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NBA Preview 2021-22: Southwest Division

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La Southwest Division è sempre stato il regno dei San Antonio Spurs e degli Houston Rockets, prima dell’affermazione dello scorso anno dei Dallas Mavericks di Luka Doncic, candidati a finire davanti a tutti anche in questa stagione. Gli uomini del neo coach Jason Kidd dovranno guardarsi dalla crescita dei Memphis Grizzlies di Ja Morant, mentre l’incognita New Orleans e le nobili decadute San Antonio e Houston avranno ben altri obiettivi. Nessuna delle squadre appare però pronta a centrare il bersaglio grosso, anche se un gruppo con Luka Doncic non parte mai battuto in partenza.

[le squadre vengono presentate in ordine alfabetico e affiancate dal record della scorsa stagione]


DALLAS MAVERICKS (42-30) 

I Dallas Mavericks sono i campioni in carica della Southwest Division, ma paradossalmente l’annata passata non ha soddisfatto le aspettative molto alte che si erano create dopo la stagione precedente. L’eliminazione in gara-7 nel primo turno contro i soliti Los Angeles Clippers ha addirittura sancito la fine dell’era Donnie Nelson, “uomo Mavs” da 24 anni, ed anche quella di Rick Carlisle, dimessosi dopo l’addio di Nelson e ritornato agli Indiana Pacers. Al loro posto sono stati ingaggiati Jason Kidd e Nico Harrison, ed obiettivamente è difficile pensare di aver fatto un salto di qualità a livello di guida tecnica e di esperienza nel front office.

Queste le principali novità di un roster che, al contrario, è rimasto pressoché immutato e che difficilmente porterà grandi miglioramenti. Nel mirino delle critiche c’è sempre Kristaps Porzingis, il cui rendimento negli scorsi playoff non può aver soddisfatto nessuno. I 13 punti di media contro i Clippers sono una prestazione tragica per colui che dovrebbe essere la spalla di Doncic, ma che spesso nei momenti importanti delle gare è stato addirittura messo a sedere. Si era parlato di un tentativo di scambio, ma la sensazione è che Jason Kidd lo possa mettere alla prova, soprattutto perché il lettone ha passato un estate senza infortuni e si presenterà ad inizio stagione tirato a lucido.

L’unica cosa certa è che i Dallas Mavericks sono la squadra di Luka Doncic dal primo momento che lo sloveno ha messo piede nell’NBA. Lo sloveno ha giocato una seconda parte di stagione da MVP, dopo un inizio rallentato da una forma fisica non proprio eccellente. L’addio di Nelson, che l’aveva fortemente voluto al draft scambiandolo con Trae Young, ha creato qualche malumore solo parzialmente attenuato dall’accordo sul rinnovo del contratto che chiamerà 207 milioni nei prossimi 5 anni, raggiunto con l’intera delegazione dei Mavs volata per l’occasione in Slovenia.
Era stato fatto il nome di Goran Dragic, compagno di Luka nella cavalcata trionfale agli Europei del 2017 , ma l’ex Heat è ancora a Toronto e per ora il roster non offre prospettive tali da far passare il “mal di pancia” al suo leader.

L’esperimento Josh Richardson non ha portato dividendi ed al posto del neo Celtic è arrivato Reggie Bullock, giocatore troppo spesso sottovalutato, ma che certamente non è in grado di accendere gli entusiasmi. Come non faranno sognare gli ingaggi di Sterling Brown, solido panchinaro e nulla più, di Frank Ntilikina, ex promessa francese praticamente sparita dai parquet NBA, e Moses Brown, un ragazzone di 2.18 che si è messo in evidenza nel nulla di Oklahoma ma che non sembra materiale per i piani alti di questa lega.

Per migliorare i risultati dello scorso anno Kidd dovrà sperare in una stagione da MVP di Doncic, dovrà scommettere sulla salute di Porzingis e sull’estro di Tim Hardaway Jr., Brunson e Trey Burke dalla panchina o sulla crescita dell’australiano Josh Green, reduce da un’anonima stagione da rookie. Sicuramente potrà contare sulla solidità di Dorian Finney-Smith, Maxi Kleber e Dwight Powell, ma sembra troppo poco per poter pensare di competere per arrivare fino in fondo.

E’ opinione comune che il roster abbia bisogno di un cambiamento radicale ed è tutt’altro che improbabile che qualche trade possa cambiare il volto della franchigia ben prima della deadline di febbraio.



HOUSTON ROCKETS (17-55)

Nella offseason del 2019 gli Houston Rockets aggiungevano Russell Westbrook al loro roster nel tentativo di arrivare quel titolo solamente sfiorato nel 2017, quando furono fermati in gara-7 dai campioni dei Golden State Warriors e dall’infortunio di Chris Paul, scambiato poi con i Thunder per poter dar nuova linfa alle speranze di vittoria. Nemmeno due anni dopo, della squadra che ambiva a riportare il titolo in Texas che mancava dal 1994, non è rimasto nulla.
Coach D’Antoni ha dato le dimissioni dopo l’eliminazione per 4-1 nella “bolla” con i Lakers, mettendo virtualmente fine al ciclo. Westbrook è stato mandato a Washington in cambio di John Wall, praticamente fermo per due stagioni, e James Harden, leader emotivo e tecnico della squadra, è partito in direzione Brooklyn dopo aver espresso chiaramente il desiderio di cambiare aria.

L’obiettivo dei nuovi Rockets di coach Stephen Silas nella scorsa stagione è stato quello di perdere più partite possibili, in modo da poter ricominciare da un nucleo giovane e da una scelta altissima al draft. Obiettivo centrato, visto che Houston ha chiuso a 17 vittorie e con la scelta numero 2 nella lottery.

Il nuovo ciclo dei texani ripartirà dunque da Jalen Green, uno dei prospetti più elettrizzanti fra le nuove leve. Il classe 2002 nato in California, è esploso nell’ultimo anno di High School a Prolific Pep a Napa segnando 31.5 punti di media, il tutto dopo aver trascorso i primi anni nella San Joaquin Memorial High School a Fresno, dove ha battuto il record di punti del liceo appartenente a Roscoe Pondexter, visto in Italia a Gorizia e padre di quel Quincy che ha interrotto la sua carriera NBA per
problemi di infortuni. Nonostante diverse offerte da università prestigiose, Green ha deciso di fare un anno in G League, precisamente a Walnut Creek nei G League Ignite, squadra nata appositamente per sviluppare i talenti provenienti direttamente dal liceo e non affiliata a nessuna franchigia NBA.
Jalen ha chiuso l’annata a quasi 18 punti e 4 rimbalzi di media, potendo giocare a fianco di veterani NBA quali Jarrett Jack ed Amir Johnson, testando così il clima del piano di sopra. Il neo Rockets ha dimostrato tutte le sue doti ma anche qualche difetto: esplosività, atletismo e capacità realizzative fuori dal comune, ma pure scarsa confidenza con il tiro da fuori e poca attenzione alla fase difensiva. Il fatto di aver saltato l’università ed aver giocato in un campionato poco competitivo potrebbe essere un problema e rallentare l’ascesa di Green, ma a Houston non hanno fretta e sanno che dovranno armarsi di molta pazienza.

Come detto, il roster in un anno è stato totalmente stravolto e l’obiettivo sarà esclusivamente quello di cercare di sviluppare il talento dei giovani. Wall rimarrà fuori squadra in attesa di una trade ed allora le chiavi della squadra saranno in mano a Green e Kevin Porter Jr., esploso lo scorso anno con una stagione da 16 punti a partita dopo un’annata a Cleveland nella quale erano emersi solamente i suoi problemi comportamentali.
Dal draft è arrivato anche il turco Alperen Sengun, uno dei lunghi più interessanti tra i giovani scelti, anche se le sue caratteristiche sono in controtendenza con la pallacanestro moderna. L’ex Besiktas è un centro vecchio stampo, che non ha ancora il tiro da fuori in grado di aprire il campo, ma che ha un gioco spalle a canestro di tutto rispetto. La 16° scelta di questo draft avrà sicuramente lo spazio per esprimere il suo talento, così come lo spagnolo Garuba, che vanta esperienze in Eurolega e con la nazionale spagnola, e Kenyon Martin Jr., autore di un finale di stagione scorsa molto confortante.

Lo starting five, al di là della presenza di Green e Porter Jr., è completato dalla sorpresa Jae’Sean Tate e dalla coppia di lunghi Daniel Theis-Christian Wood (quest’ultimo sarà sicuramente decisivo nelle prove dei Rockets). Dj Augustin, David Nwaba, Eric Gordon e Danuel House cercheranno invece di portare il loro contributo dalla panchina, con gli ultimi due – rappresentanti l’ultimo anello di congiunzione con l’era Harden – che probabilmente faranno le valige a breve.
 
Coach Silas avrà l’ingrato compito di traghettare la squadra verso l’ultimo posto, lottando fino all’ultima sconfitta con gli Oklahoma City Thunder nel tentativo di raggiungere la prima scelta del prossimo draft. Non proprio una prospettiva allettante per i tifosi della Toyota Arena che dovranno abituarsi a lunghe annate di transizione.



MEMPHIS GRIZZLIES (38-34) 

Tra le squadre in crescita ad Ovest saltano subito all’occhio i Memphis Grizzlies, che nelle ultime due stagioni hanno creato un gruppo solido e con grandi margini di crescita e miglioramento.
Con la seconda scelta nel draft del 2019 Memphis ha scelto Ja Morant, rivelatosi il principale artefice della crescita verticale di una squadra che ha stupito tutti arrivando prima ad un passo dai playoff nella “bolla”, e poi qualificandosi per la postseason lo scorso anno (perdendo 4-1 con gli Utah Jazz, ma vendendo cara la pelle).

Morant è certamente la pietra angolare della franchigia e l’ultima stagione da 19 punti e 7 assist non ha fatto che confermarne il talento. Ma il contributo del prodotto di Murray State non è riassumibile semplicemente nelle cifre, ma comprende anche l’eccitazione e la positività che trasmette alla gente del FedEx Forum: è come se fosse passato un uragano a spazzare via ogni negatività e fatto tornale il sole nel Tennessee. L’uragano si traduce anche sul campo quando Ja percorre tutto il parquet chiudendo al ferro, spesso con una roboante schiacciata o un appoggio acrobatico.

Ma Morant non è la sola scelta azzeccata della franchigia. Dal draft del 2017 è arrivato Dillon Brooks, mentre nel 2018 è stato selezionato Jaren Jackson Jr., ed i tre rappresentano certamente l’asse portante della squadra. Con il solido Kyle Anderson, quest’anno sarà il mitologico Steven Adams a completare il quintetto. Il centro neozelandese è arrivato nello scambio che ha portato a New Orleans Jonas Valanciunas, garantendo esperienza e solidità ad un quintetto molto giovane.

Dalla panchina uscirà l’ottimo Desmond Bane, vera sorpresa dello scorso anno, chiuso con 9 punti a partita ed un ottimo 43% dall’arco. Giocatore già pronto per dare il suo contributo, avrà il compito di sostituire inizialmente Dillon Brooks, fermo ai box per un infortunio alla mano, ed avrà l’occasione di fare un ulteriore salto di qualità. Brandon Clarke e Tyus Jones sono altri due cambi solidi per coach Tylor Jankins, che cercherà anche di tirare fuori qualcosa dal giovane Tillman, dall’atteso ma acerbo Ziaire Williams e dall’ex speranza Jarrett Culver, per migliorare la già ottima stagione scorsa.



NEW ORLEANS PELICANS (31-41)

Parlando di delusioni non si può non menzionare la stagione appena passata dei New Orleans Pelicans, anche perché le aspettative erano molto alte per un gruppo di grande talento guidato da un allenatore di grande esperienza e carisma e con un giovane come Zion Williamson pronto ad essere protagonista assoluto in questa lega.
Esperimento fallito perché Stan Van Gundy non è riuscito a dare un volto ad una squadra che in difesa ha fatto acqua da tutte le parti e che probabilmente ha rigettato un coach incapace di fare breccia nei delicati equilibri psicologici di giovani promesse che si sentono già arrivate.

Sicuramente il roster è stato sopravvalutato e non era assemblato bene, ma i movimenti di questa estate non sembrano aver migliorato troppo la situazione. Dopo il fallimento Van Gundy, si è cercato di cambiare totalmente rotta ingaggiando Willie Green, reduce dalle finali NBA come assistant coach ai Phoenix Suns.

Il fatto che ha segnato in negativo l’offseason è stata la partenza da free agent di Lonzo Ball, unico vero difensore sulla palla e pedina che sembrava il giocatore adatto per guidare la squadra di Zion Williams. Al suo posto è arrivato in Louisiana Devonte’ Graham, esattamente l’opposto del suo predecessore: l’ex Hornets è un realizzatore, ma non è il prototipo dell’atleta capace di creare gioco e mettere in ritmo i compagni ed in difesa è quantomeno sotto la media.
Potrebbe invece portare dei dividendi lo scambio che ha portato ai Pelicans Jonas Valanciunas in cambio di Stevens Adams, più adatto del neozelandese ad aprire il campo e lasciare spazio in area alle incursioni di Zion Williamson, ma anche in questo caso le lacune difensive potrebbero creare diversi problemi.

Buone sono state le aggiunte dalla panchina di Thomas Satoransky e Garrett Temple, così come offre buoni spunti la conferma di Josh Hart, mentre molta curiosità desta la scelta di Trey Murphy III, che potrebbe ritagliarsi già il suo spazio. Per il resto sono quasi svanite le speranze di ricevere un contributo da Kira Lewis Jr. e soprattutto da Jaxons Hayes, arrestato in estate per violenze domestiche e resistenza a pubblico ufficiale e che difficilmente avrà un futuro in questa lega.

Ci si aspetta molto dai miglioramenti del canadese Nickeil Alexander-Walker, apparso in grande forma nella Summer League e che potrebbe ottenere un posto in quintetto, ma per il futuro della franchigia ancora una volta sarà fondamentale il rendimento di Brandom Ingram, atteso finalmente all’ultimo step che differenzia un buon giocatore da un grande campione.

Il grosso problema è che tutto l’ottimismo della scorsa stagione si è trasformato in negatività e il lavoro del nuovo coach Willie Green sarà davvero complesso e delicato. La concreta possibilità di un’altra stagione deludente potrebbe essere un pericolo in ottica rinnovo dell’uomo franchigia Zion Williamson ed in questo caso tutte le speranze di riportare in alto New Orleans crollerebbero, esattamente come le speranze dei tifosi già provati dall’addio ancora troppo recente di Anthony Davis.



SAN ANTONIO SPURS (33-39)

Ricostruzione o sconfitte sono termini che non appartengono ad una franchigia che sotto coach Popovich ha raggiunto 5 titoli Nba e addirittura 21 partecipazioni consecutive ai playoff, interrotte nelle ultime due stagioni da risultati insufficienti, ma non così tanto da poter ambire a scelte altissime al draft. In questo modo uscire dal limbo della mediocrità risulta complicato anche per una proprietà che ha sempre dimostrato lungimiranza e competenza e che è riuscita a formare giocatori fuori dal radar delle altre squadre ed a farli diventare dei campioni. Nell’ultimo anno solare la logica strategia è stata quella di liberarsi dei veterani con contratti pesanti, per dare spazio, responsabilizzare e fare crescere i giovani presenti in rosa.

In questo senso gli Spurs hanno salutato prima Aldridge, passato ai Nets ad inizio della scorsa stagione e poi fermato dai noti problemi cardiaci e poi DeRozan, miglior realizzatore della scorsa stagione con 21.6 punti di media e passato ai Bulls in cambio dei veterani Thaddeus Young e Al-Farouq Aminu, chiaramente di passaggio, e due seconde scelte al draft ed una prima scelta protetta. Insieme a DeRozan sono stati lasciati partire anche Rudy Gay e Patty Mills, ultimo tassello rimasto
degli Spurs campioni Nba del 2013.

E’ evidente che le fortune a breve e lungo termine degli uomini di coach Pop dipenderanno dalla crescita del 25enne Dejounte Murray e di Derrick White, entrambi reduci dalla miglior stagione in carriera rispettivamente con 15,7 e 15,4 punti di media a partita. Insieme a loro Lonnie Walker anche lui in rampa di lancio e pronto a guadagnarsi un posto in quintetto e il sorprendente Keldon Johnson, esploso nella scorsa stagione tanto da essere stato aggregato alla vincente spedizione
olimpica americana.
Le altre due speranze arrivano dal draft. Quello dello scorso anno aveva portato in dote Devin Vassell, ancora troppo timido ed acerbo nella stagione da rookie, mentre quest’anno con la pick numero 12 è stato scelto a sorpresa il 18enne tiratore canadese Joshua Primo, il più giovane tra le nuove leve e pronto a sbocciare sotto l’ala protettiva di Popovich.
A completare il quintetto insieme a Murray, White e Johnson, ci saranno l’eterno incompiuto McDermott e l’austriaco Poeltl, mentre dalla panchina, oltre ai già citati veterani Thaddeus Young ed Aminu, si punterà sul cavallo di ritorno Bryn Forbes e soprattutto su Zach Collins, reduce da una stagione persa per infortunio. Un nome a sorpresa che potrebbe fare davvero bene è quello dell’australiano Jock Landale, un lungo capace di aprire il campo con il tiro da fuori, ma anche di movimenti vecchia scuola sotto le plance: non sarebbe un utopia se si conquistasse lo starting five a suon di prestazioni convincenti.

Non sarà un’annata da ricordare per i tifosi texani che però avranno la solita certezza. Il gruppo allenato da Gregg Popovich giocherà la classica ottima pallacanestro cercando di far rendere al massimo il materiale a disposizione e soprattutto di vincere ogni singola gara, cosa non scontata nella NBA moderna.




Articolo a cura di Fabio Krpan

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