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Chris Paul: una carriera al servizio degli altri

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Non vincerà mai un anello probabilmente, né sarà mai tra i finalisti al Most Valuable Player. Non ha i numeri, almeno in teoria, per ottenere questi risultati. Eppure, paradossalmente, di numeri Chris Paul ne ha eccome. Se, come per gli Oscar, esistesse un MVP alla carriera lui lo meriterebbe come pochi altri nella storia del gioco. Perché? Perché Chris Paul ha migliorato ogni singola squadra in cui ha messo piede.


Parliamo di numeri

A livello di premi individuali CP3 si è portato a casa “solo” il Rookie of The Year nel 2006 e l’MVP dell’All-Star Game nel 2013. Quello che però non si vede dalla scarna bacheca dei trofei è quanto sia stato incisivo per le franchigie in cui ha giocato.

Complessivamente al momento Chris è a 469 punti dai 20.000 in carriera, a 16 palle rubate dal quinto posto nella classifica All Time della categoria e ha da poco sfondato il muro dei 10.000 assist, con cifre in costante aggiornamento. Anche in questa statistica la scalata non si è ancora fermata e, realisticamente, non è impossibile pensare di vederlo al terzo posto tra i migliori assistmen di sempre.

Numeri del genere inseriscono di diritto Paul tra i migliori giocatori di sempre e sicuramente tra i più grandi interpreti della sua generazione. E tolti questi, il contributo dato alle varie squadre in cui ha militato è ben evidente nei risultati conseguiti. Ma partiamo dall’inizio…


L’esordio negli Hornets

Era il 2005 e gli Hornets erano a New Orleans. Altri tempi, stesso Chris Paul: nei sei anni passati in Louisiana ha portato la squadra ai playoff per tre volte, collezionando nel mentre 4.228 assist, quasi 8.000 punti e più di 1.000 palle rubate.

La squadra intorno a lui però non era sicuramente di alto livello, almeno non tanto da puntare alle Finals. Il risultato migliore è stato un passaggio del primo turno nel 2008, per poi essere eliminati in sette splendide gare dai San Antonio Spurs.

Uno degli assist più belli che CP3 abbia mai fatto è arrivato però fuori dal campo: nell’agosto del 2005 l’uragano Katrina colpisce violentemente New Orleans, spazzando via case ed edifici, ma soprattutto distruggendo le vite di molte famiglie. Paul è appena arrivato in città eppure si sente toccato come fosse lì da sempre.
Per quella stagione gli Hornets si trasferiranno ad Oklahoma City, ma Chris tornerà ciclicamente alla base per portare aiuto, cibo ed investimenti in denaro denaro nella ricostruzione e nel supporto alle famiglie disastrate. Gli sforzi collettivi fecero rialzare New Orleans, seppur con una cicatrice profonda, fino a permettere la realizzazione dell’All-Star Game 2008.

E anche questo per merito, in non piccola parte, di Chris Paul.


Lob City

Cinque anni senza i playoff e uno stazionamento fisso nella mediocrità per tutto il quinquennio di assenza dalla postseason. Questo è quello che erano i Clippers agli albori del 2011.
Qualcosa cambia con l’arrivo di Blake Griffin, ma il nativo di Oklahoma City non sembra sufficiente per fare il salto di qualità definitivo: per questo Eric Gordon, Al-Farouq Aminu e Chris Kaman vengono sacrificati per portare alla causa losangelina il talento prodotto da Wake Forest.

“A turning point for L.A.”, titolo più che appropriato per l’approdo di Paul ai Clippers

Chris Paul arriva con lo scopo di risollevare le sorti di una franchigia alla deriva e, neanche a dirlo, ci riesce immediatamente. Dalla prima all’ultima stagione in maglia Clippers la squadra raggiunge sempre i playoff, senza però mai arrivare fino in fondo. Anche qui il miglior risultato è il secondo turno, ma poco importa perché, a conti fatti, il salto di qualità per cui CP3 era stato chiamato è arrivato.

Le tre migliori stagioni a livello di record per la squadra sono arrivate con Paul in cambina di regia, la migliore di sempre nel 2014 con 57 vittorie e 25 sconfitte. Di pari passo sono aumentate le statistiche dei compagni: Blake Griffin e DeAndre Jordan hanno vissuto i loro migliori momenti grazie al supporto costante degli assist forniti dal loro playmaker.

Il bottino finale è di 4023 assist, 7674 punti e 902 palle rubate, scalando sempre più le classifiche All Time, statistica dopo statistica. Il tutto senza lasciare mai indietro i compagni.


Alla corte del Barba

Separate le strade con Lob City, Paul raggiunge James Harden a Houston per creare una coppia letale sotto ogni punto di vista. Per quanto tra i due non scocchi mai la scintilla, i risultati sono innegabili: nel suo primissimo anno in campo coi Rockets CP3 aiuta il Barba a portare la squadra alle Finals di Conference.

Nel senso più puro dell’espressione, in quelle finali avviene una delle più grosse sliding doors della storia del basket. Una traduzione italiana potrebbe essere “Cosa sarebbe successo se…”. I texani fronteggiano uno dei migliori roster di sempre, i Golden State Warriors di Curry e Durant, e sembrano essere in pieno controllo della situazione avanti 3-2 nella serie, intravedendo già le Finals NBA.
Il destino vuole diversamente: Chris Paul si infortuna e l’inerzia passa inevitabilmente dalla parte dei Warriors. Chiunque abbia visto quella serie, dagli addetti ai lavori fino ai semplici tifosi, è pronto a giurare che con Paul in campo la storia sarebbe andata diversamente. E probabilmente è vero.

Resta il fatto che grazie a lui Houston è arrivata ad un passo dal compiere quello che nessuno prima aveva fatto: mettere in ginocchio lo strapotere della Baia.
Basta questo per capire quanto sia stato importante il suo contributo, statistiche o meno alla mano. Ma quello che per molti era stato l’ultimo colpo di coda di un Chris Paul ormai al crepuscolo della carriera, era invece solo un capitolo intermedio.


La parentesi Thunder

L’anno scorso è approdato agli Oklahoma City Thunder, pronti a ricostruire dopo le cessioni di Westbrook e Paul George. Nessuno avrebbe dato un centesimo a quella squadra ad inizio anno, piena di giocatori di passaggio arrivati a OKC solo per svernare in attesa di un team migliore. Tant’è che ad un certo punto, come forse qualcuno di voi ricorderà, ESPN aveva detto che c’era lo 0.2% di possibilità che i Thunder prendessero parte alla postseason.

Niente di più sbagliato: da generale in campo Paul ha guidato i Thunder ai playoff come quinta forza ad Ovest, un risultato eccezionale soprattutto se considerati gli altri roster e la Conference di appartenenza. Le speranza si sono poi infrante al primo turno contro, guarda caso, i Rockets, ma non per questo la stagione del buon Chris e di Oklahoma perde di significato.

È l’esemplificazione perfetta del contributo di una stella come lui: dovunque vada la squadra lo segue, sale di livello, migliora giorno dopo giorno.


Chris Paul oggi, i Phoenix Suns

La scorsa offseason, dopo la cavalcata incredibile condotta con OKC, i Thunder capiscono che Paul ha fatto la sua parte e che è tempo di lasciarlo migrare in una squadra con più ambizioni. Ecco quindi che viene spedito a Phoenix via trade, entrando subito nei panni del leader della franchigia.

Ha preso una squadra che non vede i playoff da dieci anni e l’ha portata al secondo posto nella Western Conference in un’annata in cui l’Ovest è particolarmente affollato e ricco di roster talentuosi. Il tutto imponendo un dominio sui due fronti: la franchigia dell’Arizona è infatti quarta per defensive rating e ottava per offensive rating (solo altre due squadre sono nella top-10 in entrambe le categorie, Jazz e Bucks).

Il tutto a 36 anni e viaggiando ad una media di 16.0 punti, 4.7 rimbalzi, 8.5 assist e 1.4 rubate a partita.


C’è poco da dire. È l’effetto Chris Paul, l’effetto di un ragazzo diventato uomo sempre al servizio della squadra. E non ha ancora finito.




Articolo a cura di Gianluca Bortolomai

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