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L’ultima Final Four

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Ben arrivati alla fine del viaggio iniziato il novembre scorso. New Orleans avrà il privilegio di ospitare una delle Final Four più attese degli ultimi anni. Perché? La presenza di quattro delle squadre più titolate del panorama collegiale potrebbe già essere un valido motivo, ma tutto scompare al cospetto di Mike Krzyzewski, il leggendario allenatore che saluterà Duke alla fine di questa stagione. Enumerare i successi pare quasi riduttivo, ma anche superfluo visto che in questo momento proprio Coach K pensa soltanto alle prossime due partite.

Un traguardo neanche così impossibile, guardando il percorso dei suoi Blue Devils. Dopo lo spavento che il Torneo della ACC aveva causato a tutti i tifosi biancoblu, la “Big Dance” ha regalato ben altra squadra. Sempre in controllo, i giovani “Diavoli” hanno giocato il loro miglior basket nei finali di partita, chiaro segno della consapevolezza nei propri mezzi, ma anche della mano di Coach K nel tranquillizzare un gruppo di diciannovenni alle prese con un’immane pressione.
Mark Williams è stato a tratti inarrestabile a centro area, così come Jeremy Roach è stato molto più incisivo e savio nelle scelte. Ottime anche le prestazioni di Wendell Moore e di Trevor Keels, quest’ultimo nella veste inusuale di sesto uomo, mentre da AJ Griffin, talento fragile e non sempre continuo, ci si aspetta un contributo come quello offerto contro Arkansas. Dopo tante prove incolore sul finire della ACC, Paolo Banchero ha finalmente ritrovato lo smalto d’inizio stagione, prendendo per mano i compagni nei momenti difficili. Inutile dire che è l’uomo chiave per il successo finale.

Ad attendere Duke ci sarà l’acerrima rivale di North Carolina. Nella loro storia si sono incontrate ben 257 volte, ma mai al Torneo NCAA. Lo faranno sul palcoscenico più importante del College Basket: la Final Four.
Può una partita cambiare il corso della stagione? Si, e i Tar Heels ne sono la prova. Fino al 5 marzo scorso, la squadra di Chapel Hill non si aspettava neanche di partecipare al Torneo, ma la convincente e netta vittoria contro Duke, per di più al Cameron Indoor Stadium agghindato  perla festa di addio di Coach K, ha sancito il suo invito.
Da quel momento, la squadra del debuttante Hubert Davis ha cambiato passo: Marquette, i campioni in carica di Baylor, l’ostica UCLA, la “Cenerentola” Saint Peter’s le vittime di un percorso autoritario. I protagonisti assoluti sono stati Calen Love e Armando Bacot. Love ha preso letteralmente fuoco contro UCLA, trascinando la squadra con 30 punti e alcuni canestri irreali nei momenti decisivi, mentre Bacot ha assicurato quel mix di fisicità e rapidità a centro area che è sempre stata il marchio di fabbrica di Carolina negli anni passati. Da seguire Brady Manek, il tiratore barbuto arrivato da Oklahoma, e R.J., Davis, il play che contro Baylor ha scritto 30 punti. 

La seconda semifinale sembra quasi dimenticata dai media, tutti concentrati sull’attesissimo derby della Tobacco Road, ma la sfida tra Kansas e Villanova è di alto livello. Innanzitutto, gli allenatori: Bill Self e Jay Wright sono tra i migliori allenatori d’America – NBA compresa- ed entrambi candidati a raccogliere il testimone da Krzyzewski.
Kansas, come non succedeva da qualche anno, ha confermato i pronostici che la volevano come contendente per il titolo. I Jayhawks sono esperti e anche profondi, potendo contare su una rotazione di quasi nove giocatori. Hanno sofferto più del previsto contro Creighton e Providence, ma hanno trovato la giusta coesione per piazzare l’allungo decisivo.
La stella è Ochai Agbaji, swingman che ha impiegato quattro anni per assimilare i dettami di Coach Self e diventare materiale per la NBA. Al suo fianco, in un reparto di esterni diffidente arginabile, Christian Braun, emerso come molto più di un semplice tiratore, e l’ordinato play Dajuan Harris. Ma è sotto i tabelloni che Kansas ha fatto la differenza, con i due “settepiedi” David McCormack e Mitch Lightfoot a dettare legge in termini di rimbalzi e intimidazione. L’uomo chiave sarà Jalen Wilson, non solo per la capacità di spostarsi anche sul perimetro in attacco, ma soprattutto per difendere sui “4 mobili” come Jermaine Samuels e Banchero. La variabile impazzita si chiama Remy Martin, guardia arrivata da Arizona State e molto disinibita in attacco, come dimostrano i 23 punti segnati contro Providence e i 20 contro Creighton.

L’avversaria sarà Villanova, ormai una presenza fissa delle Final Four (la terza negli ultimi sei anni, con due titoli). Purtroppo, ai Wildcats mancherà Justin Moore, la guardia titolare che ha patito un grave infortunio nella vittoria contro Houston. Una tegola gravissima per qualsiasi squadra, ma per Coach Wright ancora di più a causa di una rotazione già limitatissima.
Proprio la partita contro Houston, però, deve mettere in guardia chi sottovaluta i Wildcats. La vittoria ottenuta con soli 50 punti ha confermato l’estrema organizzazione della squadra di Philadelphia, capace di mutare e di tralasciare per una volta il consueto basket elegante per lottare contro la difesa fisica e arcigna dei Cougars.
Collin Gillespie sarà chiamato agli straordinari nella veste di regista e finalizzatore, da Jermaine Samuels ci si aspetta che prosegua nella serie di splendide prestazioni al Torneo, mentre Caleb Daniels avrà l’onere di sostituire in quintetto l’infortunato Moore. Coach Wright spera anche nella voglia di rivalsa di Bryan Antoine (stellina liceale mai esplosa), e nel contributo di Chris Arcidiacono, un cognome che nel campus di Philadelphia suscita ancora emozioni (il fratello, Ryan, guidò i Wildcats al titolo nel 2016).

I pronostici sono sempre difficili, ma ci proviamo: Duke si vendicherà della sconfitta patita il 5 marzo, battendo su Carolina, Kansas avrà la meglio su Villanova.

E in Finale? Può un Torneo che è sempre alla ricerca di una Cenerentola non avere il finale da fiaba? No, quindi ci aspettiamo Coach K commosso e vincente, sulla scala a tagliare l’ultima retina.

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