Intervistato da Luca Chiabotti de La Repubblica, Danilo Gallinari ha parlato – ancora una volta – dei suoi piani per il futuro, spiegando quanto ancora pensa di giocare oltreoceano e cosa si augura di fare successivamente.
“Seguo l’Armani da tifoso. Hanno una bella squadra e sono partiti bene in questa stagione. E’ ricca di giocatori che hanno vinto molto. Devono puntare molto in alto perché possono raggiungere diversi obiettivi importanti.
Non so se Milano tra 4-5 anni, quando avrò concluso la esperienza in NBA, sarà una squadra dello stesso livello e con gli stessi obiettivi di oggi. Ma giocare per l’Olimpia, in una squadra forte e ambiziosa come quella di questa stagione, resta un sogno per me”
Gallinari durante l’ultima offseason ha firmato un contratto triennale con gli Atlanta Hawks e, stando alle sue parole, dovrebbe fermarsi nella massima lega mondiale per almeno un altro anno. Certo che nel mentre possono comunque accadere svariate cose che possono modificare i piani.
Sarà sicuramente interessante vedere se l’Olimpia riuscirà a mantenere un alto livello e se il Gallo sarà disposto a terminare un po’ prima la sua esperienza in NBA per sposare un nuovo progetto vincente in quel di Milano.
Ad oggi è fantabasket.
Il Gallo ha anche parlato del suo rapporto con la città di Milano.
“Con Milano ho un rapporto particolare, d’amore. E’ casa mia. Mia mamma l’ha sempre amata, mio padre ci ha giocato per tanti anni: è un posto che rappresenta molto per me anche per la storia della mia famiglia. Da quando ci abitavo stabilmente, Milano è cambiata tanto. Allora il Pirellone era l’edifìcio più alto, ma oggi credo non sia neppure in classifica… Io abito in zona Romana, ma la prima casa che ho avuto era all’Isola e allora non era bellissima come adesso, con piazza Gae Aulenti, il Bosco verticale. Non è cambiato invece il ritmo di vita, che assomiglia a quello di New York. Solo camminare per le vie di Milano è una fìgata. Non riesco a starci mai più di un mese all’anno, per cui anche la semplicità di fare due passi è bellissima. Poi mi piace andare a giocare al campetto con gli amici. Indisturbato no. Quasi. Di solito siamo abbastanza per fare una partita 5 contro 5. Gioco con amici di buon livello, serie A2, B. Qualche volta inseriamo qualcuno per fare numero, ma durante la partita si gioca e basta e cerchiamo di farla durare il più possibile. Quando c’è la pausa acqua sì, succede che i ragazzi vengano per conoscermi, fare foto, autografi. Ma mi fa piacere. In America non mi verrebbe mai in mente di giocare al campetto.
Ho contribuito a rifare i campi di largo Marinai d’Italia e di viale Sarca. Tutto è nato dal dispiacere di vedere i campetti non curati e vandalizzati in una città che avrebbe tantissimi spazi per giocare a basket. Più di 120. Con un mio amico, Michele Ponti, abbiamo dato vita a We Playground Together. Il Covid ci ha fermato dopo i primi due interventi, dovevano essere tre. Ma andremo avanti“