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Pagellone NBA stagione 2020-2021: Eastern Conference

Lettura 13 Minuti

Per quanto riguarda la Eastern Conference, la stagione NBA ha regalato diverse sorprese e alcune delusioni fin dalla regular season. Vediamo insieme il pagellone delle franchigie dell’Est.


Atlanta Hawks – 8 ½

Gli Hawks si presentavano a questo 2020/21 dopo una offseason da protagonisti, in cui avevano affiancato un gruppo di solidi veterani al promettente nucleo giovane. Doveva essere la stagione del ritorno ai playoff dopo quattro anni di assenza, e così è stato. Ma Atlanta non si è limitata a partecipare alla postseason: si è spinta addirittura alle finali di Conference. Un risultato impronosticabile anche solo alla pausa per l’All-Star Game, a cui la squadra di Lloyd Pierce arrivava con il poco onorevole record di 16 vittorie e 20 sconfitte. Con il subentro in panchina di Nate McMillan e un roster finalmente in salute, dopo gli innumerevoli problemi in avvio, gli Hawks hanno preso il volo. Una seconda parte di regular season da 25 vittorie e 11 sconfitte è valsa ad Atlanta la quinta testa di serie. Una volta iniziati i playoff, Trae Young e compagni sono entrati in una nuova dimensione: prima hanno distrutto i New York Knicks, poi hanno eliminato a sorpresa i favoritissimi Philadelphia 76ers e infine, giunti alle Conference Finals con qualche acciacco di troppo, si sono arresi ai Milwaukee Bucks.
Per Atlanta sarà difficile ripetere subito questa eccellente annata, ma le basi su cui costruire il futuro sono molto solide. Spavaldi e organizzati al punto giusto, e tecnicamente tutt’altro che scoperti, questi Hawks potranno sicuramente puntare ad essere tra i nuovi protagonisti dell’Est.


Boston Celtics – 6

La risicata sufficienza tiene conto delle sfortune che hanno accompagnato la franchigia biancoverde per tutta la stagione. Tra queste, 167 assenze dovute al rispetto dei protocolli Covid: se si considera che Pacers, Cavaliers, Pelicans, Hawks, Pistons, Clippers, Blazers, Thunder, Warriors, Hornets e Magic insieme ne hanno fatte registrare 157, è facile dare un senso ai problemi di continuità sofferti dai Celtics. Boston è riuscita a mettere in campo lo stesso quintetto per sole quattro partite consecutive (in due occasioni), e quando ai playoff si è trovata di fronte i Nets del trio Durant-Harden-Irving, è stato subito chiaro che la sua stagione aveva i giorni contati. Trovate le attenuanti, andiamo a caccia delle aggravanti: Brad Stevens nella sua ottava (e per ora ultima) stagione sulla panca dei Celtics ha faticato a tenere aperto il canale di comunicazione con la squadra. Nelle dichiarazioni alla stampa la sua frustrazione era palese e del resto non era stato un grande Celtic a dire “dopo tre anni ogni allenatore fatica a farsi seguire”? Sì, era stato Larry Bird, l’unico nella storia NBA ad aver vinto i trofei come miglior giocatore, come miglior coach e come miglior executive… Stevens che, una volta preso il posto di Danny Ainge come GM della franchigia, ha calato la scure su uno dei principali indiziati per la stagione al di sotto delle aspettative, spedendo Kemba Walker ai Thunder.
La formula per tornare alla finale di Conference è piuttosto chiara: la coppia Jayson Tatum-Jaylen Brown deve continuare a crescere con il supporto di Smart, Horford e di una pattuglia di giovanotti che oltre a Pritchard può contare su Aaron Nesmith, Robert Williams e Romeo Langford.


Brooklyn Nets – 7

A dicembre, Kevin Durant torna in campo dopo un anno e mezzo e sembra sui livelli del pre-infortunio al tendine d’Achille. Dopo 3 partite, Spencer Dinwiddie si lesiona il legamento crociato del ginocchio destro e chiude la sua stagione. A gennaio, Kyrie Irving scompare misteriosamente e salta alcuna partite per non meglio specificate “ragioni personali”. Sempre a gennaio, Caris LeVert, Jarrett Allen, Taurean Prince e una moltitudine di prime vengono sacrificati per arrivare a James Harden, in rotta con gli Houston Rockets. I Big Three giocano insieme 5 partite, poi Durant si ferma due mesi per un problema muscolare. A marzo arrivano tramite buyout Blake Griffin e LaMarcus Aldridge. Ad aprile Harden si infortuna al bicipite femorale e Aldridge è costretto a ritirarsi per problemi cardiaci. Nonostante tutto ciò, schierando ben 27 giocatori diversi nel corso della regular season, la squadra di Seve Nash chiude al secondo posto la Eastern Conference, mostrando sprazzi di dominio assoluto e un’insospettabile alchimia. Brooklyn spazza via i Boston Celtics al primo turno, ma nella serie successiva Harden ha una ricaduta, rientrando in condizioni non ottimali, e Kyrie Irving si infortuna la caviglia. La finale anticipata contro i Milwaukee Bucks, dominata nelle prime due partite, sfugge così di mano . Un Kevin Durant leggendario non basta a nascondere le carenze di un roster ormai decimato, che va comunque a un passo dal vincere gara-7.
Considerando questa incredibile sequenza di eventi, l’eliminazione non può tradursi in un fallimento. Per giudicare adeguatamente questa nuova versione dei Nets, costruita per diventare una dinastia, bisognerà quantomeno vederla al completo, per una stagione intera. Le premesse sembrano incoraggianti…


Charlotte Hornets – 7

Se la stagione NBA fosse terminata ad aprile gli Hornets si sarebbero meritati un bell’8: con due vittorie sopra il par e il quarto posto nella Conference, il gruppo guidato da James Borrego sembrava destinato ai playoff. E invece una serie di infortuni, oltre ai problemi legati al covid, hanno sfasciato il gruppo condannandolo a 14 sconfitte nelle ultime 20 partite, comprese 6 battute d’arresto a chiudere la stagione. Ancor più amaro in bocca ha lasciato la sconfitta nel play-in contro Indiana, un po’ perché non è che tutti gli infortunati in fase di recupero abbiano fatto il diavolo a quattro per esserci (qualcuno ha detto Gordon Hayward?), un po’ perché la sfida coi Pacers è stata davvero senza storia (144-117 il finale). Ma buttare via il bambino con l’acqua sporca sarebbe un grave errore, perché per mesi gli Hornets sono stati vivi e brillanti. La coppia Terry Rozier-Devonte Graham è cresciuta, con il primo nel ruolo indiscusso di MVP di squadra ed il secondo autore di 18 punti a partita col 37% dall’arco. P.J. Washington si è rivelato un lungo affidabile, tirando per giunta col 38% da tre. Gordon Hayward ha portato esperienza e talento anche se è stato limitato dagli infortuni per l’ennesima volta, mentre Malik Monk stava finalmente attaccando il canestro con continuità quando è stato bloccato dalla squalifica per uso di sostanze illecite. Miles Bridges ha iniziato in sordina per poi migliorare lentamente soprattutto in difesa, anche se rimangono parecchi dubbi sulla sua capacità di giocare a fianco di Washington negli spot di ala. A chiudere un LaMelo Ball che, nonostante l’infortunio, si è guadagnato il premio di Rookie of the Year.
Il programma di coach Borrego di mettere in campo i giovani è stato rispettato pienamente e, nonostante l’inesperienza, la squadra ha mostrato a lungo di poter competere per un posto nei playoff. Alla fine sono state le anomalie di una stagione strana a tarpargli le ali, ma i calabroni di Charlotte sembrano sulla strada giusta.


Chicago Bulls – 5 ½

Il 2020/21 dei Bulls è senz’altro da considerare deludente, vista l’ennesima esclusione dai playoff. Ciò non toglie che, finalmente, dalla Windy City siano arrivati segnali incoraggianti. Per Zach LaVine è stata la miglior stagione in carriera, con la guardia da UCLA che ha compiuto un deciso salto di qualità diventando il leader a tutto tondo della squadra e guadagnandosi la prima convocazione all’All-Star Game. Attorno al suo faro, la nuova dirigenza dei Bulls ha costruito un team meno futuribile del precedente, ma pronto a dire la sua in chiave playoff. Almeno per quanto riguarda l’anno prossimo, visto che questa stagione, iniziata bene, è stata compromessa da qualche assenza di troppo (causa infortuni e protocolli sanitari) e da un assetto ancora da perfezionare. Le cessioni di Wendell Carter Jr. e Otto Porter a Orlando in cambio di Nikola Vucevic e Al-Farouq Aminu e l’arrivo di Daniel Theis da Boston hanno dato solidità e un’identità chiara a un gruppo spesso indecifrabile, in passato. A proposito di indecifrabili: il futuro dei Bulls passa anche dalle decisioni in merito a Lauri Markkanen e Coby White. Il lungo finlandese, a cui Chicago dovrà sottoporre una qualifying offer, e la point guard da North Carolina non sono ancora riusciti a esprimere a fondo il loro potenziale. A volte sono sembrati corpi estranei alla squadra, più equilibrata con gli innesti dei veterani Tomas Satoransky e Thaddeus Young e del rookie Patrick Williams. Coach Billy Donovan non ha certo bisogno di eterne promesse per riportare in alto i Bulls.


Cleveland Cavaliers – 5

La squadra di J.B. Bickerstaff è partita fortissimo, trascinata dai ‘SexLand’, ovvero la coppia formata da Collin Sexton (eleggibile per un’estensione contrattuale in estate) e Darius Garland. I Cavs hanno gravitato in orbita playoff fino ai primi di febbraio, poi una serie di 10 sconfitte consecutive li ha rispediti in zona lottery, dove hanno chiuso ogni singola stagione dalla partenza di LeBron James. L’ottimo inizio, l’incoraggiante debutto di Isaac Okoro, l’arrivo di Jarrett Allen (che dovrebbe rinnovare il contratto a cifre importanti) e la terza scelta assoluta al prossimo draft fanno comunque intendere che a Cleveland c’è del buon materiale su cui lavorare. Restano dei nodi da sciogliere relativi al roster. Taurean Prince, Larry Nance Jr. e Cedi Osman potrebbero far comodo a diverse squadre da playoff: meglio provare a cederli, oppure puntare sulla loro esperienza per crescere? E come fare a liberarsi di Kevin Love, sempre più fuori contesto in Ohio? Per il general manager Koby Altman, che ha già perso senza contropartite Tristan Thompson e Andre Drummond e si è privato di Kevin Porter Jr. in cambio di una misera seconda scelta, potrebbe essere l’ultimo banco di prova.


Detroit Pistons – 5 ½

Stiamo parlando di una squadra arrivata ultima ad Est e penultima in tutta la lega con il bilancio di 20 vittorie e 52 sconfitte, ma che è riuscita a centrare due obiettivi fondamentali per il futuro della franchigia: la scelta numero 1 del draft 2021, che probabilmente si concretizzerà in Cade Cunningham, e il fatto di essersi liberati dei contratto di Blake Griffin, impresa che pareva impossibile anche al più ottimista dei tifosi della Motown.
Per il resto la stagione è volata via nella prevedibile mediocrità e senza nemmeno poter testare totalmente il talento del giovane francese Killian Hayes, frenato troppo presto da un infortunio all’anca e ritornato in campo quando la stagione ormai aveva preso la sua piega e l’obiettivo era diventato quello di perdere più partite possibili. Le note positive sono state sicuramente Jerami Grant, che ha prodotto un’ ottima stagione da 22.3 punti di media, ed i rookie Saddiq Bay, tiratore da 12 punti abbondanti a partita con il 38% da 3, e Isaiah Stewart, il prototipo del giocatore tutto adrenalina ed agonismo che piacerà ai vecchi nostalgici tifosi dei “bad boys”. Il tentativo di valorizzare i prospetti che hanno fallito nel passato si è rivelato inutile con Okafor e Dennis Smith Jr., mentre Josh Jackson ha dimostrato di poter rimanere nella Nba, sia pure in un ruolo molto più marginale di quanto aspirava il suo ego.


Indiana Pacers – 6

Una stagione tormentata come poche altre, quella dei Pacers. Prima l’incertezza sul futuro di Victor Oladipo, in scadenza di contratto e con la valigia pronta, poi l’infortunio alla spalla che ha messo ko TJ Warren, il migliore dei suoi nella bolla di Orlando, quindi i problemi fisici che hanno tenuto fuori a lungo Malcolm Brogdon, Myles Turner e Jeremy Lamb. A tutto ciò si è aggiunta la vicenda Caris LeVert, arrivato in cambio di Oladipo e fermato subito per un carcinoma renale. Malgrado le difficoltà, Indiana è riuscita a mantenersi stabilmente in orbita playoff, spinta da un’ottima partenza e da un’altra grande stagione di Domantas Sabonis. Arrivati al play-in senza alcuni elementi chiave, i Pacers hanno dovuto arrendersi agli affamati Washington Wizards. Il voto poteva essere mezzo punto più alto della sufficienza, ma le tensioni di spogliatoio emerse durante la stagione, dai contrasti fra i giocatori e coach Nate Bjorkgren al litigio in mondovisione tra Goga Bitadze e l’assistente Greg Foster, hanno gettato fango sulla franchigia. La offseason di Indiana è cominciata con il licenziamento di Bjorkgren e il ritorno in panchina dopo quattordici anni di Rick Carlisle, ma per dare una scossa risolutiva all’ambiente potrebbero essere necessarie delle cessioni importanti.


Miami Heat – 5

Dopo le Finals raggiunte con pieno merito a Orlando, le aspettative sugli Heat 2020/21 erano altissime, invece la magia non si è ripetuta. Gli infortuni e i protocolli anti-covid hanno penalizzato non poco l’avvio di stagione degli uomini di coach Erik Spoelstra. Victor Oladipo, arrivato alla trade deadline, è sceso in campo solo in quattro occasioni, prima che dei nuovi problemi al ginocchio lo mettessero ko definitivamente. Se a tutto ciò uniamo la partenza di Jae Crowder, la mancata esplosione di Tyler Herro e i sopraggiunti limiti di età per Andre Iguodala, Goran Dragic e Trevor Ariza, non è difficile comprendere il perché Miami sia arrivata in condizioni non ottimali ai playoff. I Milwaukee Bucks, sconfitti nella bolla, si sono fatti trovare pronti per il rematch, terminato di fatto dopo la tiratissima gara-1. A South Beach inizia ora una offseason ricca di decisioni delicate. Duncan Robinson e Kendrick Nunn sono restricted free agent, su Dragic e Iguodala bisognerà esercitare o meno una team option e un occhio sarà sempre puntato sulla free agency. Arrivati a questo punto, il rischio di uscire dai binari che portano alla corsa per il titolo è sempre più concreto.


Milwaukee Bucks – 10

Stagione praticamente perfetta per i Bucks, che ottengono il secondo anello della propria storia a 50 anni di distanza dalla conquista del primo titolo. Dopo aver ottenuto senza particolari sforzi il terzo posto ad Est, Milwaukee ha dato l’assalto alla postseason. Surclassati gli Heat nel rematch della scorsa stagione, i Cervi hanno sfruttato gli infortuni di Irving e Harden per portare a casa lo scontro di alto livello contro i Nets. Nella finali di Conference la fortuna ha sorriso ancora una volta a Giannis e soci, in quanto gli inesperti Hawks hanno rivestito il ruolo di un antagonista ben più morbido di un’ipotetica Philadelphia al 100%. Alle Finals è probabilmente arrivata la sorpresa più grande, con i Bucks che sono stati capaci di rimontare uno svantaggio di 2-0 alzando il proprio livello su ambo le metà campo.
Nonostante diversi svarioni da parte di coach Budenholzer, Milwaukee si è dimostrata una franchigia organizzata sia difensivamente che, seppur con alcuni limiti non proprio trascurabili, offensivamente. Holiday e Middleton si sono rivelati i gregari perfetti per un clamoroso Antetokounmpo, mentre tutto il resto del supporting cast ha svolto un egregio lavoro.
I margini di miglioramento ci sono e non sono pochi, quindi in Wisconsin sono convinti di non dover aspettare altri 50 anni per festeggiare un nuovo titolo.


New York Knicks – 7

I New York Knicks sono stati una delle sorprese più gradite di questa strana annata. Coach Thibodeau, nominato allenatore dell’anno, è riuscito a creare un gruppo a sua immagine e somiglianza e i risultati si sono visti. Il capolavoro è stato quello di trasformare Julius Randle in un uomo squadra, capace non solo di essere un realizzatore affidabile, ma anche di aiutare i compagni e soprattutto di difendere, cosa che aveva fatto poco e male in tutta la sua carriera. I “soldatini” Reggie Bullock e Taj Gibson hanno contribuito a dare un’ identità operaia ad una squadra estremamente solida, ma che ai playoff ha avuto disperato bisogno del talento del vecchio Derrick Rose e dei punti di Alec Burks, anche perché le due stelle Randle e Barrett sono calate sensibilmente di rendimento. Molto bene si è comportato il rookie Immanuel Quickley, in grado di portare alla causa punti rapidi dalla panchina, mentre il più quotato Obi Toppin ha avuto diversi problemi nell’entrare nelle rotazioni e nelle grazie del coach.
Thibodeau sa benissimo di aver creato delle basi solide per riportare New York nelle posizioni che contano, ma sa altrettanto bene che servono ulteriori innesti per fare il definitivo salto di qualità, stando attenti però, a non stravolgere gli equilibri costruiti con il lavoro in un’ annata comunque da ricordare.


Orlando Magic – 5

La squadra di Steve Clifford sembrava destinata all’ennesima stagione mediocre, di quelle che se va bene vieni spazzato via al primo turno playoff, se va male li guardi in tv. A comprometterne le sorti sono stati i gravi infortuni subiti dagli unici giocatori di prospettiva presenti a roster: Jonathan Isaac si era già fermato nella bolla di Disney World, mentre Markelle Fultz lo ha raggiuto in infermeria a stagione in corso (sempre per la rottura del crociato). Alla trade deadline è arrivata l’inattesa svolta, con le cessioni di Nikola Vucevic, Evan Fournier e Aaaron Gordon. Un bel colpo di spugna al passato, che dà ufficialmente inizio alla nuova era dei Magic. Orlando riparte da Jamahl Mosley, che ha preso il posto di Clifford in panchina; da Isaac e Fultz, sperando che la salute li assista; da Cole Anthony, protagonista di un’ottima stagione da rookie, e dalle scelte ottenute dalla cessione dei big, due delle quali (la quinta e l’ottava assoluta) nel draft 2021. Dopo tanti anni passati in uno scomodo limbo, il futuro in Florida si prospetta intrigante.


Philadelphia 76ers – 5

Per i Sixers sembrava finalmente la stagione della svolta. Il nuovo allenatore, Doc Rivers, aveva spazzato ogni dubbio su chi fosse il perno della squadra, affidando le chiavi a un Joel Embiid candidato MVP. Ben Simmons si era calato appieno nel ruolo di specialista difensivo, dando spettacolo nella propria metà campo. Attorno alle due star era stato assemblato un roster solido e compatto. Tobias Harris, Seth Curry e Shake Milton a garantire un valido apporto in attacco, Matisse Thybulle, Danny Green, George Hill e Dwight Howard a rendere granitica la linea difensiva. Tutto è girato a meraviglia, tanto che Phila ha chiuso con il miglior record della Eastern Conference.
Sembrava che fosse giunta l’ora di completare ‘The Process’, di riportare la storica franchigia agli antichi splendori, poi sono arrivati i playoff. L’ennesimo infortunio di Embiid ha causato qualche grattacapo di troppo al primo turno. Nella serie successiva, gli Atlanta Hawks hanno messo a nudo tutti i limiti di quest’epoca dei Sixers. La verve di Trae Young, l’energia di John Collins e la mano calda del supporting cast hanno mandato in crisi la difesa di Rivers, mentre l’attacco ha girato a vuoto nei momenti più importanti. Dopo aver sprecato un vantaggio di 18 punti in gara-4, Phila si è superata nella partita seguente, facendosi rimontare dal +26. La sconfitta casalinga in gara-7 ha dato il via a un nuovo ‘Process’, con finalità ben diverse rispetto a quello immaginato da Sam Hinkie. I principali imputati sono Ben Simmons e Tobias Harris, il cui rendimento nei playoff non ha giustificato le sontuose cifre sui loro contratti, ma anche coach Rivers, incapace di tenere a galla la barca nel mare in tempesta, rischia un nuovo, inatteso licenziamento.


Toronto Raptors – 4 ½

Lo scorso settembre i Raptors uscivano dai playoff di Orlando a testa alta, eliminati in gara-7 dai Boston Celtics dopo una combattutissima serie. Pochi mesi dopo, eccoli a seguire i playoff in televisione, con l’anello vinto nel 2019 a fare da malinconico souvenir dei bei tempi andati. Il vecchio ciclo sembra ormai giunto al capolinea. Kawhi Leonard è un ricordo lontano, Serge Ibaka e Marc Gasol lo hanno raggiunto a Los Angeles, seppure su sponde opposte. Anche il capitano Kyle Lowry, che sembrava dover partire già a febbraio, è in procinto di ammainare la bandiera. La stagione 2020/21, disputata a Tampa per motivi logistici legati all’emergenza COVID, doveva servire da ponte tra le due epoche, ma molte cose sono andate storte. Ibaka e Gasol non sono stati rimpiazzati a dovere, la panchina ha reso molto meno che in passato – ad eccezione del sorprendente Chris Boucher -, Pascal Siakam non ha mai trovato continuità e i protocolli sanitari hanno più volte decimato il roster. In ogni caso, le consolazioni non mancano a coach Nick Nurse. Boucher ha superato ogni aspettativa, Fred VanVleet e OG Anunoby si sono confermati pilastri solidissimi su cui costruire la squadra dopo il probabilissimo addio di Lowry, Gary Trent Jr. si è rivelato un prezioso innesto e l’infermeria, prima o poi, si svuoterà. Se a tutto questo aggiungiamo la quarta scelta al prossimo draft e il rientro a Toronto, in Canada ci sono ancora validi motivi per restare ottimisti.


Washington Wizards – 7

Alla vigilia i Wizards erano dei seri candidati ai playoff. Non poteva essere altrimenti dopo l’arrivo di Russell Westbrook al posto del lungodegente John Wall. Eppure, l’avvio di stagione è stato condizionato da troppi problemi: il grave infortunio di Thomas Bryant, le condizioni non ottimali di Westbrook, il rendimento altalenante di Rui Hachimura, quello assai deludente di Davis Bertans e l’inconsistenza del supporting cast. Grazie alla lieve ripresa di febbraio e, soprattutto, allo sprint finale, guidato da un Westbrook in tripla-doppia di media per la quarta volta in carriera e da un Bradley Beal secondo miglior realizzatore NBA, gli uomini di Scott Brooks hanno centrato la qualificazione alla postseason. Contro i rocciosi Philadelphia 76ers c’è stato ben poco da fare, ma considerando tutto quello che i capitolini hanno dovuto passare la stagione è stata assolutamente positiva. Ora Washington si ritrova al solito bivio tra continuità e ricostruzione. A far propendere per la seconda ipotesi sono il cambio di allenatore, con Brooks sostituito da Wes Unseld Jr., la giovanissima età di molti giocatori (su tutti Hachimura e il rookie Deni Avdija) e il valore di mercato di Westbrook e Beal, che difficilmente resterà così alto col passare dei mesi.




Articolo a cura di Fabio Anderle, Stefano Belli, Andrea Grosso, Fabio Krpan

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