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NBA Preview 2021-22: Central Division

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Dopo tanti anni di digiuno la Central Division è tornata a dettare legge grazie al successo dì Milwaukee nelle Finals 2021. I Bucks rappresentano la squadra da battere anche quest’anno, ma non sono l’unico motivo per spostare l’attenzione verso il Midwest degli Stati Uniti: se a Detroit si sogna grazie al giovane talento Cade Cunningham, a Chicago si festeggia un’estate piena di colpi a effetto, mentre i Pacers ripartono dalla sapiente ed esperta guida tecnica di Rick Carlisle.

[le squadre vengono presentate in ordine alfabetico e affiancate dal record della scorsa stagione]


CHICAGO BULLS (31-41)

Il nuovo general manager Arturas Karnishovas si è davvero impegnato per rinforzare la squadra. Come un adolescente che ha appena scartato la confezione di un videogioco di management sportivo, l’ex Fortitudo Bologna ha letteralmente rivoluzionato un roster che negli ultimi anni non aveva mai dato la sensazione di poter tornare nelle zone alte della Division e della Conference.
La campagna acquisti è stata faraonica: Lonzo Ball, DeMar DeRozan e Alex Caruso si aggiungono infatti a Nikola Vucevic, arrivato nel marzo scorso. Uno sforzo che è costato oltre 200 milioni di dollari, ma finalmente allo United Center si respira tanto ottimismo.

La squadra adesso dispone di talento e profondità, due elementi non sempre presenti nelle edizioni precedenti. Zach LaVine ne è naturalmente la stella: il 2021 gli ha regalato il primo All-Star Game e l’oro Olimpico a Tokyo, ma non l’estensione contrattuale, un aspetto che ufficialmente non sembra rappresentare un problema, ma che potrebbe lasciare strascichi nel corso della stagione. A coadiuvarlo sono arrivati Ball e DeRozan. Lonzo, finalmente in una squadra che lo ha desiderato fortemente, sarà il regista di un backcourt in cui non mancano i realizzatori. Per questo c’è molta attesa anche sulle soluzioni che coach Billy Donovan sceglierà sia per far coesistere Ball, DeRozan e LaVine – tre giocatori che prediligono aver la palla in mano -, sia per suddividere le responsabilità offensive tra i predetti tre e Vucevic.
Il montenegrino è ormai una sicurezza nel ruolo di centro. Versatile e con un tiro dalla distanza precisissimo, potrebbe vedere i suoi numeri scendere, ma l’obiettivo a questo punto della carriera è vincere. Le soluzioni di pick-and-pop tra Vucevic, LaVine, DeRozan e Ball si preannunciano come un gran mal di testa per le difese avversarie.

Al fianco di Vucevic, a completare il quintetto, dovrebbe esserci Patrick Williams, al momento ai box per un infortunio alla caviglia, ma da cui ci si aspetta un netto miglioramento dopo la promettente stagione da matricola.
La panchina è lunga e di qualità, consentendo a coach Donovan di non abbassare mai troppo il livello di talento. Coby White assicurerà frizzantezza offensiva, Caruso fornirà quell’ energia che ai Lakers gli aveva permesso di scalare le gerarchie, mentre Derrick Jones Jr, Javonte Green, Troy Brown Jr, Alize Johnson e Stanley Johnson si contenderanno minuti nei due ruoli di ala. Sotto le plance opereranno anche Tony Bradley e Marko Simonovic, compatriota di Vucevic, mentre Il pubblico avrà un occhio di riguardo per Ayo Dosunmu, l’enfant di pay che ha brillato negli ultimi anni a Illinois.

I playoff sono l’obiettivo minimo, ma le ambizioni sono decisamente altre per questi arrembanti Bulls. Se i meccanismi difensivi saranno oliati a dovere (e non è così scontato), i Bulls potrebbero davvero riaffacciarsi ai vertici della Eastern.



CLEVELAND CAVALIERS (22-50)

Se le altre franchigie della Division si affacciano al prossimo campionato con tante speranze, a Cleveland l’ambiente è leggermente diverso. Dall’addio di LeBron James si ha l’impressione che la dirigenza non abbia proprio un progetto tecnico e gestionale ben definito. Anche le mosse di quest’estate sembrano corroborare tale tesi, a partire dalle acquisizioni di Ricky Rubio e Lauri Markkanen: lo spagnolo s’inserisce in un settore davvero affollato, nel quale Darius Garland appare il giocatore designato dai Cavaliers come nuova guida tecnica, mentre Collin Sexton è reduce da una stagione da 24 punti di media. Anche il finlandese si aggiunge a una front line che può contare su Jarret Allen, Kevin Love ed Evan Mobley, l’attesissima prima scelta. I Cavs forse sperano di potere Lauri in una vera ala piccola – sebbene gli altalenanti anni di Chicago sembrino suggerire diversamente -, altrimenti la sua presenza andrà a ridurre lo spazio del rookie Mobley, visto che il ruolo di centro titolare spetterà sicuramente ad Allen (anche per giustificare il recente rinnovo da 100 milioni di dollari) e che anche Love dovrà scendere in campo qualche minuto.

Per dirimere la matassa, e aiutare il neo-allenatore J.B. Bickerstaff, il general manager Kobi Altman dovrà sbrigare le due pratiche che giacciono inevase sulla sua scrivania: Sexton e Love.
L’ex Alabama è stato il miglior giocatore della squadra, ma le richieste per il rinnovo contrattuale lo hanno reso non troppo gradito a Cleveland. Disordinato nelle scelte, con limiti difensivi, è comunque un giovane da oltre 20 punti a partita, quindi non è impossibile che trovi l’amatore nei prossimi mesi.
Più difficile trovarlo per Love e i 60 milioni che restano sul suo contratto. Ormai gli anni migliori sono lontani, mentre gli acciacchi fisici si presentano con preoccupante regolarità. Sebbene a parole sia stata allontanata l’ipotesi del buyout, alla fine potrebbe essere la scelta più ovvia, regalando a Kevin la possibilità di approdare in realtà più competitive (Nets? Lakers? Blazers?), e ai Cavs i minuti da distribuire tra i giovani.

Ci sono anche motivi, pochi per la verità, per guardare con fiducia al futuro e al progetto di ricostruzione dei Cavs. Il primo, sicuramente, è Garland, il playmaker che nella seconda stagione ha compiuto un netto miglioramento rispetto all’anonima stagione da matricola (17 punti, 6 assist, 39% dalla lunga distanza). I tifosi dei Cavs si aspettano molto anche da Isaac Okoro, molto più coraggioso e continuo nella seconda parte del campionato scorso.
Ma, parlando di speranze, la ricostruzione potrebbe essere velocizzata dal talento incredibile a disposizione di Evan Mobley. La meraviglia di Southern California, che per alcuni scout potrebbe rivelarsi il miglior giocatore del Draft 2021, è il prototipo del lungo moderno, capace com’è di colpire sia sotto le plance che dal perimetro.

A chiudere il roster, come pedine della second unit, troviamo Dean Wade, Justin James, Ed Davis, Cedi Osman, Tacko Fall, Denzel Valentine e Dylan Windler: elementi non propriamente di primo livello che avranno l’arduo compito di non far affondare la barca quando i titolari riposeranno un po’.

Anche questo campionato vedrà Cleveland nei bassifondi della Eastern, a meno che Altman non riesca ad acquisire Ben Simmons. I Cavs potrebbero avere le pedine gradite ai Sixers, più difficile convincere il turbolento australiano (e il suo entourage) a trasferirsi sul Lago Erie e raccogliere la pesante eredità di un certo LeBron.



DETROIT PISTONS (20-52)

Se c’è una città nella quale si respira un’atmosfera frizzante ed eccitata, questa è Detroit. Può sembrare bizzarro, vista la reputazione della città del Michigan, ma l’arrivo di Cade Cunningham ha stravolto anche i luoghi comuni. Il talento texano ha conquistato tutti, dai tifosi allo staff tecnico. La Summer League, con tutte le cautele del caso, ha ribadito quanto Cade sia un talento speciale, il giocatore ideale su cui poggiare la squadra del futuro. In particolare, l’ex Oklahoma State si è dimostrato molto incline a giocare con e per i compagni, senza per questo mancare di leadership e personalità.

L’attenzione di tutti è naturalmente attirata dal nuovo campionino, ma i Pistons non possono prescindere dal contributo di Jerami Grant. La sua firma era stata accompagnata da un certo scetticismo, ritenendo l’entità del contratto esagerata, ma l’ex Nuggets ha rispedito al mittente ogni critica, disputando una stagione eccellente. Coach Casey gli ha regalato maggiore libertà offensiva e il prodotto di Syracuse lo ha ripagato con 22 punti, 4 rimbalzi e tanta difesa. Quest’anno dovrà confermarsi, assicurando anche una leadership esperta ai tanti giovani. Ad aiutarlo nella veste di tutor ci saranno Kelly Olynyk, lo “stretch 5” in arrivo da Miami, e Cory Joseph, il veterano che ha all’attivo anche un titolo con gli Spurs.

Il roster abbonda di giovani di belle speranze. Josh Jackson, l’ex quarta scelta assoluta che sembra aver ritrovato la retta via, la guardia volante Hamidou Diallo, i due playmaker Frank Jackson e Sabe Lee, e soprattutto le tre matricole della scorsa stagione. Killian Hayes, il più quotato, ha sofferto enormemente l’impatto con il basket NBA, ma può far valere l’attenuante dei tanti guai fisici patiti. Molto meglio l’esordio di Saddiq Bey e Isaiah Stewart. Il primo è stato uno dei migliori rookie della NBA, stupendo i non appassionati di college basket per la dolce mano dalla distanza e una naturale predisposizione alla difesa. Il secondo, emerso nella seconda parte di stagione, dovrebbe essere promosso centro titolare, ruolo nel quale farà valere l’energia contagiosa. Alle sue spalle, Luka Garza, il “Garzanator” che ha dominato il College Basket in queste ultime due stagioni: i limiti atletici sono evidenti, ma l’esperimento merita attenzione.

I playoff non sono decisamente d’attualità, ma non importa. La dirigenza si aspetta che il gruppo continui a scendere in campo con il giusto approccio, così da iniziare a risalire la china della Central e della Eastern.



INDIANA PACERS (34-38)

Se il mercato del 99% delle squadre NBA si è concentrato sui giocatori, a Indianapolis hanno pensato che fosse meglio definire la direzione tecnica. La scelta è ricaduta su Rick Carlisle, un gradito ritorno viste le precedenti esperienze sia come assistente di Larry Bird che come head coach nei primi anni 2000. La franchigia archivia così l’esperimento di coach Nate Bjorkgren, decisamente infelice per non dire deleterio.

Dopo quattro anni, contrassegnati da tanti (troppi) infortuni, è stato archiviato anche il capitolo Victor Oladipo, ceduto a gennaio in cambio di Caris LeVert. Proprio il prodotto di Michigan sarebbe stato individuato come il partner ideale dell’ottimo Malcolm Brogdon, così da costituire un backcourt molto versatile con due trattatori di palla capaci di giostrare sia come facilitatori che come risolutori. Il condizionale è d’obbligo perché i guai fisici, che hanno influito pesantemente sulla carriera, non sembrano terminati: la frattura da stress alla schiena dovrebbe tenere Caris lontano dal parquet per almeno le prime quattro partite stagionali, ma è difficile fare previsioni trattandosi di una zona molto delicata.
Anche T.J. Warren, lo scorer esploso nella “Bolla” di Orlando, non è ancora completamente recuperato, rendendo il lavoro di Carlisle alquanto difficoltoso.

Chi godrà di un’insperata libertà è Chris Duarte, la guardia scelta all’ultimo Draft che ha offerto delle prestazioni davvero convincenti nella Summer League. L’atipica matricola da Oregon (ha 24 anni) probabilmente avrebbe avuto spazio anche senza queste defezioni, ma adesso Carlisle non avrà remore a gettarlo nella mischia. Sul perimetro ci saranno anche T.J. McConnell, playmaker intelligente e combattivo, i tiratori Justin Holiday e Jeremy Lamb (anch’esso reduce da un grave infortunio), e il versatile Torrey Craig.

Ma è sotto canestro che i Pacers hanno la loro stella: Domantas Sabonis. L’arrivo di un coach come Carlisle sembra l’ideale per sfruttare al massimo la versatilità (20 punti, 12 rimbalzi e oltre 6 assist di media lo scorso anno) e l’intelligenza cestistica del lituano, trasformandolo in un “point center” come Nikola Jokic.
Il settore dei lunghi è completato dal talento non sempre concreto di Myles Turner, dal georgiano Goga Bitadze (mani educate e centimetri da sfruttare meglio) e dalla talentuosa matricola Isaiah Jackson.

Si rincorrono voci insistenti che vorrebbero i Pacers interessati al bizzoso Ben Simmons, ma al momento Indiana riparte dal gruppo che lo scorso ha chiuso con un anonimo e deludente record di 34-38. La dirigenza è convinta, però, che quel risultato sia in gran parte da imputare alla precedente gestione tecnica, e scorrendo il roster non è neanche un’ipotesi così inappropriata.

Se gli infortuni lasceranno in pace Carlisle e i suoi, i playoff dovrebbero essere ampiamente alla portata.



MILWAUKEE BUCKS (46-26)

Non si può non cominciare che dai Campioni NBA in carica. Il successo della passata stagione ha rappresentato il raggiungimento di quell’obiettivo che ormai da qualche anno era nel mirino dei “Cervi”. Allo stesso tempo, ha tolto anche tanta pressione a un gruppo – sia giocatori che staff tecnico, in primis l’allenatore Mike Budenholzer – che si era arenato bruscamente ai playoff 2020, suscitando allora più di un dubbio sulla capacità di compiere l’ultimo passo.
L’anello ha definitivamente allontanato critici e gufi, anche se è bene ricordare le mille difficoltà affrontante durante la postseason. I Bucks hanno infatti rischiato più volte di sciogliersi, beneficiando degli infiniti infortuni dei Nets, rischiando il collasso contro gli Hawks, e andando sotto contro i Suns più nettamente di quanto lo 0-2 iniziale già indicasse. Per non parlare dello spavento nel vedere Giannis accasciato al suolo dolorante nella serie contro Atlanta.

La squadra riparte sostanzialmente dal nucleo che ha festeggiato per le strade di Milwaukee il secondo titolo della storia della franchigia. Il leader assoluto è ovviamente Antetokounmpo: ai playoff ha vissuto momenti difficili, ma ha saputo superarli come solo un campione sa fare. Le difficoltà al tiro perimetrale e a liberi avrebbero potuto affossare le speranze dei Bucks, ma Giannis non ha mai esitato nel giocare il suo basket, rappresentando il faro offensivo della squadra. L’infortunio al ginocchio, patito durante gara-4 contro gli Hawks, non è ancora completamente superato, rendendo le prestazioni delle Finals (35 punti, 13 rimbalzi, 5 assist di media, con il 62% dal campo) ancora più irreali.
Come ”secondo violino di lusso” troviamo Khris Middleton, per anni il giocatore più sottovalutato della lega, che finalmente ha trovato la giusta consacrazione durante la cavalcata vincente dei Bucks. “Khris si è tramutato in Kobe, le parole di Antetokounmpo al termine della cruciale gara-3 contro Atlanta valgono più della “stats line” (38 punti, 11 rimbalzi, 7 assist e tanti canestri decisivi). In vari frangenti, Middleton è stato il giocatore chiave della squadra, rappresentando il giocatore più continuo e affidabile. Le mani fatate dalla distanza sono il complemento ideale di Giannis, così come il sangue freddo nei momenti finali sono un’arma illegale negli spazi creati dal greco.

Qualche dubbio, invece, era emerso sulla decisione di puntare su Jrue Holiday, soprattutto alla luce della contropartita tecnica e dell’impegno finanziario (134 milioni per quattro anni) necessari per portarlo in Wisconsin. Il 20 luglio si è avuta la prova della bontà della scelta. Nella decisiva gara-6 c’è il marchio di Holiday: la difesa su Chris Paul e Devin Booker, la freddezza nei momenti chiave, la sobrietà nelle scelte, la tranquillità nel ricoprire un ruolo di contorno, seppur di qualità, sono stati tutti elementi essenziali per costruire una squadra da titolo.

A supportare le tre stelle, il consueto gruppo di specialisti. Mancherà P.J. Tucker, elemento che aveva aggiunto quella fisicità e quella cattiveria agonistica che mancavano a un roster eccessivamente “morbido”. Al suo posto, arriva da Boston Semi Ojeleye, difensore versatile con mano discreta da tre punti. Sotto canestro agiranno Brook Lopez e Bobby Portis, due che a luglio si sono tolti la soddisfazione di zittire quegli scettici e critici che vedevano in loro l’anello debole della squadra a causa delle deficienze difensive del primo e le pause mentali del secondo. Tornano anche Pat Connaughton e Donte DiVincenzo, i tiratori che dal perimetro puniranno i raddoppi su Giannis.
A questi, il general manager Jon Horst ha aggiunt – oltre al sopracitato Ojeleye – George Hill (un pretoriano di “Coach Bud”), Grayson Allen (guardia di talento con tanto carattere, forse troppo) e Rodney Hood (vittima di tanti infortuni ma profilo tutt’altro che di secondo piano). Interessanti i giovani Jordan Nwora e Sandro Mamukelashvili, autentico “cult” lo scorso anno a Seton Hall.

Vincere aiuta, sia nel fortificare la consapevolezza delle proprie qualità che nell’allontanare dubbi e incertezze. Per questo i Bucks si presentano ai nastri di partenza nuovamente tra le contender più attrezzate per vincere.

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