Focus NBA

Buona la…. seconda

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Ogni anno l’attenzione degli appassionati e degli addetti ai lavori è attirata dalle prestazioni dei rookie, i giovani appena entrati nel mondo della NBA. La lega stessa ha riservato un premio alle matricole, e anche noi di ASB dedichiamo uno spazio mensile per osservarne il rendimento e l’adattamento alla nuova realtà.

Spesso, però, ci dimentichiamo di verificare come evolvono le carriere di quelle matricole, se le promesse del primo anno vengono confermate nel secondo, oppure se le difficoltà palesate all’ingresso nel nuovo basket sono state superate dopo altri dodici mesi di apprendistato. Un approfondimento particolarmente utile nella NBA degli “one-and-done” (i giocatori che restano al college solo un anno), nella quale anche solo qualche mese di basket può stravolgere un giudizio che sembrava granitico e inconfutabile.

Quindi, come si stanno comportando i “sophomore” (un termine usato nel college basket per indicare i giocatori del secondo anno)?


Il Migliore

Si può non partire da Zion Williamson? No, ovviamente. Dopo aver saltato quasi completamente la stagione passata, e aver perso così la possibilità di vincere l’ambito premio di Rookie of the Year, Zion ha ristabilito le gerarchie del Draft 2019.
L’esordio nell’All-Star Game è stato il logico risultato di una stagione, finora, strabiliante: 26.9 punti, 7.2 rimbalzi e 3.7 assist di media, con un assurdo 61.7% dal campo. Va bene che le difese NBA non sono più quelle di un tempo, ma segnare con oltre il 60% per un giocatore di soli due metri (e con quasi 17 conclusioni tentate a match) è incredibile.

Dopo l’All-Star Game si è superato, segnando la bellezza di quasi 30 punti di media, sempre con un efficacissimo 62% al tiro. Numeri che hanno riportato la memoria alle imprese di un certo Shaquille O’Neal, di cui Williamson ha eguagliato un record: 25 partite consecutive con almeno 20 punti a referto e il 50% dal campo.
Era stato preveggente coach Rick Carlisle che, dopo aver visto i danni inflitti da Williamson ai suoi Mavs, aveva avvicinato i due: “E’ una forza della natura proprio come Shaquille, ma con le qualità di una guardia”. Proprio quelle doti da guardia hanno spinto Stan Van Gundy ad allontanarlo dal canestro e affidargli la palla, lasciandolo libero di attaccare dal palleggio in modo da sfruttare quell’incredibile esplosività palla in mano.
A New Orleans hanno l’erede di Anthony Davis.


Le conferme

La stagione di Ja Morant era partita col botto: 44 punti e 9 assist nell’esordio stagionale contro San Antonio. Purtroppo, solo due giorni dopo l’eccitante debutto, la matricola di Memphis ha subito una pesante distorsione alla caviglia che lo ha tenuto fuori per otto partite e condizionato per tutta la stagione. Malgrado ciò, Ja ha confermato quanto di buono fatto da rookie, distinguendosi per l’atletismo e la voglia di prendersi sulle spalle la squadra. I Grizzlies sono ancora in piena lotta per quell’ingresso ai playoff sfumato lo scorso anno e contano su Morant per poter tornare nel basket che conta.

Anche Michael Porter Jr ha dovuto sopportare una lunga pausa a inizio stagione. Stavolta non si è trattato del solito infortunio, in quanto la malasorte si è palesata sotto le sembianze del covid. Le partite saltate sono state dieci, ma gli effetti debilitanti del virus lo hanno perseguitato per molto tempo. Una volta recuperato, Porter ha ricominciato da dove aveva lasciato, ovvero dal segnare punti a profusione sui magici scarichi di Nikola Jokic. Dopo la pausa per l’All-Star Game (22 partite) sta tenendo la media di 2.2 punti e 8.4 rimbalzi, con il 57.5% dal campo e il 44.7% da tre punti, distinguendosi per la pulizia e la sobrietà nelle soluzioni. I Nuggets speravano in questo rendimento fin dalla scommessa fatta sulle sue qualità nel Draft del 2018, quando al suo nome erano associate tante perplessità fisiche, e adesso contano sul suo contributo in vista dei playoff per sopperire alla mancanza di Jamal Murray.


Miami abbiamo un problema?

Se c’è un rookie che lo scorso anno aveva convinto, questo è Tyler Herro. Già in regular season si era meritato i complimenti di Jimmy Butler ed Erik Spoelstra per la dedizione e l’attenzione dimostrata in allenamento, ma è stato il rendimento ai playoffs e nelle Finals a renderlo un osservato speciale per gli appassionati di tutto il mondo. Un successo così repentino e inaspettato che, leggendo gli insider di Miami, sembra aver distratto il giovane Heat. Le cifre non sono così brillanti come ci si aspettava (13 punti di media con il 40% dal campo e il 30% dalla distanza dopo l’All-Star Game), e in tanti temono che abbia perduto la retta via. Forse è un timore eccessivo, ma Tyler ha un solo modo per replicare: tornare ai fantastici livelli dei playoff dello scorso anno.


The Most Improved

In tanti hanno registrato decisi miglioramenti, da Keldon Johnson a Coby White, da De’Andre Hunter a Laguentz Dort, ma nessuno può eguagliare il salto compiuto da Darius Garland.

12.3 punti, 3.9 assist, 40.1% al tiro in quasi 31 minuti: questo l’esordio non indimenticabile nella NBA di Darius, quinta scelta assoluta nel Draft 2019. Un rendimento che aveva fatto interrogare i tifosi di Cleveland sulla bontà della decisione di scegliere un’altra point guard dopo aver selezionato Collin Sexton. In questo campionato però le cose sono radicalmente cambiate: l’ex Vanderbilt è emerso come un punto di riferimento del nuovo progetto tecnico dei Cavs, trovando una sintonia perfetta con Sexton in un back court molto stimolante. Le statistiche non fanno che confermare ciò che il campo ha mostrato: 17.4 punti e 6.0 assist di media, il 45.0% dal campo e il 40.8% da tre punti raccontano di una maggiore incisività e di una maggiore tranquillità nell’affrontare le difese NBA e mettere in ritmo i compagni. Con i 37 punti segnati nella vittoriosa trasferta di San Antonio Darius è riuscito a eguagliare anche il record LeBron James per il maggior numero di punti segnati da un giocatore al primo o al secondo anno nella lega.
Sarà per questo che quegli stessi tifosi che lo seguivano con un certo scetticismo dopo lo scorso campionato, adesso vedono nel figlio d’arte (il padre Winston ha giocato a Golden State, Denver e Houston prima di arrivare a Treviso, ndr) un prospetto indispensabile per la rinascita dei Cavaliers.


Finalmente R.J.

Non deve essere stato facile essere R.J. Barrett in questi tre anni. Approdato a Duke come il miglior giocatore dei licei e sicura prima scelta assoluta del Draft 2019, il canadese è stato spazzato via dall’uragano Williamson e, successivamente, ha sofferto le disfunzioni dei New York Knicks nel suo anno da rookie. L’arrivo di Tom Thibodeau ha riportato nella Grande Mela un basket intelligente, pragmatico e organizzato, e la squadra sta rispondendo con una stagione ben oltre le aspettative. Se il leader offensivo si chiama Julius Randle, Barrett rappresenta la sua spalla, colui che spesso funge da playmaker senza per questo dimenticare la via del canestro. Una crescita tecnica costante, che accanto ai progressi statistici (oltre 17.4 punti, 5.6 rimbalzi e 2.9 assist di media) si riflette anche nell’estrema efficacia difensiva e nella continuità al tiro dalla distanza (39% dall’arco dei tre punti; 44% dopo l’All-Star Game e 54% in questo mese di aprile).
Non avrà l’impatto di Zion, ma R.J. sta crescendo e tra qualche anno chissà, potrebbe raggiungere l’ex compagno all’All-Star Game.

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