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Il nuovo Cam Reddish

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“Coach, grazie. È un onore”.

Perché Cam Reddish ringrazia così apertamente Nate McMillian? Per il tanto spazio che gli ha concesso nelle Finali della Eastern Conference? Per la fiducia che il coach gli ha dimostrato, gettandolo nella mischia dopo quattro mesi di assenza? Beh, non proprio.
Le parole del giovane talento di Atlanta seguono di pochi minuti la seguente dichiarazione: “In Reddish rivedo molto Paul George”. Un paragone pesante, non c’è che dire, ma allo stesso tempo un accostamento da valutare con attenzione perché arriva da un allenatore navigato, che ha giocato ben 12 anni nella NBA prima di sedersi in panchina, e che ha avuto il piacere di lavorare proprio con George ai Pacers.

Reddish al tiro, un fondamentale che dovrà perfezionare

Le prestazioni di Reddish nella serie contro i Bucks hanno colpito più di un osservatore. Cam ha esordito sul finire di gara-2, quando il risultato era ormai compromesso, ma in quei minuti (11 punti) ha guadagnato la fiducia della squadra meritandosi maggiore spazio negli episodi successivi. In gara-4, con Trae Young a riposo per l’infortunio alla caviglia, lo swingman è stato decisivo sui due lati del campo: se in attacco ha contribuito con 12 punti e due triple cruciali, è nella sua metà campo che ha fatto la differenza, aggredendo la partita con un’energia contagiosa e contribuendo largamente alla serata poco onorevole di Khris Middleton (6/17 dal campo, 0/7 da tre punti). Nella decisiva gara-6, Cam ha chiuso con 21 punti e un incredibile 6/7 da tre punti. Una prestazione inutile per il risultato finale, ma il suo apporto ha permesso agli Hawks di rientrare a soli 6 punti dai Bucks, prima di arrendersi definitivamente a Middleton e compagni.

Seppur il campione delle partite sia limitato, non si può non notare la crescita indiscutibile, soprattutto ai capitoli “intensità” e “difesa”, due caratteristiche che non sono sempre stato all’altezza delle sue doti tecniche. I maligni non hanno mancato di rimarcare come questo cambio di passo sia accaduto dopo l’allontanamento di Lloyd Pierce, i cui metodi non avevano ottenuto il gradimento del talento originario di Philadelphia. McMillan al contrario sembra aver toccato le corse giuste, entrando da subito in sintonia e riuscendo così a motivarlo anche in aspetti del gioco non proprio abituali: “Cam ha la “lunghezza” (in inglese “length”, cioè altezza e apertura delle braccia) per essere un grande difensore, ed è molto motivato nel difendere. In attacco ancora deve trovare la giusta dimensione, mentre in difesa è sempre stato molto presente e attento, e da lì trae la sua energia”.

E pensare che di Reddish si era sempre esaltato l’attacco, fin dai tempi in cui era la stella assoluta dei licei di Philadelphia e uno dei prospetti più ricercati della sua classe. Difficile non perdere la testa, cestisticamente parlando, per un atleta dotato tecnica perfetta, in grado di palleggiare come un playmaker, tirare come una guardia e giocare in ogni zona del campo. Nella graduatoria dei migliori liceali del 2018, Cam era il secondo dietro a R.J. Barrett, ma davanti a Zion Williamson, Darius Garland, Coby White e Tyler Herro. Coach K lo aveva voluto a tutti i costi, ma a Duke aveva sofferto l’ingombrante presenza di Barrett e Williamson, dando l’impressione di essere troppo remissivo nel prendersi le proprie responsabilità all’interno dell’attacco dei Blue Devils, accontentarsi del ruolo di tiratore sugli scarichi dei compagni.

Reddish assieme a Zion e Barrett, i tre Blue Devils protagonisti del Draft 2019

Per questo al Draft era sceso fino alla decima scelta di Atlanta: troppe pause mentali, troppi punti interrogativi sulla reale voglia di esplorare e sfruttare pienamente tutto quel talento. Interrogativi che non sono stati fugati lo scorso anno, sebbene la stagione da matricola sia stata relativamente positiva. I 10 punti e quasi 4 rimbalzi di media sono la perfetta sintesi del consueto rendimento altalenante, ben rappresentato dalla serie di quattro partite disputate a gennaio – nelle quali ha alternato match da 20 punti (ai Nets e agli Spurs) a prestazioni da soli 4 punti (Suns e Pistons) -, dal career-high di 28 punti contro Washington alle 30 partite chiuse sotto la doppia cifra (di cui 10 con meno di cinque punti), così come dai mesi di febbraio e marzo chiusi a quasi 15 punti di media con il 39% da tre punti e quello di novembre con medie di 7 punti e il 32% dal campo.
Quest’anno l’altalena non si è fermata (11 partite sotto i 10 punti e 14 sopra la doppia cifra), ma sono stati gli infortuni a condizionarne il rendimento. Il dolore al tendine d’Achille destro lo ha dapprima limitato, poi costretto a restare fuori per oltre quattro mesi. Dopo quasi cinquanta partite viste, soffrendo, da bordo campo, finalmente l’agognato rientro nel momento clou per dei lanciatissimi Hawks.

Per Reddish la serie contro Milwaukee non ha solo rappresentato il ritorno sul parquet, oltre che la conquista della visibilità mediatica che solo i playoff possono regalare, ma potrebbe essere stata davvero la svolta emotiva tanto auspicata, mentre i complimenti di McMillan, con quel paragone molto ingombrante, potrebbero essere il detonatore per far esplodere definitivamente l’enorme potenziale.
Gli Hawks hanno qualche rimpianto di non aver raggiunto le Finals, ma possono guardare con molte speranze la prossima stagione, e una di queste è proprio il “nuovo” Reddish.

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