Accodandosi alle direttive del CDC (Center for Disease Control and Prevention, agenzia federale degli Stati Uniti facente parte del Dipartimento della salute e dei servizi umani), e in risposta alle problematiche emerse nel mese di dicembre, la NBA ha deciso di rivedere i propri protocolli sanitari (Health and Safety Protocols) accorciando la durata della quarantena per i vaccinati asintomatici: la lega ha infatti deciso di passare da 10 a 6 giorni (negli USA in generale il numero è stato ridotto a 5 giorni), purché i dati del tampone dimostrino che non si sia più in grado di infettare.
Rimane comunque valida la procedura per cui un giocatore (o un qualsiasi altro membro della squadra) può tornare a disposizione se presenta due tamponi negativi a distanza di 24 ore.
La NBA in questo modo accorcia notevolmente i tempi di ritorno in campo, evitando i problemi che alcune franchigie hanno dovuto affrontare nelle scorse settimane (pensiamo ad esempio a Brooklyn, Chicago, Charlotte e Boston, che hanno avuto anche più di 7 giocatori contemporaneamente in quarantena; mentre in totale ad oggi sono 201 i giocatori della lega finiti in quarantena, ovvero quasi la metà del totale).
La scelta, presa insieme alla NBPA, è stata valutata soprattutto dopo gli ultimi dati riguardanti la dose booster: pare infatti che i vaccinati con la dose di richiamo (al momento circa il 65% dei giocatori NBA) smaltiscano il virus molto più rapidamente rispetto a chi non è vaccinato.
Il Commissioner Adam Silver ha inoltre recentemente affermato che la variante omicron è stata responsabile del 90% dei nuovi contagi registrati nella lega.