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All-Star Game: quintetti titolari e considerazioni sui voti finali

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Dopo l’ufficialità dell’evento che avrà luogo ad Atlanta il prossimo 7 marzo, nella tarda serata di ieri la NBA ha reso noti i cinque giocatori per ogni conference che hanno ottenuto un posto nel quintetto titolare per l’All-Star Game.

Ad Ovest troviamo, in ordine di voto, LeBron James (C), Stephen Curry, Nikola Jokic, Kawhi Leonard e Luks Doncic; per quanto riguarda l’Est invece, sempre in ordine di preferenza, gli “eletti” sono Kevin Durant (C), Giannis Antetokounmpo, Joel Embiid, Bradley Beal e Kyrie Irving.

Sarà Team LeBron contro Team Kevin, con The Chosen One che andrà alla ricerca del secondo successo di fila della propria squadra.


Considerazioni generali

Senza ombra di dubbio i 10 giocatori che rivestiranno i ruoli di titolari si sono accaparrati il proprio posto con grande merito, confermando di fatto le proprie posizioni sin dal primo report rilasciato nella prima settimana di febbraio. Ci possono essere dei piccoli dubbi per entrambe le conference, ma si tratta di “polemiche” piuttosto inutili e spesso provenienti da tifosi un po’ troppo schierati in difesa dei propri pupilli.

Gli unici giocatori a superare i 5 milioni di voti, e quindi ad essere per distacco i più votati, sono stati LeBron James, Kevin Durant e Stephen Curry, mentre altri tre sono riusciti a superare la soglia dei 4 milioni: Giannis Antetokounmpo, Nikola Jokic e Joel Embiid. Stupisce invece il fatto che Bradley Beal, alla prima convocazione da starter, non si sia collocato almeno sopra le 3,5 milioni di preferenze, visto che tra la guardie della Eastern Conference era l’unico voto che non si poteva sbagliare se si guarda a quanto dimostrato sul parquet.

Rispetto all’anno scorso troviamo non poche novità: se l’Ovest conta solo un paio di sostituzioni (via Anthony Davis e James Harden, dentro Stepehn Curry e Nikola Jokic), l’Est vede cambiare- come preventivabile – 3/5 del quintetto, con i soli Joel Embiid e Giannis Antetokounmpo a difendere le proprie posizioni (via Trae Young, Kemba Walker e Pascal Siakam, dentro Bradley Beal, Kyrie Irving e Kevin Durant). Il livello rispetto all’anno scorso sembra essersi alzato notevolmente, soprattutto considerando i cambiamenti della conference che guarda nascere il sole. Inutile dire che c’è grande attesa nell’assistere al Draft (appuntamento per il 4 marzo) che vedrà impegnati i due capitani nello scegliere in prima battuta i propri quattro compagni di merende per lo starting five, e in secondo luogo i sette giocatori che andranno a comporre la second unit.

Manca infine l’ufficialità per chi siederà da head coach sulle due panchine, ma ad oggi i due nomi su cui scommettere sono Quin Snyder (Utah Jazz) e Doc Rivers (Philadelphia 76ers).


Western Conference

Riguardo la sezione occidentale non c’è molto da dire in riferimento ai risultati finali delle votazioni.

Le uniche due discussioni che si possono aprire sullo starting five sono quelle riguardanti le posizioni di Kawhi Leonard e Luka Doncic. Riguardo al primo, qualcuno potrebbe obiettare e definire “derubato” Anthony Davis, staccato di 312.562 voti. Se entrambi hanno avuto a che fare con qualche piccolo stop, va comunque evidenziato che il #2 dei Clippers presenta numeri migliori rispetto al #3 dei gialloviola, e si potrebbe anche azzardare a dire che The Claw all’interno del proprio contesto sia più decisivo rispetto a The Brow.
Nel secondo caso invece il pensiero di molti tifosi è andato sicuramente all’esclusione di Damian Lillard, posizionatosi terzo tra le guardie ad Ovest con 486.379 voti di distacco da Doncic. Ora, considerato che lo sloveno gode di una fanbase più ampia (e che si è rivelata decisiva), le differenze a livello statistico tra i due non sono così marcate: il classe ’99 dei Mavericks fa meglio in assist, rimbalzi e percentuale dal campo, mentre Dame lo supera per punti segnati (di sole 0.7 unità) e nella percentuale dalla lunga distanza. Sicuramente a favore di Lillard incidono molto il percorso fatto dai Blazers dopo l’infortunio di CJ McCollum e Jusuf Nurkic, ovvero rispettivamente secondo e terzo violino, e l’attuale record di squadra, tuttavia dall’altro lato troviamo un Doncic che, dopo un inizio molto sottotono, si è ripreso in maniera più che egregia e si è caricato sulle spalle un roster inferiore rispetto a quello di Portland e colpito da numerosi problemi fisici (ad esempio Porzingis è rientrato solo a metà gennaio e tutt’altro che al 100%). Al netto di tutto di ciò, la considerazione finale è una sola: sicuramente il buon Damian sarebbe stato da starting five, ma non è stato compiuto alcun furto nell’assegnare il posto al giovane sloveno.

In secondo piano non si può non spendere due parole sulle ultime tre posizioni del backcourt, che risultano abbastanza scandalose. Se trovare al 9° posto un Klay Thompson che non scenderà mai in campo in questa stagione sembra deleterio, la cosa veramente assurda è che prima di lui, e di un 10° CJ MCCollum, si sia piazzato Alex Caruso. Sicuramente il fatto che il #3 dei Blazers si sia infortunato ha inciso, ma ritrovarlo sia dietro Thompson che, soprattutto, dietro il giocatore dei gialloviola è alquanto imbarazzante. In questo contesto va inoltre inserita l’inspiegabile mancanza in top-10 di De’Aaron Fox, con il talento dei Kings che, stando alle condizioni attuali e considerando i tre giocatori sopracitati, risulta inferiore solo a McCollum.
Ovviamente, come al solito, le spiegazioni sono due: da un lato incide molto (forse troppo) la simpatia che i tifosi nutrono per un determinato giocatore – se no Caruso in quella posizione non si spiegherebbe-, dall’altro le franchigie poco seguite (come Sacramento) non possono che continuare a veder penalizzate le proprie star.

Parlando di mancanze, chiudiamo il discorso relativo all’Ovest affermando che il duo dei Jazz formato da Jordan Clarkson e Rudy Gobert avrebbe potuto trovare un po’ più di spazio: il primo si inserirebbe nel discorso appena illustrato sulle ultime posizioni delle guardie, mentre il secondo – narrativa a parte – avrebbe potuto essere collocato al posto di un Carmelo Anthony tutt’altro che in evidenza.


Eastern Conference

La conference orientale presenta decisamente più punti di domanda rispetto alla cugina, nessuno dei quali va ad intaccare lo starting five.

In primis, e molto velocemente, troviamo la “questione Harden”. Secondo alcuni l’ex Rockets avrebbe meritato il posto di Kyrie Irving, e probabilmente per certi versi può anche essere vero, il problema è che il campione di partite giocate da The Beard con la maglia dei Nets è troppo piccolo e non può quindi essere paragonato al percorso attuato dal compagno di squadra, che comunque non sfigura affatto a livello statistico.

Rimanendo in tema backcourt, possono essere presentate critiche sparse dalla 7° alla 10° posizione. Russell Westbrook non è troppo in alto per quanto dimostrato in campo? Collin Sexton non è troppo in basso? Derrick Rose che minchia ci fa nella top-10? Ben Simmons, candidato al Defensive Player of the Year, se lo sono dimenticati tutti?
Domande a cui si può trovare un’unica risposta, che di fatto è la stessa presentata per la discussione finale sulla Western Conference: questione di narrativa e fanbase. Rose ne è l’emblema perfetto. Lontano anni luce dal poter essere anche solo paragonato agli altri giocatori in classifica, in questa stagione non ha fatto assolutamente nulla che gli potesse valere una posizione così alta. Anche Westbrook è stato “graziato” dai suoi tifosi, visto che ad oggi sta disputando una delle peggiori regular season della sua carriera. Effetto contrario per il povero Sexton, penalizzato dal fatto che i Cavaliers post James se li filano in pochi e che il suo è un nome “meno importante” rispetto a quello dei due predecessori.
Un po’ inspiegabile è invece l’assenza di Simmons, visto che, oltre alle buone cose dimostrate in campo, non dovrebbe essere penalizzato in quanto a fanbase. Che abbia inciso così tanto la mancanza del tiro dalla media-lunga distanza nel suo arsenale offensivo? Pare un po’ eccessivo che questa visione vada ad oscurare tutti gli altri aspetti del suo gioco e che gli sia preferibile un giocatore come Rose.

Passiamo ora a trattare il frontcourt, la cui top-10 non viene risparmiata.

In primo piano troviamo qualche lamentela dei tifosi biancoverdi relativamente all’esclusione di Jayson Tatum dal quintetto titolare. Premesso che il prodotto di Duke sta disputando una grande stagione, è obiettivamente impossibile andare a sostituire il n°0 dei Celtics con uno qualsiasi tra Embiid, Durant e Antetokounmpo, i quali si pongono sicuramente un gradino sopra Tatum.

A seguire, non si può non parlare delle posizioni immediatamente dietro al giocatore bostoniano. Non che i giocatori votati non meritino di essere nella top-10, ma una domanda sorge spontanea: Butler e Adebayo valgono più voti di Randle, Sabonis e Grant? Il duo dei Miami Heat non sta facendo fale, sia chiaro, ma guardando al contesto in cui si trovano i vari giocatori citati, alle statistiche e all’incisività che questi presentano all’interno dei rispettivi roster, non sarebbe stato così scandaloso vedere maggiormente premiati il giocatore dei Knicks, quello dei Pacers e quello dei Pistons. Mentre sembrerebbe essere collocato in una posizione alquanto giusta un redivivo Gordon Hayward.
Probabilmente anche in questo caso ad incidere è stata la notorietà dei singoli mercati, con Sabonis e Grant che non fanno di certo parte di franchigie con i riflettori puntati (discorso un po’ diverso per Randle).

Un peccato, ma non di sicuro uno scandalo visti i colleghi, non vedere nella top-10 due giocatori come Khris Middleton e Nikola Vucevic, protagonisti sino ad ora di una grande stagione.

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