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Power Ranking NBA: Western Conference

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Dopo aver analizzato le squadre della Eastern Conference nel primo Power Ranking, andiamo a vedere come si comportano invece le sorelle nella Western Conference. Qui il quadro presenta meno sorprese in alta classifica, dove sono sempre le solite note a farla da padrone, con qualche inseguitrice inaspettata a cercare di inserirsi.

(La classifica è presentata secondo la posizione nella Conference e secondo il PR aggiornato al 15/11 di ESPN e Bleacher Report)


Golden State Warriors (11-2, 1° nel Power Ranking NBA)

La miglior squadra della Western Conference è, al momento, la miglior squadra dell’intera NBA: i Golden State Warriors si sono riappropriati dello status che li ha caratterizzati nel quinquennio 2014-2019, reinserendosi nell’élite della lega a colpi di vittorie convincenti e gioco di squadra. Non ha guastato il ritorno a pieno regime di Steph Curry, già tra i migliori della scorsa stagione dopo il lungo infortunio. Il nativo di Akron si è già messo in lizza per il premio di MVP a suon di triple (di cui è diventato il leader All-Time) e giocate sensazionali in attesa di riunirsi all’altro Splash Brother, Klay Thompson, prossimo al rientro. Nel mentre Curry e Draymond Green, leader vocale della squadra e generale in campo, hanno guidato i giovani del roster verso il tetto della NBA, classificandosi al vertice in più categorie statistiche sia in attacco che in difesa: i Warriors sono infatti primi per punti segnati (116.2), per triple segnate (15.7 a partita), per assist (29.4) e palle rubate (10.8); non solo, nella metà campo amica sono risultati terzi per punti concessi (101.5), facendo tirare i propri avversari con la percentuale più bassa (42.1%, che diventa 31.3% quando si arriva al perimetro). Anche quest’anno quindi gli interpreti di Steve Kerr hanno messo su uno show assolutamente convincente sui due lati del campo.

Inutile dire che con Curry a questi livelli, col ritorno di Thompson e con Green in questo spolvero (senza contare il prezioso aiuto dei gregari, sia giovani che veterani), i Warriors sono a tutti gli effetti una contender. Il Power Ranking di fatto li classifica primi non a caso e se si considerano sia le pure statistiche che i risultati effettivi non possiamo che aspettarci una grande stagione da parte dei ragazzi della Baia.


Phoenix Suns (9-3, 7° nel Power Ranking NBA)

Le Finals NBA dello scorso anno non sono bastate a garantire ai Suns un posto più alto nel Ranking, eppure Phoenix è sicuramente nelle alte sfere della lega. L’inizio di campionato lo testimonia: terzi per punti fatti (111.7), terzi per assist (27.4), primi per percentuali dal campo (48.1%), ma se l’attacco viaggia alla perfezione lo stesso non si può dire della difesa. Infatti, nonostante il record sia più che positivo, la franchigia dell’Arizona è nella seconda metà di classifica per quanto riguarda le statistiche messe a referto nella propria metà campo. Monty Williams dovrà quindi lavorare ancora con i suoi giocatori per mettere a punto questo aspetto al meglio, soprattutto in attesa del rientro di DeAndre Ayton, centro titolare infortunatosi alla settima partita. Devin Booker e Chris Paul nel mentre stanno facendo il massimo per tenere i Suns in linea di galleggiamento rispetto i Warriors primi in classifica, e le inseguitrici a stretto giro: i nuovi arrivi (McGee, Shamet e Payton) devono velocizzare l’ambientamento e l’adattamento agli schemi di coach Williams per rendere al meglio, soprattutto visto il loro ruolo delicato di role players, ma le otto vittorie consecutive sono un segnale più che incoraggiante in questo senso.

Lo status di contender al momento non sembra appartenergli, ma d’altronde nessuno li avrebbe valutati tali nemmeno lo scorso anno. Eppure Phoenix ha strappato con le unghie e coi denti il biglietto per le Finals grazie ad un’azione corale frutto di un grande lavoro da parte dell’allenatore e dei giocatori che si sono messi al servizio dell’obiettivo più importante. Il titolo mancato è quindi la base su cui costruire ed è imperativo utilizzare al meglio l’esperienza di Chris Paul, la cui clessidra ha ormai cominciato a girare. Far esplodere le proprie stelle ora può essere la chiave per il futuro e usare una finale persa da outsider come pietra angolare non è affatto un brutto punto di partenza.


Denver Nuggets (9-4, 5° nel Power Ranking NBA)

Partire con l’MVP 2021 sicuramente ti dà un vantaggio quando si parla di ranking, e i Nuggets stanno facendo ruotare intorno a Nikola Jokic tutto il loro arsenale. Will Barton ha preso il posto di secondo in comando in attesa del ritorno di Jamal Murray, Aaron Gordon si sta dimostrando uno dei migliori difensori della stagione e la squadra, dai titolari ai gregari, si sta confermando come una delle certezze nell’affollata Western Conference. Prima per punti concessi (98 a partita, unica squadra della lega sotto i 100 punti) e seconda per defensive rating, Denver sta macinando vittorie convincenti contro squadre di livello pur non essendo a pieno organico. Oltre a Murray infatti, l’infermeria conta anche Michael Porter Jr, giocatore dal potenziale alto ma ancora non espresso appieno: la sua assenza come secondo terminale offensivo ha portato il beneficio delle esplosioni di Gordon e Barton, ma lascia comunque la sensazione che i Nuggets possano essere degli eterni incompiuti, sempre vicini ad essere una contender a tutti gli effetti ma con un tassello in meno rispetto alle squadre più blasonate.

La scorsa stagione si è spenta malamente sul muro dei Suns, ma senza Barton e Murray, fermati prematuramente dagli infortuni. La speranza di coach Malone è quella di poter far girare al massimo la squadra una volta recuperati tutti i principali interpreti, sempre contando sulla costanza e il talento assoluto del mago di Sombor. Denver è quindi da considerarsi a tutti gli effetti una mina vagante ai playoff, una squadra solida e dura da affrontare se in salute. Basta chiedere ai Jazz e ai Clippers per conferma.


Dallas Mavericks (8-4, 19° nel Power Ranking NBA)

Mark Cuban si è mosso poco sul mercato, dal quale è arrivato il solo Josh Richardson come nome di discreto livello, ma il colpo più importante è stato fatto in panchina: fuori Rick Carlisle, allenatore storico e campione coi Mavs nel 2011, e dentro Jason Kidd, anche lui campione con Dallas nel 2011 ma come play titolare. Kidd è quindi tornato nella franchigia che gli ha portato il suo unico anello per guidare un gruppo senza grosse idee tattiche, se non quella di affidarsi alla sua stella e sperare che risolva le partite. Stella per cui Kidd ha già speso parole di grande stima, ma con un incoraggiamento a migliorare in futuro: Luka Doncic è arrivato in stagione col bollino di candidato MVP, tuttavia lo sloveno al momento sembra ancora fermo sul suo solito gioco, pur rimanendo di fatto una delle star più interessanti della lega. La padronanza del campo è da top assoluto, ma manca ancora quella coesione coi compagni necessaria ad arrivare al livello di contender credibile, complice anche la mancanza di un braccio destro affidabile. Il rapporto con Kristaps Porzingis infatti sembra non essere dei migliori secondo quanto affermato da molti insider e questo mina seriamente le possibilità di Dallas di affermarsi nell’élite NBA.

Siamo quindi ancora lontani dal vedere i Mavericks lottare per il titolo, anche se si stanno confermando come presenza fissa ai playoff: il passo successivo dovrà essere fatto più dal front office che dal roster, che sta facendo del suo meglio per garantire la postseason, ma senza alternative credibili a Doncic, soprattutto in fase offensiva (Porzingis è ancora troppo altalenante e fisicamente delicato), difficilmente vedremo i texani giocarsi più di un secondo turno e il Power Ranking attuale lo testimonia.


Utah Jazz (8-5, 4° nel Power Ranking NBA)

Anche i Jazz come i Nuggets sono ormai una costante nella crema della Western, lo scorso anno addirittura da testa di serie, con opposte fortune in postseason. Le ambizioni di Utah si sono fermate infatti al secondo turno contro i Clippers, apparsi padroni della serie nonostante le due vittorie della franchigia di Salt Lake City. Quest’anno la squadra sembra forse meno solida della passata stagione, ma comunque appartiene sempre alla parte alta della classifica, e anche il Power Ranking dà grande fiducia al team di coach Snyder. Il roster è lo stesso dello scorso anno, con l’aggiunta di Eric Paschall e Hassan Whiteside: Rudy Gobert sotto le plance con Royce O’Neale e Bogdan Bogdanovic sugli esterni, mentre Mike Conley e Donovan Mitchell compongono il backcourt; dalla panchina arriva il supporto di Jordan Clarkson, uno dei perni offensivi della squadra, e di un veterano tuttofare come Joe Ingles. In particolare, la stella di Mitchell sta brillando molto grazie ai suoi 25.6 punti, 4.4 rimbalzi e 5.1 assist di media, a cui si aggiunge il career-high nelle palle rubate (1.9 a partita). Grazie al loro talento individuale e all’affiatamento, i Jazz sono settimi per punti fatti (110.2), settimi per punti concessi (103.5) e ottavi per defensive rating.

Anche qui ci troviamo davanti ad una squadra con la nomea di eterna incompiuta: bella da vedere, solida in stagione regolare, ma molto altalenante quando si arriva al palcoscenico più importante. Quest’anno Utah dovrà provare ad invertire il trend delle scorse annate per mettere a frutto il lavoro fatto con pazienza per far maturare le sue stelle e i suoi comprimari di lusso, in modo da farsi trovare pronta il più possibile ai playoff e puntare magari alle finali di Conference.


Classifica e Power Ranking dal 6° al 15° posto

  • Los Angeles Clippers (8-5, 11°)
  • Los Angeles Lakers (8-6, 15°)
  • Memphis Grizzlies (6-7, 16°)
  • Portland Trail Blazers (6-8, 18°)
  • Oklahoma City Thunder (5-7, 26°)
  • Sacramento Kings (5-8, 23°)
  • Minnesota Timberwolves (4-8, 25°)
  • San Antonio Spurs (4-9, 22°)
  • New Orleans Pelicans (2-12, 30°)
  • Houston Rockets (1-12, 29°)



Articolo a cura di Gianluca Bortolomai

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