NBA

Tutti i finalisti dei premi stagionali: qual è la vostra scelta?

Lettura 5 Minuti

La NBA nella serata di ieri ha reso noti i tre finalisti per ogni premio stagionale: Most Valuable Player, Defensive Player of the Year, Sixth Man of the Year, Most Improved Player of the Year e Rookie of the Year. In alcuni casi la scelta appare scontata, in altri però, tenendo conto di vari fattori, non è così facile stabilire il possibile vincitore.


Most Valuable Player

  • Nikola Jokic: 26.4 punti (career-high), 10.8 rimbalzi, 8.3 assist (career-high) e 1.3 rubate di media con il 56.6% dal campo (career-high) e il 38.8% dall’arco. Le sole cifre basterebbero a spiegare il motivo per cui risulta il favorito, ma ai meri numeri, tra i quali va anche aggiunto – vista l’importanza – il record di squadra (Denver terza ad Ovest), va affiancata quella leadership con cui ha trascinato, e migliorato, con costanza i compagni fin dalle prime partite. Il serbo è senza dubbio il favorito.
  • Joel Embiid: 28.5 punti (career-high), 10.6 rimbalzi, 2.8 assist, 1.0 rubata (career-high) e 1.4 stoppate di media con il 51.3% dal campo (career-high) e il 37.7% dall’arco (career-high). Cifre decisamente molto valide che, se affiancate all’apporto difensivo generale messo in campo dal centro camerunense (e se considerato il primo seed ad Est dei 76ers), potrebbero anche porlo sopra Jokic. Mancano le caratteristiche da assistman, ma i continui raddoppi delle difese avversarie su di lui di fatto rappresentano dei grandi regali per i compagni. Sarebbe stato il candidato numero uno se solo non avesse saltato 21 partite, le quali, su un totale di 72 match stagionali, hanno un discreto peso.
  • Stephen Curry: 32.0 punti, 5.5 rimbalzi, 5.8 assist e 1.2 rubate di media con il 48.2% dal campo e il 42.2% dall’arco (su 12.7 tentativi). Stagione a dir poco stratosferica da parte del #30 dei Warriors, che trascina i compagni caricandosi sulle spalle tutto il peso offensivo e si porta a casa a suon di prestazioni da urlo il premio di miglior realizzatore, il tutto a 33 anni e con un nuovo record personale e di franchigia. Una forma fisica in stato di grazia che, se non fosse stato per il record di squadra, lo avrebbe visto quantomeno allo stesso livello di Jokic.

Defensive Player of the Year

  • Rudy Gobert: il centro francese è a caccia del terzo riconoscimento individuale dopo quelli ottenuti nel 2018 e nel 2019. Grazie alle doti da rimbalzista e da rim protector, a cui si somma il peso specifico che garantisce ai Jazz, è senza ombra di dubbio il favorito per la vittoria. Rimane il neo di non essere, di fatto, in grado di difendere su più ruoli, ma non sembrerebbe essere un ostacolo insormontabile per arrivare al trofeo.
  • Ben Simmons: conferma ancora una volta le sue doti da eccellente difensore e dalla sua ha la polivalenza nella copertura di più ruoli in più situazioni: dal play all’ala grande, dal perimetro al post basso. Garantisce anche maggiore mobilità (piuttosto ovvio vista la differenza di ruoli) rispetto al francese, ma è più discontinuo ed è “sfavorito” dalla presenza di altri validi difensori che hanno grande impatto sulle prestazioni di squadra.
  • Draymond Green: sicuramente il giocatore più completo tra i tre finalisti. Tra rimbalzi, stoppate, rubate, raddoppi, difese su lunghi e piccoli, e altre giocate dallo spiccato QI cestistico, Green è il fattore chiave di tutto il sistema Warriors, il tassello che permette alla franchigia di trovare la giusta solidità nella propria metà campo e di coprire alcune lacune. Il problema è che il suo ruolo da tuttofare non di rado lo porta a commettere qualche errore e di fatto non gode neanche della natura di rim protector che caratterizza Gobert.

Sixth Man of the Year

  • Jordan Clarkson: 18.4 punti, 4.0 rimbalzi e 2.5 assist di media con il 42.5% dal campo e il 34.7% dall’arco. Ai Jazz ha sicuramente trovato la sua dimensione, diventando il tassello fondamentale della second unit in qualità di scorer prolifico. Si tratta di una figura essenziale in un sistema che esalta la squadra e non il singolo, con l’ex Lakers e Cavaliers che è in grado di coprire le serate no al tiro dei compagni. Per numeri e costanza è sicuramente il favorito.
  • Joe Ingles: 12.1 punti, 3.6 rimbalzi e 4.7 assist di media con il 48.9% dal campo e il 45.1% dall’arco (career-high in ambo le percentuali). L’australiano fornisce sempre prestazioni molto efficienti su ambo i lati del campo, garantendo un supporto costante ad alto livello. Ci sono tuttavia due “ma”: il primo è rappresentato da delle cifre inferiori a quello del compagno di squadra, molto più propenso all’iniziativa, il secondo dal fatto che su 67 partite giocate in ben 30 occasioni (quasi la metà) è partito in quintetto titolare.
  • Derrick Rose: in 35 partite con i Knicks ha totalizzato 14.9 punti, 2.9 rimbalzi e 4.2 assist di media con il 48.7% dal campo e il 41.1% dall’arco. Un crescendo che nell’ultima parte di stagione lo ha visto grande protagonista nelle vittorie dei newyorkesi. Anche in questo caso però ci sono due punti a sfavore: il primo è rappresentato dal fatto che bisogna contare anche le prestazioni messe in piedi con i Pistons (15 partite tutt’altro che entusiasmanti, nonostante i numeri non siano così diversi da quelli con i NY), il secondo invece si basa su una produzione inferiore rispetto a Clarkson.

Most Improved Player of the Year

  • Jerami Grant: 22.3 punti, 4.6 rimbalzi, 2.8 assist e 1.1 stoppate di media con il 42.9% dal campo e il 35.0% dall’arco. Salto di qualità più che evidente quello effettuato dall’ex Nuggets, che raddoppia quasi tutte le proprie cifre approdando di proposito in una realtà ben più in ombra rispetto a quella del Colorado. Dopo un’esaltante prima parte di stagione si è però spento nel finale, senza considerare che ha saltato anche 18 partite: se fino a marzo poteva essere il grande favorito, ora c’è qualche dubbio.
  • Michael Portar Jr.: 19.0 punti, 7.3 rimbalzi e 1.1 assist di media con il 54.2% dal campo e il 44.5% dall’arco. Ci si aspettava una crescita, ma quello del prodotto di Missouri è stato un salto di qualità impressionante. Il classe 1998 aumenta di dieci punti la sua produzione rispetto alla scorsa stagione, ma soprattutto lo fa aumentando le proprie percentuali al tiro nonostante i tentativi sia da due che da tre siano il doppio. Una macchina efficientissima che va tra l’altro a collocarsi in un ambiente di rilievo come quello dei Nuggets. Considerando tutti i fattori, potrebbe battere Grant.
  • Julius Randle: 24.1 punti, 10.2 rimbalzi e 6.0 assist di media con il 45.6% dal campo e il 41.1% dall’arco. A livello statistico non c’è un salto di qualità così eclatante rispetto alla scorsa stagione, considerando tra l’altro il rapporto con i minuti giocati (ben cinque in più quest’anno). Grande crescita nei panni di assistman, accompagnata da un rialzo a livello realizzativo e dall’investitura come leader dei Knicks. Più che come Most Improved Player of the Year, se ci si dovesse basare sui numeri, sarebbe dovuto correre per l’MVP.

Rookie of the Year

  • LaMelo Ball: 15.7 punti, 5.9 rimbalzi, 6.1 assist e 1.6 rubate di media con il 43.6% dal campo e il 35.2% dall’arco. Il buon LaMelo è stato fin da subito individuato come il principale candidato al premio di miglior matricola. Dopo un inizio non proprio brillante infatti, la terza scelta assoluta dello scorso Draft ha messo in luce tutto il suo talento, conquistandosi un posto da titolare fisso e illuminando le partite degli Hornets con giocate da urlo. Definirlo una delle colonne portanti della squadra probabilmente è esagerato, ma risulta essere sicuramente un elemento chiave in grado di incidere anche nelle giornate no al tiro. L’unico neo è rappresentato, come per Embiid nella corsa all’MVP, dalle 21 partite saltate.
  • Anthony Edwards: 19.3 punti, 4.7 rimbalzi, 2.9 assist e 1.1 rubate di media con il 41.7% dal campo e il 32.9% dall’arco. Ant-Man non ha di certo avuto vita facile come il collega appena citato. Il prodotto di Georgia infatti, capitato in una franchigia non proprio organizzatissima, inizialmente ha fatto una grandissima difficoltà ad adattarsi al ruolo che gli veniva richiesto, risultando così deludente rispetto alle aspettative. Con il passare delle partite Edwards ha tuttavia effettuato una grande crescita, contando su una sorta di riposizionamento tattico, ed è diventato uno dei principali volti della franchigia di Minneapolis. Se da un lato è penalizzato dall’avvio molto sottotono, dall’altro lato ha giocato tutte e 72 le partite.
  • Tyrese Haliburton: 13.0 punti, 3.0 rimbalzi, 5.3 assist e 1.3 rubate di media con il 47.2% dal campo e il 40.9% dall’arco. Il prodotto di Iowa State ha giocato una stagione più che positiva. Niente di straordinario sia chiaro, ma le sue prove, sebbene un po’ altalenanti, sono sempre risultate molto efficienti, salendo via via di tono con il passare dei mesi. Tuttavia, contando anche le 14 partite saltate, dovrebbe essere dietro sia a Ball che ad Edwards.
Articoli collegati
Focus NBA

Il Ballo dei Debuttanti: il verdetto

Lettura 3 Minuti
Se la NBA ha già comunicato da qualche giorno le sue decisioni in merito ai riconoscimenti riservati alle matricole, oggi è il…
Focus NBA

IL Ballo dei Debuttanti

Lettura 4 Minuti
Penultimo appuntamento con la nostra rubrica dedicata alle matricole. Andiamo a verificare l’andamento delle giovani speranze nell’ultimo mese di Regular Season. IL…
Focus NBA

L'ora di Scary Gary

Lettura 2 Minuti
La NBA si contraddistingue da sempre per le mosse di mercato che vengono operate dai vari front office. Le trade che vengono…