piano (cestisticamente parlando) nel panorama della NBA. Fintanto che James Dolan rimane al comando, la reputazione e l’ambiente tossico da lui costruito – fondamentalmente ancora in vigore – faranno pensare almeno due volte gli atleti ad unirsi alla squadra se opzioni migliori sono disponibili.
Il puerile atteggiamento di una persona con evidenti complessi di inferiorità, il cui unico mezzo per affermarsi è abusare dei propri poteri perché conscio di non essere all’altezza del suo compito e dei suoi “colleghi”, ha costruito una pessima immagine dell’organizzazione, ormai ben nota a tutti gli addetti ai lavori della lega.
Non ci sarà mai un vero cambio di cultura a New York fino a quando Dolan rimane proprietario e CEO del Madison Square Garden Sports. I Los Angeles Lakers costituiscono un chiarissimo esempio: finché Jeanie Buss non ha preso le redini dell’intera franchigia (all’interno della quale fino ad allora si era occupata solo dell’aspetto imprenditoriale, tagliata fuori dall’ambito cestistico), portando alle dimissioni del fratello Jim e ponendo Magic Johnson al comando delle operazioni, i Lakers non sono stati capaci di risollevarsi dall’assoluta irrilevanza.
I New York Knicks devono gioire e godere di questa rara stagione di successo, ma non illudersi di essere tornati in gioco nella vasca dei pesci grossi. Lontane sono le grandi ere di Red Holzman e Patrick Ewing, e al momento i moderni newyorkesi rimangono emblema di caos e instabilità.
Articolo a cura di Davide Tovani