Focus NCAA

Un anno sui banchi di scuola

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E’ passato quasi un mese dalla sirena che ha chiuso la Final Four di New Orleans, quindi è arrivato il tempo di dedicare il giusto approfondimento a una stagione che, per certi versi, è stata una delle più emozionanti di sempre.


Grazie, Coach K!

Se parliamo di emozioni non si può non iniziare dall’addio al College Basket di Mike Krzyzewski, il leggendario allenatore di Duke. Dopo 42 stagioni, Coach K non siederà più sulla panchina dei suoi Blue Devils, un programma che ha letteralmente creato dal nulla agli albori degli anni 80. I numeri sono a dir poco impressionanti: 5 titoli, 13 Final Four, 15 titoli della ACC, 1.202 vittorie, di cui 101 al Torneo NCAA. A corredo della sua impeccabile carriera a Duke, non si possono dimenticare le tre medaglie d’oro Olimpiche alla guida di Team USA.
Nella memoria di ogni appassionato di basket universitario resteranno le squadre di Christian Laettner – il giocatore simbolo di Duke e, forse anche per questo, il più odiato dagli avversari -, quella del primo titolo contro l’imbattibile UNLV nel 1991 e capace di ripetersi nel 1992 contro i “Fab Five” di Michigan, grazie anche “Miracle shot” proprio di Laettner contro Kentucky.
Così come resterà la festa organizzata al Cameron Indoor Stadium il 7 marzo scorso, con Laettner, Grant Hill e tanti altri campioni accorsi a Durham per rendergli omaggio.
Tutto il mondo del college basket aspettava il lieto fine della lunga favola di Krzyzewski, invece il fato ha deciso altrimenti, facendo arrendere i suoi Blue Devils di fronte all’ultimo avversario a cui avrebbero voluto lasciare il passo: l’odiata (in termini solo sportivi, ovviamente) North Carolina. Le prestazioni scialbe di Jeremy Roach, Wendell Moore e AJ Griffin hanno affossato la possibilità dei Devils di regalare al loro allenatore un ultimo titolo.

Il passato e il futuro di Duke

E’ finita così l’Era Krzyzewski, una delle epopee più vincenti del College Basket. Il testimone passerà a Jon Scheyer, suo ex giocatore, che siederà su una delle panchine più ambite, ma anche più scomode. A facilitargli il compito, quel blasone che Coach K ha regalato all’ex college sconosciuto di Durham, e che sta permettendo ancora di accumulare i migliori giovani del paese. Una prova? Guardate chi sta per arrivare per sostituire Banchero, Griffin e gli altri talenti in partenza per la NBA….


Dancing with Bill Self

Billy Idol ci perdonerà questo facile gioco di parole, ma non potevano farcelo scappare. Bill Self ha festeggiato il suo secondo titolo NCAA al termine di una partita al cardiopalma. Sotto di ben sedici punti, dominati da una North Carolina anche troppo ispirata, nell’intervallo ha motivato e tranquillizzato i suoi proprio ricordando il suo primo titolo: ”Preferireste essere sotto di sedici a venti minuti dal termine, oppure di nove a due minuti? .
Sono bastate queste semplici parole per trasformare lo sconforto in carica agonistica. Self attendeva da due anni questo trionfo, da quel maledetto Torneo 2020 annullato a causa della pandemia. Quella doveva essere la squadra designata per riportare i Jayhawks sul tetto del College Basket, forte di sedici vittorie consecutive per chiudere la Regular Season.
Di quella squadra facevano parte David McCormack, Ochai Agbaji, Christian Braun e Jalen Wilson, tutti determinanti nella vittoria del 4 aprile scorso.
Si, perché se nel 2008 l’eroe fu Mario Chalmers, autore della tripla della vittoria contro Memphis e Derrick Rose, quest’anno è più difficile individuare il protagonista assoluto. Il maggior margine recuperato nella storia delle Final Four ha vari artefici: McCormack, autore del canestro della staffa; Remy Martin, apparso per mesi l’ombra del brillante realizzatore ammirato ad Arizona State, ma decisivo nel secondo tempo con le sue triple; Agbaji, nominato miglior giocatore del Torneo NCAA; Braun, tiratore che non brilla per atletismo, ma che ha chiuso come miglior rimbalzista della squadra; Wilson, autore di 15 punti e di una tripla (l’unica della serata) pesantissima nel finale.
A Lawrence si festeggia, e non importa se sul college pesa come un macigno un’indagine della NCAA che potrebbe portare a gravi sanzioni.


La squadra manifesto del Torneo

Se c’è una squadra che ha rappresentato al meglio la follia che caratterizza il mese di marzo nel College Basket, questa è certamente North Carolina.
Inguardabili e deludenti per larga parte della stagione – molto più di quanto il record facesse pensare -, il debuttante Hubert Davis ha trovato la chiave di volta proprio nel mese decisivo della stagione, a cominciare dello “scherzetto” rifilato a a Duke Coach K nella vittoriosa trasferta al Cameron del 7 marzo.
RJ Davis, Brady Manek, Armando Bacot e Caleb Love sono stati i moschettieri che hanno condotto la squadra del cuore di Michael Jordan fino alla finalissima.
La sconfitta nella finalissima sarà davvero difficile da digerire, anche perché l’aver sperperato un vantaggio in doppia cifra, le sfortunate dinamiche che si sono susseguite nel finale – tra caviglie doloranti, parquet che cede e scivoloni – non fanno che sminuire un Torneo davvero esaltante.
Il tiro da tre, che era stato il motivo del deciso cambio di passo, l’arma in più di una squadra davvero capace di trovare sempre l’uomo libero e punire le rotazioni pigre degli avversari, ha tradito i Tar Heels proprio nella partita contro Kansas. Il 5/23 di squadra è abbastanza eloquente, ma a peggiorare la situazione è il 1/13 di Davis e Love, le due guardie che spesso erano risultate decisive nei momenti cruciali.
Coach Hubert Davis ci riproverà già dal prossimo anno, grazie al ritorno di Bacot e di Love.


Esperto è bello

Ancora una volta, l’ennesima in questi ultimi anni, il Torneo ha dimostrato come l’esperienza a certi livelli sia decisiva. Ogni anno si versano fiumi d’inchiostro sulle nuove leve che arrivano dalla High School, sui talenti che resteranno solo pochi mesi prima di sbarcare nella NBA. La verità, però, è che, malgrado il livello di questo College Basket sia decisamente sceso rispetto a una decina di anni fa, le “stelline” faticano enormemente.
Kansas, North Carolina, Villanova erano imperniate su giocatori che avevano almeno tre anni di esperienza alle spalle, in perfetta simbiosi con le recenti vincitrici del Torneo, che si chiamino Virginia (2019) o Baylor (2021), Villanova (2016 e 2018) o North Carolina (2017).  
Una volta ancora esce sconfitta l’idea di fondare le squadre sugli “One and done”, i giovanissimi fenomeni che stazionano al college solo un anno prima di volare nella NBA.
La conferma? Anche Kentucky, storicamente una destinazione ricercatissima dai migliori freshman, quest’anno ha ritrovato la normale abitudine alla vittoria (almeno prima di uscire sconfitta dalla Cenerentola Saint Peter’s) affidandosi a giocatori esperti, uno dei quali, il fenomenale rimbalzista Oscar Tshiebwe, ha anche vinto il Naismith Award (assegnato al miglior giocatore della stagione, ndr).

Tshiebwe, il migliore della stagione

Ci vediamo nella NBA (o no?)

Ultimo capitolo dedicato alle stelle di quest’anno, coloro che hanno allietato le serate degli appassionati.

1° Quintetto All-American

Johnny Davis (SG, Wisconsin): difficile trovare un esterno piu’ decisivo per le sorti della sua squadra  dell’alfiere dei Badgers. Dopo il primo anno di ambientamento, Davis è diventato una minaccia difficilmente arginabile a questo livello, brillando per il preciso tiro in sospensione e l’elevato I.Q.  Non un mostroo di atletismo, riuscirà a incidere anche al “piano di sopra”?

Jabari Smith (PF, Auburn): la sorpresa ad altissimo livello della stagione. Fluido, braccia lunghe, rapido ed elastico quando si muove e, soprattutto, in possesso di un tiro in sospensione paradisiaco. Difende anche. Considerando i tantissimi margini di miglioramento, non puo’ non interessare alla NBA, che infatti lo sceglierà tra i primi tre.

Jaden Ivey (SG; Purdue): miglior atleta del college basket, un oggetto volante che farà divertire anche i tifosi della NBA con le sue acrobazie aeree. Molto migliorato anche al tiro, a volte lascia a desiderare per le scelte sotto pressione. Top 5 al prossimo Draft.

Keegan Murray (PF, Iowa): terzo giocatore proveniente dalla Big 10, quest’anno la Conference di riferimento per gli scout. Macchina da canestri, Keegan è il prototipo del lungo moderno per la capacità di essere pericoloso sia sotto canestro che sul perimetro. Non troppo presente a rimbalzo, ma difficile ignorarlo quando si arriverà al Draft.

Paolo Banchero (PF, Duke): il suo debutto era stato strabiliante, forse troppo. I critici fanno notare come non sia particolarmente esplosivo e come il tiro da tre sia discontinuo, ma il resto? Ala completa, che puo’ attaccare dal palleggio e mettersi in post, che va a rimbalzo e crea per i compagni. Una minaccia già adesso per ogni difesa NBA.


2° Quintetto All-American

Oscar Tshiebwe (C, Kentucky): votato come miglior giocatore dell’anno, grazie all’insaziabile voracità a rimbalzo e al dominio fisico perpetrato nelle aree collegiali. Non particolarmente ispirato offensivamente, avrà altri dodici mesi per perfezionare anche questo aspetto del gioco e pensare al prossimo step della sua carriera nella NBA.

Ochai Agbaji (SG, Kansas): dopo un paio di anni controversi, quest’anno ha definitivamente trovato quella continuità che gli era mancata, diventando la guida tecnica dei Jayhawks campioni. Ha vinto anche il premio come miglior giocatore del Torneo NCAA, il che non guasta in prospettiva Draft;

Bennedict Mathurin (SG; Arizona): l’arma in piu’ dei Wildcats che hanno dominato la Pac-12 prima di arrendersi a Houston. Guardia che abbina un interessantissimo tiro in sospensione a delle qualità atletiche di primissimo piano. Di solito un mix letale per la NBA, che infatti lo aspetta a braccia aperte.

Chet Homgren (PF;Gonzaga): la figuraccia rimediata nella sua prima partita in maglia Zags gli è servita per continuare a lavorare. Da quel momento, Chet ha letteralmente preso il volo verso la prima scelta assoluta, dimostrandosi davvero un giocatore unico: un “settepiedi” che tira benissimo dalla distanza, parte in palleggio come una guardia e stoppa a piacimento. Unico punto è quel fisico, scheletrico e decisivo, in negativo, al Torneo NCAA.

Caleb Love (SG; North Carolina): forse una nomination eccessiva per un giocatore non proprio continuo durante l’anno, ma giusta se pensiamo al Love ammirato nel Torneo NCAA. Caleb è stato magnifico contro UCLA e Duke, segnando a profusione, specialmente nei minuti conclusivi. Peccato quel 5/24 contro Kansas…

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