Tra le Division del selvaggio West la Pacific occupa sicuramente un posto d’onore. Dal 2014 in avanti infatti il campione della Western è arrivato direttamente da questo manipolo di squadre: i Warriors (per cinque anni consecutivi raccogliendo tre titoli), i Lakers (campioni nel 2020) e i sorprendenti Phoenix Suns (la scorsa stagione). Menzione d’onore anche per i Clippers, finalisti di Conference lo scorso anno che hanno alzato bandiera bianca solo alla sesta partita contro la franchigia dell’Arizona. Ultimi e sicuramente meno blasonati i Sacramento Kings, la squadra più in difficoltà delle cinque, assente dai playoff ormai da quattordici anni.
[le squadre vengono presentate in ordine alfabetico e affiancate dal record della scorsa stagione]
GOLDEN STATE WARRIORS (39-33)
Record positivo nonostante le molte difficoltà, gli infortuni (in particolare quello di Klay Thompson che lo ha tenuto fuori tutta la stagione), l’adattamento difficile di uno dei rookie più attesi (la seconda scelta James Wiseman). Insomma, poca fortuna ma tantissimo cuore per questi Warriors trascinati in campo da uno Steph Curry in formato MVP e un Draymond Green sempre più leader vocale. La qualificazione ai playoff è mancata per un soffio ed è passata per le mani dei giovanissimi Memphis Grizzlies di Ja Morant, squadra solida ma non solidissima, e ci si chiede quindi se in condizioni ottimali non avremmo visto un’altra storia. Ma tant’è, questo è successo e da questo deve ripartire Golden State questa stagione: il ritorno di Thompson è alle porte, Curry ha dimostrato di essere in perfetta forma e Steve Kerr è più convinto che mai che i ragazzi della Baia potranno dare filo da torcere.
L’estate ha portato ottimi segnali per la squadra e non solo: dal mercato sono arrivati Otto Porter per il partente Kelly Oubre, Andre Iguodala, graditissimo ritorno dopo due stagioni, Nemanja Bjelica, giocatore dal folto curriculum europeo e parecchi role players come Avery Bradley e Chris Chiozza. Non solo, molti addetti ai lavori sono convinti anche che i Warriors si siano accaparrati la proverbiale steal of the Draft, Jonathan Kuminga, ala di due metri abbondanti passata per la G League prima di approdare in NBA. Insieme a lui è arrivato anche Moses Moody, giocatore dal profilo decisamente interessante per i talent scout: Moody è un 3&D, tiratore difensore dalle ottime mani sia nella metà campo offensiva con ottime percentuali che nella metà campo difensiva come marcatore sul perimetro.

Il quintetto al momento rimane simile a quello dello scorso anno. Steph Curry ovviamente, accompagnato da Wiggins, Otto Porter (unico cambio dello starting lineup), Draymond Green e Kevon Looney sotto le plance. Ci sarà sicuramente spazio per James Wiseman ma in partenza dalla panchina: sgravandolo dal peso della titolarità Kerr spera di tirare fuori tutto il talento che è stato in grado di mostrare a sprazzi lo scorso campionato. Dalla panchina arriveranno anche Poole, Iguodala, Kuminga e il resto dei role players a rotazione. Grande attesa per il ritorno di Klay Thompson, prospettato per dicembre: con lui in campo i Warriors possono contare su un tiratore eccezionale e un eccellente difensore sulla palla, oltre che su un giocatore che può dare un po’ di respiro a Curry togliendogli un po’ di responsabilità offensive.
Kerr ha ritrovato, parole sue, una squadra motivata e consapevole e dovrà guidarla con mano esperta verso l’obiettivo più che realizzabile dei playoff. Con l’aggiunta di Thompson a pieno regime Golden State punta anche a qualcosa in più ma è oggettivamente complicato metterla sullo stesso piano delle contender di primo livello, quantomeno per differenza evidente di roster. Attenzione però a non sottovalutare il cuore, oltre al talento, di questa squadra.
LOS ANGELES CLIPPERS (47-25)
Quarto posto nella Western e un percorso più che discreto ai playoff, sporcato pesantemente dall’infortunio di Kawhi Leonard che ha condizionato il risultato finale: i Los Angeles Clippers si sono dovuti arrendere ai Phoenix Suns alla sesta partita della finale di Conference nonostante una strenua resistenza opposta da Paul George e compagnia. Quello che però si è visto lo scorso anno è un gruppo molto più combattivo rispetto a quello visto nella bolla, arrendevole e poco grintoso, cosa che può solo far piacere a coach Ty Lue in vista della prossima stagione. Nota dolente già in partenza è il difficile recupero di The Klaw, probabile assente per tutto il campionato; Steve Ballmer, proprietario della franchigia, ha dichiarato che si sta facendo tutto il possibile per garantire un ritorno in tutta sicurezza già verso la metà della stagione ma un infortunio di quella entità non è da sottovalutare o prendere alla leggera. È più facile quindi che a Leonard venga dato tutto il tempo necessario per recuperare appieno e ripresentarsi ai blocchi di partenza per la stagione 2022/23.
Il mercato non ha portato un profilo all’altezza per sostituire almeno momentaneamente Leonard (cosa comunque estremamente difficile visto le qualità da campione assoluto del giocatore). Il colpo più grosso è stato Eric Bledsoe, scaricato senza troppi complimenti dai Pelicans dopo una stagione piuttosto deludente. Per Bledsoe si tratta di un ritorno a casa, alla squadra che lo ha fatto esordire nei professionisti nel 2010. Se sul fronte arrivi c’è poco da segnalare, il fronte partenze è quello che ha fatto venire qualche mal di pancia in più ai tifosi: se ne sono andati infatti Rajon Rondo, tornato ai Lakers, e Patrick Beverley, beniamino della platea mandato a Minnesota. I Clippers perdono così due ottimi difensori e un veterano di primo livello da poter schierare ai Playoff senza averli prima rimpiazzati.

Il quintetto viene quindi parzialmente stravolto viste le assenze e le partenze: in cabina di regia sale Reggie Jackson, reduce da un’ottima stagione sia in regular che in post-season, seguito da Bledsoe, Paul George, Marcus Morris e Ivica Zubac. Inutile dire che quest’anno il numero 13 è chiamato a prendere le redini della squadra e diventare il leader assoluto per guidare la carica verso le alte sfere della Conference: il giocatore di Palmdale viene da un’ottima stagione da 23.3 punti, 6.6 rimbalzi e 5.2 assist con il 46,7% dal campo e il 41,1% dall’arco, medie alzate decisamente ai Playoff (26.9 punti, 9.6 rimbalzi, 5.4 assist) segno di un giocatore ormai tranquillo nell’ambiente losangelino dopo un primo campionato non al massimo. A dare manforte dalla panchina ci penseranno l’ottimo Terance Mann e gli esperti Nicholas Batum e Serge Ibaka, anche lui reduce da un infortunio che lo ha tenuto fermo quasi tutta la stagione scorsa. Non ultimi anche Luke Kennard, tiratore provetto che ha risposto presente in tante situazioni difficili, e Justise Winslow, role player talentuoso con molte statistiche nelle mani.
Nonostante l’assenza di Leonard l’obiettivo dei playoff è il minimo per il gruppo di Lue, anche se pensare di puntare alle Finals senza Kawhi è sicuramente molto difficile. George dovrà rimboccarsi le maniche e sperare di trovare qualcuno di affidabile con cui dividere le responsabilità offensive e difensive, mettendo sempre al primo posto il collettivo e l’obiettivo comune di superare gli ostacoli più difficili e non rimanere costantemente nel limbo delle eterne incompiute.
LOS ANGELES LAKERS (42-30)
Sconfitta al primo turno dei playoff, demolita da ogni addetto ai lavori per essersi dimostrata un superteam tutt’altro che efficace, reduce dagli infortuni di LeBron James e Anthony Davis, non proprio gli ultimi giocatori della lega, tante partenze in estate che hanno smontato la vecchia ossatura della squadra. Questo è stato il punto di partenza dei Los Angeles Lakers agli albori della stagione 2021/22. I Suns sono passati su di loro come una schiacciasassi e hanno lasciato coach, front office e giocatori a porsi molte domande sul futuro della squadra e su come gestire la pressione di essere costantemente considerata una contender: alcuni, James su tutti, sono abituati ad affrontare questo tipo di situazione (d’altronde non diventi uno dei migliori giocatori di sempre se non sai gestire le difficoltà), altri lo hanno imparato e altri ancora dovranno impararlo. Nel mentre però Rob Pelinka non è rimasto a guardare e ha costruito intorno a James e Davis quella che appare a tutti gli effetti come una vera armata.
Chiunque abbia seguito vagamente le news di mercato in estate ha saputo dell’approdo di Russell Westbrook nella Città degli Angeli: il curriculum del giocatore parla da sé (MVP, nove volte All-Star, recordman assoluto di triple-doppie) ma l’apporto che dovrà dare ai gialloviola va ben oltre la mera statistica. Il n°0 è un uomo squadra di alto profilo che migliora chi gli sta intorno, nonostante molti critici pensino il contrario, e potrà essere utile per togliere la palla dalle mani di LeBron e farlo trovare più fresco nei momenti chiave dei match, quando inevitabilmente toccherà a lui chiudere i giochi. Non solo, per aggiungere un altro veterano da copertina Pelinka si è assicurato i servigi di Carmelo Anthony, uno dei migliori scorer puri della nostra generazione. Melo ovviamente è nella fase discendente della carriera ma non per questo sarà meno efficace partendo dalla panchina e giocando palloni importanti alla guida della second unit. Già menzionato il ritorno di Rondo, accompagnato anche da Dwight Howard e Trevor Ariza (già campioni coi Lakers), DeAndre Jordan e Kendrick Nunn. Niente da dire sul roster che ha quindi tutte le carte in regola per mettere una bella distanza tra sé e le inseguitrici.

Passiamo al quintetto base: poca sorpresa nel vedere Russell Westbrook in cabina di regia accompagnato da uno tra Wayne Ellington e Talen Horton-Tucker nel reparto guardie, seguiti da Trevor Ariza, LeBron James e Anthony Davis. L’ottimo mercato permetterebbe un ricambio completo nella second unit, con Anthony, Nunn e Howard su tutti a dare qualità ed esperienza. Difficilmente vedremo i Big Three riposare insieme se non in partite già chiuse ma questa ampia scelta dalla panchina può dare sicuramente maggior respiro alle stelle e conservare il meglio nei casi di estrema necessità.
Inutile girarci intorno, i Lakers puntano al titolo e hanno tutto quello che serve per farlo, Qualità, esperienza, profondità, resta solo da vedere come sarà la convivenza tra senatori e nuovi arrivi: non è infatti scontato che un gruppo di vecchi amici riesca ad entrare in perfetta sintonia tirando fuori un basket d’eccezione. Le possibilità ci sono tutte, adesso non resta che sedersi e godersi lo spettacolo.
PHOENIX SUNS (51-21)
Onestamente i Lakers sarebbero davanti ai Suns a livello di organico e talento se dovessimo fare una stima pound-for-pound, per usare un termine pugilistico, ma è impossibile non considerare quanto fatto la scorsa stagione. Phoenix ha rialzato la testa dopo anni di nulla assoluto e lo ha fatto scatenandosi al massimo: il titolo mancato nel loro caso non è un fallimento ma piuttosto uno stimolo ad alzare gli obiettivi per una squadra che ha evidentemente qualità da vendere e i giusti interpreti per esprimere il gioco voluto da coach Monty Williams. Lo scoring a tutto tondo di Booker, la classe senza tempo di Chris Paul, la nuova linfa di DeAndre Ayton (prima scelta al Draft 2018 che fino ad ora non aveva pienamente convinto) saranno le pietre angolari su cui costruire una nuova stagione improntata alla difesa di uno status guadagnato col sudore e la fatica, in cui i Suns vorranno dimostrare di non essere stati favoriti dalla buona sorte.
Avendo già tre stelle in casa il mercato dei Phoenix si è concentrato più sul mettere tasselli utili ad allungare la panchina: sono arrivati infatti Javale McGee, centro di grande esperienza con tre anelli all’attivo, Elfrid Payton, guardia eclettica con tante statistiche nelle mani e Landry Shamet, specialista dall’arco. I tre vanno ad aggiungersi ai talenti già presenti in squadra, giocatori come Cam Johnson, Cam Payne e Jalen Smith che tanto di buono hanno fatto vedere nella stagione passata. James Jones è stato bravissimo a conservare intatto lo scheletro della squadra lavorando più per addizione che per sottrazione, dimostrando una volta di più che il premio di GM dell’anno è stato più che meritato.

Il quintetto base, come già detto, rimane assolutamente invariato: Chris Paul e Booker si occuperanno del backcourt, portando palla in avanti verso Mikal Bridges, Jae Crowder e Ayton. Questa formazione ha già ampiamente mostrato le sue qualità mettendo già pesanti margini tra sé e gli avversari fin dalle prime battute della partita: non è stato infatti insolito vedere Phoenix dilagare già nei primi due quarti, chiudendo in anticipo la partita e lasciando poco margine di ripresa ai rivali. Spazio quindi a loro dall’inizio con i cambi già pronti a subentrare per dare fiato agli interpreti principali: Payne e Johnson saranno giocatore fondamentali in uscita dalla panchina, così come i nuovi arrivi, McGee, Payton e Shamet. Occhio anche a Saric e Kaminsky, giocatori di mestiere che hanno dato un buon contributo nella cavalcata trionfale dello scorso anno.
L’obiettivo, più che il titolo, è dimostrare di non essere stati un fuoco di paglia. I playoff sono assolutamente alla portata e forse anche qualcosa in più se ci dovessero essere i giusti accoppiamenti ai primi turni: non è quindi utopia pensare di vedere un rematch tra Phoenix e Lakers, stavolta su un palcoscenico più prestigioso come le finali di Conference, ma per arrivarci i Suns dovranno spremere ogni briciolo del loro talento e consolidare ulteriormente una chimica di squadra già ben rodata ed efficace.
SACRAMENTO KINGS (31-41)
Partiamo proprio dai Kings: la franchigia della capitale californiana naviga in acque molto profonde da ormai diverso tempo e quelle quattordici stagioni consecutive senza accedere alla postseason cominciano a pesare parecchio. La squadra però ha fatto vedere cose interessanti lo scorso anno, trascinata la maggior parte delle volte dal talento cristallino di De’Aaron Fox; il prodotto di Kentucky ha infatti portato a casa parecchie vittorie con prestazioni di tutto rispetto guadagnandosi una volta di più il ruolo di leader in campo, accompagnato degnamente dalla definitiva esplosione di Richaun Holmes, l’ottimo inserimento di Tyrese Haliburton (tra i migliori rookie della scorsa stagione) e le triple pesanti di Buddy Hield. Quest’ultimo ha lasciato tutti col fiato sospeso viste le molte voci di mercato che lo hanno accompagnato per tutto il campionato ma alla fine sembra aver abbracciato ancora una volta il progetto dei Kings. Almeno fino alla prossima finestra di scambi.
Più che sul fronte mercato, dal quale sono comunque arrivati Alex Len e Tristan Thompson, i Kings hanno cercato di tirare fuori il coniglio dal cilindro sfruttando al meglio la loro scelta al Draft e selezionando la point guard Davion Mitchell alla numero nove. Il ragazzo è un fresco campione NCAA e Summer League, della quale è stato eletto MVP, e ha impressionato molti addetti ai lavori per la difesa di primissimo livello e una mano più che discreta in fase offensiva; lo scetticismo che lo accompagna deriva però dall’età, ventitré anni, già avanzata per i canoni NBA, cosa che spinge tanti a chiedersi quali possano essere i margini di miglioramento futuri. La risposta potrà darla solo Mitchell a colpi di difesa asfissiante e canestri preziosi, sperando che sia l’aiuto per Fox che il front office ha tanto cercato.

Il quintetto titolare rimarrà invariato: chiavi in mano a De’Aaron Fox, ancora una volta chiamato a fare gli straordinari, seguito da Hield, Harrison Barnes, Marvin Bagley III e Richaun Holmes. La presenza di Bagley in quintetto conforta coach Walton che guadagna nuovamente un giocatore dalle indiscutibili qualità ma non è dato sapere per quanto: il prodotto di Duke è infatti noto per il fisico delicato e la propensione all’infortunio che ne hanno condizionato l’impiego negli ultimi tre anni. Sperando che niente di male accada questo è lo starting five. A seguire troveremo Tyrese Haliburton nel ruolo di sesto uomo dall’ampio minutaggio, Thompson e Len a dare respiro ai lunghi e qualche comparsata dei role player come Harkeless, Metu e Davis.
Con questo tipo di roster è difficile immaginare Sacramento come una squadra da playoff anche se sicuramente l’obiettivo stagionale sarà quello, puntando ai Play-In e sperando in una combinazione fortunata negli accoppiamenti. E chissà che gli Dei del basket non vogliano interrompere finalmente il digiuno dei poveri Kings.
Articolo a cura di Gianluca Bortolomai