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Il Giorno della Marmotta… a Minneapolis

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Come ogni primavera, Minneapolis sembra la trasposizione cestistica di Punxsutawney, la cittadina della Pennsylvania resa celebre dal film “Groundhog Day” (o “Ricomincio da capo”, nella traduzione italiana), e ogni tifoso dei Timberwolves si crede Phil Connors, il protagonista del film magistralmente interpretato da Bill Murray.
Se Phil/Bill si svegliava ogni mattina al suono di “I Got You Babe” di Sonny & Cher, e riviveva all’infinito il giorno del 2 febbraio, i tifosi dei Timberwolves si ritrovano ogni anno a leggere sul “Minneapolis Star” dell’ennesima matematica esclusione dai playoff della loro squadra del cuore.

Un incubo, insomma.

Eppure, questo si prospettava un anno molto diverso. La selezione di Anthony Edwards, la spettacolare guardia volante dell’Università della Georgia chiamata con la prima scelta assoluta del Draft 2020, e i milioni di dollari investiti dalla dirigenza sul mercato avevano esaltato i tifosi.
Oltre agli All-Star Karl-Anthony Towns e D’Angelo Russell, Coach Ryan Saunders poteva disporre di elementi d’indubbio talento come il già menzionato Edwards, i nuovi arrivi Malik Beasley e Juan Hernangomez, le talentuose ex stelle liceali Jarred Vanderbilt e Naz Reid, l’altra matricola Jaden McDaniels, i giovani Josh Okogie e Jarrett Culver, nonché l’esperto Ricky Rubio.

Rubio e Russell, il back court dei Wolves visto pochissimo quest’anno….

La realtà è stata molto diversa, e basta osservare la classifica per constatare come i playoff siano sempre restati un lontano miraggi. Anche quest’anno i “Lupi” sono incollati ai bassifondi della Western Conference, incapaci di sfatare quella maledizione che li ha visti prendere parte alla postseason solo una volta negli ultimi diciassette anni.
Le ambizioni sono naufragate subito, con i numerosi infortuni che hanno minato pesantemente l’ambizioso progetto di rinascita: 22, 30, 32 non sono i numeri da giocare al Lotto, bensì le partite saltate rispettivamente da Towns, Russell e Beasley, ovvero i migliori realizzatori della squadra. A queste si devono aggiungere le 13 di Okogie e le 20 di Hernangomez, non due stelle ma sicuramente due solidi elementi di rotazione.
Russell e Towns, il famoso “asse play-pivot” del basket che fu, sono riusciti a giocare solo 23 partite insieme, e in queste il record di Minnesota è stato un onorevole 13-10: risultato che, se replicato sulla stagione, avrebbe portato i Wolves in piena lotta per almeno un posto nel play-in.

Il finale di campionato, in cui la squadra ha anche vinto tre partite consecutive, è il primo indizio di un potenziale da esplorare in vista della prossima stagione, ma l’analisi del General Manager Gersson Rosas non potrà tralasciare le solite disfunzionalità tecniche, la sopravvalutazione e l’atteggiamento rivedibile di alcuni elementi che hanno rivestito un ruolo non secondario nel rendimento deludente della squadra. Il roster dei T-Wolves non si può dire carente di qualità e talento, ma alcuni giocatori sono sembrati più dei solisti legati alle loro iniziative personali che interessati a un gioco corale. Lo specchio di tutto questo è il rendimento nella propria metà campo: Minnesota si trova nelle posizioni di coda in ogni statistica difensiva, segno che alla squadra manca quella mentalità vincente che assegna al canestro negato all’avversario la stessa importanza (se non addirittura maggiore) di un canestro segnato.

A nulla è servito l’avvicendamento in panchina tra Saunders e Chris Finch, sebbene il record del nuovo allenatore sia decisamente migliore.

Tralasciando le indiscrezioni riguardanti la separazione con KAT (anche quest’anno statisticamente inappuntabile, ma le statistiche non hanno mai rappresentato un problema), la dirigenza dovrà prendere delle importanti decisioni per invertire la rotta e costruire quella mentalità vincente che manca dall’addio di Tim Thibodeau e Jimmy Butler. A costo di tralasciare il talento puro e semplice, Rosas dovrà ricercare dei veterani con provata esperienza nei playoff, capaci di incidere sia sul campo, senza per forza avere delle responsabilità offensive, che nello spogliatoio, indicando quali sono le piccole cose che servono alla squadra per risollevarsi dai bassifondi. Non è un caso che per lunghi tratti il giocatore di riferimento sia stato Ricky Rubio. Con l’altruismo che da sempre lo contraddistingue, e l’esperienza che si è costruito lungo la sua carriera NBA, il playmaker catalano ha rappresentato il leader tecnico della squadra, ma anche una guida emotiva per tutti i giovani “Lupi” nel mezzo di una stagione davvero deludente.

Anthony Edwards: il Rookie volante di Minnesota

Il principale beneficiato di tanta saggezza cestistica è stato Anthony Edwards, da subito affidato a Rubio. Se agli esordi sembrava timido e molto titubante, “Ant” ha costantemente acquisito maggiore consapevolezza, migliorando la qualità delle sue letture offensive e, infine, proponendosi come il principale candidato al premio di Rookie of the Year. Un processo non facile, quello di integrarsi all’interno di un nuovo sistema di gioco, per di più in un ruolo a lui totalmente sconosciuto, da sempre abituato ad essere la stella della squadra. Adesso a Minneapolis sono sicuri di aver operato la scelta giusta, e contano su Edwards per compiere il passo decisivo verso la postseason.


La fine del campionato apre ufficialmente il periodo più importante per i Wolves, quello della costruzione della nuova squadra. Una prima importante scadenza sarà la Lottery, perché Minnesota potrebbe perdere la sua scelta a favore di Golden State come contropartita dell’acquisizione di Russell.

Ecco, sarebbe il finale perfetto di questa stagione disgraziata…

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