Mancino, nome da cinque lettere, cognome da sei lettere, multato per 50.000 dollari in seguito al mancato rispetto dei protocolli sanitari (gita in uno strip club), maglia degli Houston Rockets, giocate in step back dall’arco e prestazione da 50+ punti e 10+ assist.
A metterla così, se non ci fosse un contesto particolare, il protagonista dell’identikit dovrebbe essere James Harden. Invece ci troviamo al 30 aprile 2021 e al centro della storia non può che esserci Kevin Porter Jr.
Nella notte infatti il prodotto di USC ha condotto gli Houston Rockets ad un’inaspettata vittoria – all’ultimo respiro – sui Milwaukee Bucks (che hanno perso Giannis Antetokounmpo ad inizio partita per una distorsione alla caviglia) con una mostruosa prestazione da 50 punti (16/26 dal campo, 9/15 dall’arco e 9/11 ai liberi), 5 rimbalzi e 11 assist.
Si tratta del giocatore più giovane giocatore nella storia della NBA (20 anni e 360 giorni; il record precedente era di LeBron James, a 23 anni e 66 giorni) a piazzare a referto una prova da 50+ punti e 10+ assist, nonché del quarto giocatore più giovane di sempre (dietro a Brandon Jennings, LeBron James e Devin Booker) a realizzare 50+ punti in un match. Porter diventa inoltre il secondo giocatore della storia della franchigia texana ad ottenere una partita da 50+ punti e 10+ assist: il predecessore non può che essere il già citato James Harden, che ci è riuscito per ben 8 volte.
Con ciò non si vuole di certo paragonare Porter Jr. ad Harden, cosa che non avrebbe alcun senso. Si vuole semplicemente dare rilievo alla prestazione a dir poco storica di un talento che fino ad oggi ha avuto qualche difficoltà ad esprimersi.
Selezionato con la 30° scelta assoluta dai Bucks (guarda caso) al Draft del 2019, per poi essere subito spedito via trade prima ai Detroit Pistons e infine ai Cleveland Cavaliers, il nativo di Seattle tra le fila della franchigia dell’Ohio disputa una stagione considerata abbastanza sottotono: 10.0 punti, 3.2 rimbalzi e 2.2 assist di media con il 44.2% dal campo e il 33.5% dall’arco, il tutto in 23 minuti a partita (50 presenze). Ad inizio stagione Porter Jr. ha dovuto saltare le prime partite a causa di problemi personali legati a situazioni extra cestistiche ed in seguito ad una lite in spogliatoio che ha coinvolto anche l’head coach e il GM dei Cavaliers, è stato messo alla porta e spedito a Houston in cambio di una sola second-round pick: nonostante il talento infatti, la fama di “cattivo ragazzo” che si porta dietro dall’NCAA e i fatti accaduti a Cleveland, senza contare l’arresto estivo, lo avevano etichettato come possibile problema per lo spogliatoio di una franchigia, facendone di conseguenza abbassare il valore di mercato.
Non a caso i texani come prima mossa lo hanno aggiunto al roster della franchigia affiliata nella G League. Dopo alcune prove convincenti, Houston decide di richiamarlo in prima squadra e di metterlo alla prova come playmaker titolare. Una scommessa che ad oggi sembra vinta: i 16.7 punti (42.7% dal campo e 31.9% dall’arco), i 3.9 rimbalzi e i 6.4 assist a match rappresentano infatti dei numeri ottimi, con Porter Jr. che partita dopo partita sta mettendo in luce tutte le sue abilità.
Un contesto senza alcuna pressione come quello dei Rockets è sicuramente un vantaggio, in quanto c’è molta più libertà d’azione, e può quella in Texas potrebbe essere l’esperienza giusta per rilanciare la sua giovane carriera. Il suo contratto scadrà nel 2023 (team option all’ultimo anno; se non esercitata la sua avventura potrebbe finire nel 2022) e in quest’arco di tempo, considerando il processo di rebuilding iniziato da Houston, il GM Stone e coach Silas potrebbero decidere di scommettere su di lui e di renderlo uno dei principali volti della franchigia, nella speranza di un ritorno ad alti livelli.