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Scottie Barnes, il “motore” dei Raptors

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Toronto non è certamente la piazza più calda della NBA, e non solo per gli effetti della latitudine e della Corrente del Labrador. Eppure, al momento, la franchigia canadese sta stupendo tutti con un inizio di campionato al di là di ogni più rosea aspettativa. Se le previsioni ipotizzavano i Raptors ad agonizzare nei bassifondi, il record è 6-5, ovvero sopra la fatidica soglia del 50% che, di solito, coincide con la qualificazione ai playoff.

Coach Nick Nurse è alla guida di una squadra che vuole riscattare la stagione deludente dello scorso anno, nella quale Fred VanVleet – uno dei pochi superstiti della squadra campione del 2019 – rappresenta il nuovo leader. Accanto a VanVleet e all’ottimo OG Anunoby si sta mettendo in mostra anche Scottie Barnes, la matricola da Florida State. La sua selezione alla quarta assoluta dell’ultimo Draft era stata accolta con una bella dose di scetticismo: un po’ perché gli appassionati del Raptors si stavano abituando all’idea di vedere Jalen Suggs come sostituto del partente Kyle Lowry, un po’ perché non era così facile farsi un’idea tra i contrastanti giudizi degli esperti.

Braccia lunghe, slanciato ma tonico e muscolare, atletico e allo stesso tempo dotato di buona visione di gioco, Barnes aveva da subito intrigato gli scout che accorrevano a Tallahassee (città dove ha sede Florida State, ndr). Sebbene partisse dalla panchina, Barnes era spesso risultato l’uomo chiave dei Seminoles, aldilà delle statistiche non proprio scintillanti (10 punti, 4 rimbalzi e 4 assist di media).
Se per alcuni scout Scottie avrebbe avuto poco successo per colpa di un tiro obiettivamente insufficiente per gli standard della NBA attuale (al college, il 27% da tre e un preoccupante 4/19 nelle conclusioni dal palleggio), per altri era un prospetto imperdibile grazie alla incredibile versatilità difensiva, l’intelligenza cestistica e il “motore”.
Cos’è il “motore”? Beh, non certo la macchina composta da pistoni, cilindri e cinghia. “Motore”, nel gergo NBA, significa energia, intensità, voglia di giocare a basket ogni sera. Questa è la qualità che ha sempre contraddistinto ogni valutazione riguardante Barnes, anche quando era solo un liceale e rappresentava la scintilla di una squadra discreta, visto che tra i suoi compagni figuravano Moses Moody e Cade Cunningham, scelti come lui al Draft 2021.

Cade Cunningham e Scottie Barnes ai tempi di Montverde Academy

L’approccio non è assolutamente mutato nella NBA: Scottie è sempre in movimento, che sia per lottare a rimbalzo, per raddoppiare il portatore di palla, per disturbare il passatore o per ricevere in contropiede lo scarico dei compagni. Un’autentica dinamo. Anche il tiro in sospensione, sebbene necessiti ancora di tanto lavoro, sembra in miglioramento: le triple segnate sono solo 2 (su 10 tentativi), ma nel tiro dalla media le percentuali sono tutt’altro che malvagie (15/34), segno che la mano non è assolutamente quadrata.
La pensa così anche Coach Nurse, che non bada alle semplici statistiche e si gode un giocatore animato da un entusiasmo contagioso, perfetto per la nuova NBA imperniata sul concetto di “positionless basketball”: può marcare cinque ruoli, è una minaccia sulle linee di passaggio, si fa sentire sia a rimbalzo che come intimidatore, può giocare per gli altri grazie alle qualità da passatore e in campo aperto è inarrestabile.

In questo inizio Barnes ha conquistato tutti, non solo a Toronto. Dopo averlo affrontato con i suoi Dallas Mavericks, Jason Kidd non ha esitato a elogiarlo: “Barnes è davvero un gran giocatore. Sarà una stella della NBA, sempre che non lo sia già. Crea problemi sia in attacco che in difesa e ama giocare a basket. Guardandolo sembra che sia nella lega già da tre o quattro anni. È stupefacente che sia già così avanti al suo primo anno.”
L’ultimo in ordine di tempo a iscriversi al “Barnes Fan Club” è nientedimeno che Kevin Durant: “Ciò che distingue Barnes è il QI, la ‘lunghezza’, l’entusiasmo. Conosce il gioco della pallacanestro e gioca nel modo giusto”.

Scottie e il ‘jump shot’, il fondamentale da perfezionare per diventare davvero una stella

Ma c’è chi aveva già intuito tutto anni fa, quando il giovanissimo Barnes era solo un quattordicenne promettente. Charlton Young, l’assistente allenatore a Florida State che lo ha reclutato per i Seminoles: ”Scottie sarà un grande giocatore della NBA. Non è ancora rifinito in attacco, ma lo diventerà. Anche il tiro in sospensione continuerà a migliorare. È già progredito rispetto a quando arrivò da noi. È un lavoratore, un vero ‘topo da palestra (gym rat)’. Quando l’ho visto la prima volta, a quattordici anni, ho subito pensato che fosse il nuovo Scottie Pippen”.

Al momento è il miglior rookie della NBA, non solo perché guarda tutti dall’alto nella graduatoria dei punti e dei rimbalzi (quasi 18 e 9 le rispettive medie). È il più convincente per l’impatto che ha sulla squadra, su quei Raptors partiti tra mille dubbi, e invece ad oggi in lizza per un posto ai playoff, anche senza l’apporto del rientrante Pascal Siakam.

Anche stavolta quel genio di Masai Ujiri sembra aver visto meglio di tutti

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