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5 motivi per riconfermare il play-in

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Dopo l’All-Star Game e il buyout, un’altra espressione inglese è diventata oggetto di discussione tra gli appassionati NBA: il play-in. Si tratta del torneo che, tra il 18 e il 21 maggio, determinerà il settimo e l’ottavo piazzamento ai playoff per ognuna delle due conference. Terminata la regular season, le squadre detentrici della settima e dell’ottava posizione si affronteranno in una partita secca. Lo stesso faranno la nona e la decima classificata, giocando sempre in casa della formazione con il miglior record. La vincente della prima sfida andrà ai playoff come settima classificata, la perdente della seconda andrà a casa e le altre due si giocheranno l’ottavo posto in uno spareggio finale.

Con un tempismo alquanto sospetto, l’idea del play-in è stata criticata prima da Luka Doncic e Mark Cuban (quando i Dallas Mavericks occupavano la settima posizione nella Western Conference), poi da LeBron James (quando i Los Angeles Lakers si sono avvicinati alla settima posizione nella Western Conference, slot che attualmente occupano). Il fenomeno sloveno trova ingiusto il fatto che una squadra rischi di non qualificarsi per i playoff a causa di due partite perse, mentre il quattro volte MVP ha argomentato un po’ meno (“Chiunque abbia inventato quella mer*a dovrebbe essere licenziato“). Cuban invece è stato più autocritico: “Questo approccio è stato un errore enorme“. Come LeBron dovrebbe infatti sapere, la decisione di confermare il play-in (già disputati nella bolla di Orlando e pubblicamente apprezzati dalla star dei Lakers) è stata presa dal board of governors NBA (formato dai 30 proprietari, Cuban incluso) e dall’associazione giocatori (rappresentata da Michele Roberts e Chris Paul, e di cui fa parte LeBron James). Chi fra questi dovrebbe essere licenziato?

La scelta è stata compiuta tenendo bene a mente l’obiettivo comune: proporre una formula in grado di suscitare interesse e permettere a giocatori e proprietari di continuare a guadagnare come prima. L’unica obiezione sensata è dunque quella espressa da Doncic: decidere tutto in una singola partita (come accade nel torneo NCAA, nello sport europeo e nelle competizioni fra nazionali) rischia di mettere a repentaglio la ‘giustizia sportiva’ garantita da una serie playoff. Fermo restando che un’intera serie preliminare sarebbe un impegno difficilmente sostenibile, per ovviare al problema si potrebbe mantenere il limite introdotto in quel di Disney World: per partecipare al play-in, le squadre inseguitrici dovranno avere un distacco non superiore alle quattro vittorie.

Nel novero dei “contro” potremmo inserire anche l’eccessivo dispendio energetico: l’anno scorso i Portland Trail Blazers, martoriati da una lunga serie di infortuni, sono usciti dal play-in contro i Memphis Grizzlies senza più benzina nel serbatoio, rivelandosi poi dei semplici “sparring partner” per i Lakers al primo turno playoff.

Ciò premesso, andiamo a vedere quali sono invece i principali motivi per mantenere la formula del play-in anche nelle prossime stagioni.


1. Rende interessanti le ultime settimane di regular season

I Blazers di Damian Lillard e i Lakers di Anthony Davis cercano di evitare il play-in

In una stagione “normale”, le ultime partite prima dei playoff vengono disputate (salvo rare eccezioni) solo per onor di presenza, tra chi aspetta le gare che contano e chi attende di fare le valigie e partire per il mare. Questo maggio 2021 è invece ricco di incontri importantissimi in chiave play-in, vedi la sfida tra Lakers e Blazers, quella tra Pacers e Wizards o quella che vedrà affrontarsi Warriors e Grizzlies all’ultima giornata. Una vittoria può fare la differenza fra sesto e settimo posto (playoff o play-in), tra chiudere ottavi o noni (e quindi dover vincere uno o due spareggi nel torneo d’inclusione), fra andare in vacanza o avere un’ultima chance per salvare la stagione.


2. Impedisce il riposo preventivo dei big

Jayson Tatum e Jaylen Brown, star dei Celtics

Nelle partite senza alcuna posta in palio di fine regular season non è raro vedere le squadre già sicure di un posto ai playoff tenere a riposo i giocatori più importanti, magari dichiarando problemi fisici di dubbia entità. Una pratica che influisce sul percorso delle squadre avversarie e che certamente non fa piacere a televisioni e pubblico. Immaginate come vi sentireste nell’organizzare un viaggio a Los Angeles, acquistare con largo anticipo i costosi biglietti per un back-to-back Lakers-Clippers e poi vedere LeBron James e Kawhi Leonard comodamente seduti in borghese a scherzare con i compagni. Con la minaccia del play-in che incombe, le star devono giocare. E’ il caso di Anthony Davis, regolarmente in campo in questi giorni nonostante alcuni acciacchi. Potrebbe sembrare un accanimento nei loro confronti, ma appassionati e sponsor pagano profumatamente per vederli giocare in tutte le partite.


3. Riduce drasticamente il tanking

Raptors e Bulls sono state in corsa per il play-in fino all’ultima settimana

A una settimana dal termine della regular season 2020/21 (si chiude domenica 16 maggio), solo 6 franchigie su 30 erano matematicamente escluse dalla corsa ai playoff. Senza la possibilità di essere “ripescate” tramite il play-in, squadre come New Orleans Pelicans, Sacramento Kings, Toronto Raptors e Chicago Bulls avrebbero mollato gli ormeggi già da un bel pezzo, mettendo in mostra il campionario di riserve e quintetti improbabili tipico di chi punta a una scelta alta al draft. In questa stagione abbiamo invece visto i Raptors tenere a roster Kyle Lowry (in scadenza e ormai prossimo all’addio), i Bulls aggiungere un All-Star come Nikola Vucevic, Kings e Pelicans lottare fino all’ultima partita disponibile. In molti casi, venire spazzati via al primo turno playoff è molto più costruttivo che pescare un acerbo diciannovenne con la decima scelta al draft.


4. Manda ai playoff chi è davvero pronto in quel momento

Uno straordinario Russell Westbrook sta guidando Washington ai play-in

In passato è capitato più volte che una squadra iniziasse bene la regular season, salvo poi “spegnersi” lentamente, strappare la qualificazione ai playoff per mancanza di concorrenza e diventare la vittima sacrificale della contender di turno. Prendiamo gli Orlando Magic delle ultime due stagioni, ad esempio. Oggi quella squadra verrebbe presumibilmente spazzata via al play-in dagli affamati Washington Wizards di Russell Westbrook e Bradley Beal, una formazione che invece potrebbe dare filo da torcere a Philadelphia, Brooklyn o Milwaukee. E’ vero che la stagione va giocata dall’inizio alla fine, ma avere un primo turno playoff più competitivo non può essere un male per la NBA.


5. Regala partite decisive già prima dei playoff

Stephen Curry e LeBron James potrebbero trovarsi di fronte nel torneo play-in

Vi ricordate l’incontro fra Portland Trail Blazers e Memphis Grizzlies dello scorso 15 agosto? Una partita senza domani, giocata con l’intensità di una finale. Terry Stotts e Taylor Jenkins a preparare aggiustamenti e contromosse, Jusuf Nurkic e Jonas Valanciunas a battagliare sotto canestro, Damian Lillard e Ja Morant a prendersi il palcoscenico nei momenti decisivi. Una sfida che ha fatto bene a tutti: Portland ha coronato la sua rimonta e si è messa definitivamente in ritmo playoff, i giovani Grizzlies hanno assaggiato l’atmosfera delle grandi occasioni e ne hanno fatto tesoro (come ha dimostrato l’ottima stagione seguente), gli appassionati (e LeBron James) si sono goduti l’equivalente di una gara-7 in un periodo in cui, di solito, ci si accontenta del Trofeo Birra Moretti. Quest’anno l’antipasto dei playoff potrebbe essere rappresentato da un duello tra i Lakers di James e i Warriors di Stephen Curry, oppure da una partita “win or go home” tra Celtics e Wizards. Lo spettacolo potrebbe poi rivelarsi deludente, ma sarà certamente migliore del solito finale di regular season.




Articolo a cura di Stefano Belli

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