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Breanna Stewart, nuova bandiera della WNBA

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Breanna Stewart è una delle più titolate e impattanti giocatrici nel panorama americano e mondiale. Alla giovane età di 27 anni può già annoverare nel suo palmares 4 titoli collegiali, 2 titoli WNBA (con le Seattle Storms), un’Eurolega (con Ekaterinburg), 2 ori mondiali e 2 ori olimpici (con team USA), oltre a molteplici premi e riconoscimenti individuali (Rookie of the Year nel 2016, MVP della regular season nel 2018 e MVP dell’Eurolega nel 2019, giusto per citarne alcuni).

Originaria di Syracuse, nello stato di New York, muove i primi passi nella pallacanestro da bambina, rendendo in breve tempo quello sport una grande passione che la aiuterà anche a superare alcuni momenti bui della sua vita.
Al liceo viene eletta Gatorade Player of The Year (premio assegnato al/alla più notevole atleta liceale della nazione) e, durante l’estate 2011, è stata la più giovane convocata con la nazionale USA U18 ai Giochi panamericani.
Approda al college a UConn (University of Connecticut) alla corte di Geno Auriemma, dove sin dalla prima stagione mette in mostra doti tecniche e fisiche impressionanti. Durante il suo quadriennio collegiale, Breanna ha guidato le Huskies in stoppate, oltre a mettere a segno una stabile doppia cifra in punti e quasi 10 rimbalzi di media: tra il 2013 e il 2016 UConn
vincerà quattro campionati consecutivi e Stewart sarà protagonista indiscussa di questi successi, diventando così una delle poche giocatrici a raggiungere questo primato.

Breanna Stewart dopo la vittoria del quarto titolo NCAA consecutivo con UConn

Dichiaratasi eleggibile per il Draft del 2016, viene selezionata con la prima scelta assoluta dalle Seattle Storm e a fine stagione mette le mani sul premio di Rookie of the Year. Quella stessa estate viene successivamente selezionata per partecipare alle Olimpiadi di Rio dove vince l’oro con Team USA.
Così come al college, anche nella WNBA la classe 1994 è in grado di imporsi con il suo talento e le sue abilità tecniche, tanto che nella stagione 2018 viene nominata MVP della regular season e contribuisce alla vittoria del terzo titolo della franchigia dello stato di Washington, completando il triplete con il premio di MVP delle finali.

Come molte altre giocatrici, in parallelo alla carriera negli States Stewart ha coltivato una prolifica carriera oltreoceano che l’ha portata prima in Cina e poi in Russia, precisamente alla Dynamo Kursk e ad Ekaterinburg. Proprio durante la sua stagione alla Dynamo, nell’aprile 2019, riporta la rottura del tendine d’Achille che la terrà lontana dal parquet per tutta la seguente stagione WNBA. Al rientro dalla convalescenza Breanna inserisce la quinta e gioca il suo miglior basket: vince il suo secondo titolo con le Storms, il quarto nella storia della squadra di Seattle, viene premiata come MVP delle Finals e viene eletta “Sportsperson of the Year” dalla rivista sportiva Sports Illustrated per il suo attivismo sul campo.
Nella stagione 2021 vince il massimo titolo europeo e il premio come miglior giocatrice delle Final Four con Ekaterinburg, poi, al ritorno negli USA per la stagione americana, viene nominata nella W25, la classifica delle migliori 25 giocatrici nella storia della lega, risultando una delle più giovani a ricevere questo riconoscimento. Come coronamento di un’annata piena di soddisfazioni, vola a Tokio con Team USA e conquista il suo secondo oro olimpico.


Un’altra storia difficile

La storia di Breanna Stewart, però, ha avuto anche dei momenti bui lontani dal campo da basket. Dai 9 agli 11 anni è stata vittima di abusi sessuali da parte di un parente, con la stella americana che, tramite un articolo dalla semplicità ed onestà disarmanti pubblicato su The Players’ Tribune, la stella americana racconta la difficoltà nel ricordare e, soprattutto, nel raccontare tutti i momenti di questa orribile vicenda e, nel contempo, la perpetua presenza di stimoli e input sensoriali che la costringevano a rivivere quegli eventi. Anche all’apice dei fatti, quando trovò il coraggio di raccontare la verità ai suoi genitori, il basket rimase per lei un’ancora di salvezza: “Tutto quello che volevo fare era andare a giocare, così da potermi lasciare dietro, almeno per qualche ora, quello che mi era successo”.
Come racconta lei stessa: “Ci ho messo moltissimi anni a parlare del mio vissuto con le persone a me care, ma progressivamente ho trovato il modo di farlo, mi sono sentita più a mio agio; leggendo la testimonianza di McKayla Maroney (ginnasta statunitense vittima di abusi da parte di Larry Nassar, medico della nazionale) ho capito che le nostre voci e le nostre storie hanno un peso, possono aiutare altre donne che si sono trovate nella stessa situazione, quindi ho deciso che
volevo/dovevo condividere la mia testimonianza con il mondo
”. Con la pubblicazione di quell’articolo, intitolato “Me Too”, Breanna si è fatta portavoce delle donne vittime di abusi e ha più volte partecipato a campagne di sensibilizzazione e ad eventi di public speaking sull’argomento.


Il grande impegno sociale

In quanto giocatrice della WNBA ha contribuito alle campagne di giustizia sociale promosse dalle giocatrici della lega e supportate dall’organizzazione. In occasione della stagione 2019-2020, giocata nella bolla di Orlando, ricordiamo la fervente dedizione alla causa Black Lives Matter, volta a puntare l’attenzione alla discriminazione contro le persone di colore nell’America lacerata dalla pandemia: in un ambiente come il campionato femminile americano, dove la maggioranza delle
giocatrici sono afroamericane, una presa di posizione così univoca e compatta ha lanciato un messaggio forte, dimostrando che queste donne, così coraggiose ed intraprendenti, sono molto più che semplici atlete.
Un altro tema controverso e dibattuto sul quale la Stewart e compagne si sono battute senza sosta è quello della disparità salariale: lo stipendio medio per una giocatrice era di circa 117.000 dollari a stagione (aprile-settembre), mentre quello di un giocatore è di alcuni milioni di dollari a stagione (settembre-giugno); pur ammettendo che gli investimenti e i profitti sono diversi tra le due leghe, c’è un baratro evidente tra i due casi. Una delle principali problematiche sollevate dalle atlete è che questo tipo di retribuzione, senza copertura infortunistica e senza maternità pagata, era estremamente precario e non permetteva di fare progetti a lungo termine né in ambito professionale né, tantomeno, familiare. Sarà solo nel gennaio 2020, con la firma del Collective Bargain Agreement (Contratto Collettivo di Lavoro) da parte della WNBAPA (WNBA Players Association), che si arriverà ad una copertura assicurativa più estesa, che include anche la maternità, e ad un innalzamento del salario minimo a 215.000 dollari a stagione.

Membro della comunità LGBTQIA+, più volte si è inoltre esposta per difendere i diritti dei giovani della comunità e delle persone transgender, continuamente bersagliate da proposte di legge retrograde e pericolose.


Vita privata

Stewart è sposata con un’ex-giocatrice della nazionale spagnola e di Eurolega, Marta Xargay Casademont, e la coppia ha una figlia, Ruby Mae Stewart Xargay (nata lo scorso 9 agosto, appena 48 ore dopo la vittoria del secondo oro olimpico di Breanna), avuta tramite madre surrogata.

Nel maggio 2021 Breanna ha firmato un contratto pluriennale con la Puma che le ha permesso di realizzare la propria “signature shoe” (scarpa personalizzata), la decima nella storia della WNBA, la prima per l’azienda tedesca.

Breanna Stewart con la moglie e la figlia appena nata

In chiusura si potrebbero citare tutti i i vari premi individuali e di squadra vinti dalla giocatrice, ma sarebbe solo un mero esercizio di copia-incolla dalla sua pagina Wikipedia (e non a caso l’articolo non vuole essere “statistico”). Per questo è molto più importante riconoscere il valore di Breanna Stewart come combattente che non si è tirata indietro di fronte alle sfide più ardue, motivo per cui ad oggi è una figura di riferimento per tantissime persone, con storie anche totalmente diverse, che si ritrovano nella figura di questa atleta pazzesca.
L’augurio è ovviamente quello di vederla calcare i parquet di tutto il mondo ancora a lungo, confidando che continui ad infrangere le barriere e gli stereotipi per creare un futuro migliore per le giocatrici di domani.




Articolo a cura di Elena Orvieto

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