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Westbrook sbotta: “Basta chiamarmi Westbrick, così prendete in giro la mia famiglia”

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Russell Westbrook ha raggiunto il limite, o almeno è quello che ha affermato dopo la partita persa dai Lakers contro gli Spurs questa notte. L’ex Wizards, dopo un episodio riguardante il figlio e delle affermazioni rilasciate sui social dalla moglie, ha deciso di prendere in mano la situazione riguardante la storpiatura del suo nome, cosa che rappresenta un’offesa per tutta la sua famiglia.
Nel mentre, potrebbe prendere in mano anche un’altra situazione, ovvero il suo modo di stare in campo e di giocare.

Tutto inizia con un tweet di sua moglie Nina, la quale ha espresso le sue difficoltà nell’assistere alle partite del marito quando si ritrova in mezzo a tifosi che ad ogni singolo match lo insultano e gli augurano la morte. Situazione che di fatto ha spinto la famiglia Westbrook a non recarsi più al palazzetto. Ecco quindi che il buon Russell nel post partita contro gli Spurs ha ripreso l’argomento, affrontando un discorso molto serio.

“Appoggio al 100% le parole di mia moglie e i suoi sentimenti. Quando si parla di pallacanestro, non mi importa delle critiche riguardanti i miei errori al tiro. Ma quando si prende in giro il mio nome, allora c’è un problema.
In passato ha lasciato stare perché non mi ha mai davvero infastidito, ma l’altro giorno mi ha davvero fatto male. Mia moglie ed io eravamo ad un incontro genitori-insegnanti per mio figlio e la maestra mi ha detto ‘Noah è davvero orgoglioso del suo cognome. Lo scrive ovunque e su qualsiasi cosa. Va in giro a dire a tutti ‘Io sono Westbrook”. E io ero seduto in uno stato di shock, e mi ha colpito. Allora mi sono detto ‘Dannazione. Non devo permettere più a nessuno di storpiare il mio nome’.
Ho lasciato perdere molte volte, ma è arrivato il momento di dire basta e di farlo notare. Voglio che la gente lo capisca. Da ora in poi, quando lo sentirò, mi assicurerò che la cosa finisca subito”

Ovviamente Westbrook si sta riferendo a tutti i nomignoli che gli sono stati attribuiti nel corso del tempo, soprattutto negli ultimi mesi, per via del suo rendimento. E su tutti non può che spiccare il famoso “Westbrick”, legato alle sue difficoltà balistiche (per chi non lo sapesse, si tratta della fusione di ‘Westbrook’ e ‘brick’, ovvero ‘mattone’).
Prendere in giro il suo cognome significa prendere in giro la sua famiglia, e il suo cognome significa tanto la moglie e i genitori, oltre a coloro che gli hanno permesso di arrivare fino a questo punto nella sua carriera (parole dell’ex Thunder e Rockets).

“Tutto questo ha effetti sulla volontà della mia famiglia di venire a vedere le partite. Non voglio che i miei figli vengano alle partite e sentano delle persone che chiamano il loro padre con dei nomignoli senza motivo, solo perché sta praticando lo sport che ama. La situazione è al punto tale che la mia famiglia non vuole più venire a nessuna partita, che sia in casa o in trasferta. E la cosa mi fa arrabbiare molto”


Ovviamente tutto il discorso fatto dal nativo di Long Beach è assolutamente condivisibile, almeno riguardo al fatto che nel tifo bisognerebbe a limitarsi alle critiche senza sfociare in offese o in minacce. Così come bene o male si può comprendere il discorso sull’importanza del proprio cognome per la famiglia, anche se nel mondo dello sport non è di sicuro l’unico a vivere un situazione di questo tipo. Senza contare comunque che Westbrick non è che sia un soprannome così offensivo.
Quello che sicuramente non torna nelle sue parole è il fatto che sembra cadere dalle nuvole riguardo il motivo per cui alcuni tifosi hanno iniziato a storpiare il suo cognome. Non è che le persone lo fanno in automatico solo perché gioca a basket: il motivo di tutto ciò è legato ai suoi imbarazzanti errori al tiro e al fatto che sempre più spesso incappa in partite decisamente pessime dal punto di vista realizzativo e delle scelte di tiro. E il fatto che non se ne renda conto si collega perfettamente a quanto stiamo assistendo quest’anno in casa Lakers, con il Westbrook che non vuole saperne di fare un passo indietro (partendo ad esempio dalla panchina) o riconoscere il proprio scarso (e dannoso) apporto alla franchigia.

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